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Con una legge si vuole abolire l´eguaglianza di fronte alla legge
FRANCO CORDERO
da Repubblica - 17 giugno 2003
Martedì 17 B. degna il Tribunale d´un secondo show nel dibattimento Sme.
Ventiquattr´ore dopo dall´alambicco della Camera bassa nascerà la legge che
sospende i suoi processi. Parliamone. L´ordinamento è una piramide: tante
norme situate a vari livelli, insegna Hans Kelsen, maestro della sintassi
giuridica novecentesca; quelle al vertice fungono da tavola genetica, stabilendo
come nascano le altre e a quali parametri ubbidiscano. Nell´art. 3 Cost., ad
esempio, «tutti i cittadini (...) sono eguali davanti alla legge»,
indipendentemente dal rispettivo stato «personale e sociale»: tutti, nessuno
escluso, dal povero diavolo al signore dell´etere, spaventosamente ricco, nella
cui corte brulicano famigli, clienti, manovali, anche acquisisse alte dignità;
eguale a tutti, subisce processi penali quando un pubblico ministero gl´imputi
dei reati. Supponiamo che assemblee servizievoli, forti dei numeri, gli
conferiscano uno status diseguale, d´immunità dalle macchine processuali:
norma invalida, se la votano nei modi soliti; l´organo chiamato ad applicarla
investe della questione la Corte competente e l´esito appare sicuro.
Non erano ipotesi scolastiche. Palazzo Madama fornisce esempi monstre, 5 giugno,
emendando un ddl che attua scandalosamente l´art. 68 Cost.: del quale
precedente testo bisognerà dire tutto il male che merita; l´idea risale alla
Bicamerale d´infausta memoria; affiorano omertà trasversali. Gl´inquilini
della Cdl v´innestano un art. 1: i cinque presidenti (della Repubblica, Senato,
Camera, consiglio dei ministri, Corte costituzionale) godono d´un limbo finché
durino i rispettivi uffici, anche sui fatti anteriori; sospesi i procedimenti «in
ogni fase, stato o grado». Sono angeli? No, animali umani e «cittadini»
eguali «davanti alla legge». Questo privilegio li discrimina invalidamente. L´art.
3 Cost. è derogabile solo attraverso norme pari rango: l´articolo votato da
forzaitalioti e soci è legge comune; dunque, nasce morto. Non perdiamovi tempo,
tanto salta agli occhi l´offesa al principio d´eguaglianza. Notiamo solo come
la esasperino due aspetti. Primo, non esistono termini finali. Quattro dei
predetti uffici sono indefinitamente reiterabili: in vent´anni, 1878-98,
Domenico Farini risulta eletto presidente 4 volte dalla Camera bassa e 8 nel
Senato; dal 1870 al 1898 Giuseppe Biancheri dura 14 anni sullo scranno più alto
a Montecitorio, eletto 15 volte (erano congiunture mobili); Agostino Depretis
presiede 8 gabinetti; Giolitti 5; Benito Mussolini governa 20 anni, 8 mesi, 25
giorni. Ora, processi sospesi sine die significano impunità se l´imputato
fosse colpevole. Le norme incriminanti sono parole inerti fuori dal processo, l´ostacolo
al quale diventa immunità penale
Altrettanto allarmante il secondo aspetto: gli augusti patres, blu, bianchi,
ex-neri, scrivono: «Non possono essere sottoposti a processi penali» e nel
lessico tecnico il nome indica la sequela d´atti aperta dall´imputazione; le
indagini stanno fuori, ma l´interessato a schivarle sosterrà che la formula
abbia senso lato. C´è una parola galeotta nel comma 2: quando parlano dell´intero
processo, tecnicamente inteso, i compilatori dicono «in ogni stato e grado»;
stavolta il binomio diventa trinomio, «ogni fase, stato o grado». Cosa succede
quando bisogni acquisire prove non rinviabili? Ad esempio: la testimonianza del
morente; l´atto ricognitorio che perderebbe gran parte del valore se fosse
differito, essendo labili le impressioni mnemoniche; perizie la cui materia
deperisca presto. In casi simili gli operatori usano l´incidente probatorio:
atti istruttori anticipati, destinati a valere come fossero compiuti nel
dibattimento; ma gl´incidenti probatori sono atti processuali, vietati nel
comma 2. Altrove il caso è previsto: la sospensione non impedisce il compimento
degli atti urgenti (artt. 47, c. 2; 70, c. 3; 71, c. 4; 344, c. 3). Gli artisti
del tempo perso sfoderano un bolso latino: «ubi lex voluit, dixit»; e sapendo
come, dove, a qual fine nascano certe meraviglie legislative, quel silenzio
assume significati sinistri. A parte l´eguaglianza postulata nell´art. 3
Cost., esiste l´art. 112: «il pubblico ministero ha l´obbligo d´esercitare l´azione
penale», regola necessaria al sistema, perché se la scelta d´agire o no fosse
libera, i reati diventerebbero materia disponibile, con una virtuale impunità
delle persone gradite ai dominanti; quel che invocano filosofi, cappellani,
araldi berlusconiani, seguiti dagli opinanti pseudoliberali. L´art. 112 è una
delle loro bestie nere.
Notiamo infine quanto poco generale e astratta sia la previsione. L´art. 1
contempla alti uffici: il presidente del Consiglio viene quarto ma l´utente del
trucco è B.; se le cause milanesi fossero finite a Brescia, nessuno chiamerebbe
alla ribalta i 5 presidenti. Come avviene da due anni, le Camere lavorano pro
domino, tagliando leggi sulle sue abnormi misure. Dei santoni prestano viso e
ugola alla farsa. Nasce morto il cosiddetto lodo e tale rimarrà a Montecitorio,
mercoledì 18. I piccoli Tartufi acclamanti lo sanno: è tutto calcolato; lavora
anche nelle Camere l´équipe cavillante alla quale il Boss, ciarliero, quindi
spesso incauto, paga parcelle astronomiche mai sognate nell´avvocatura (lo
racconta lui; ai bei tempi avvocati insigni, ancora attivi sui 90 anni, morivano
quasi poveri: sia permesso nominarne due, Arturo Carlo Jemolo e Alfredo De
Marsico). Passeranno mesi prima che la Consulta dichiari invalido l´art. 1: nel
frattempo rivive l´immunità parlamentare, esumata dopo 10 anni con lievi
varianti; e gloriosamente le due Camere ridiventano luogo d´asilo, dove i re
del malaffare abbastanza abili da scegliersi la compagnia giusta, ne filano
quanto vogliano, intoccabili. L´ostetrico del parto macabro assale un ex-Capo
dello Stato e la ciurma blu ringhia a comando. Nelle stesse ore l´Immune
proclama da Brescia che «rivisiterà» codici e ordinamento giudiziario.
Traduco, caso mai qualcuno non capisse: vuole pubblici ministeri governativi
agli ordini del castigamatti padano, giudici malleabili, procedure à la carte,
sicché le condanne colpiscano solo i malvisti da chi comanda. Alla sera tiene
filastrocche televisive un capovoga An, il cui partito 10 anni fa mandava alla
lanterna i politicanti dalle mani sporche: i tribunali non interferiscano
obliquamente nella cosa politica giudicando B., accusato d´essersi comprato
delle sentenze; esiste un voto del popolo sovrano, ecc. Il meglio viene l´indomani,
venerdì 6, quando Sua Maestà B., maglione da yachtman al collo, svela la
seconda mossa: incidere organicamente nel sistema, varando l´immunità
parlamentare su modello europeo; verrà utile agli oppositori, sogghigna, perché
«modello europeo» significa apparati giudiziari comandati dal ministro. Sabato
7 celebra l´idea della pena inesorabilmente applicata a chiunque risulti
colpevole. L´11 non l´aspettino nel dibattimento Sme, dove aveva annunciato
dichiarazioni da scuotere l´asse terrestre: l´argomento non interessa più;
dopo il Milan europeo la questione palestinese è l´ultimo «legittimo
impedimento»; ormai ha uno scudo nel lodo. Povera giustizia, illo tempore
corrotta sul Tevere, adesso strangolata e schernita tra Naviglio, Olona, Lambro.
Più che gaffes da loquela sbracata, sono allusioni, avvertimenti, sberleffi (ha
sotto mano gli specialisti, ghost writers e ventrìloqui). Siccome straripa,
coatto a ripetersi, bisogna ridirglielo: lazzi simili hanno un nome tedesco, «Galgenhumor»,
umorismo da forca; già che ci siamo, gli rammento ancora il nome greco della
soperchieria intollerabile dall´Olimpo, «pleonexìa». Spesso le metafore
mitologiche mascherano fini analisi. Lasciamo stare gli dèi: esiste un sensorio
collettivo; sinora l´ha addormentato a metà, ma è sicuro che l´anestetico
lavori all´infinito?