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La favola nera del Cavaliere immune dal giudizio
FRANCO CORDERO
da Repubblica - 21
giugno 2003
Siamo nel quarto anno del dibattimento Sme. Giocata ogni possibile carta
dilatoria (chicane senza quartiere, dal conflitto tra poteri dello Stato alle
tentate rimessioni e ricusazioni) il già contumace B. annuncia «dichiarazioni
spontanee», ossia monologhi senza scomodi contraddittori, e le sbraita, 5
maggio, attento a schivare i temi d´accusa, riservandosi un indefinito séguito:
da allora le udienze vanno deserte perché l´uomo ha un enorme daffare, tra
impegni governativi, gesti da fiera nella campagna elettorale, Champions League;
vituperatissima dal parterre politico, un´ordinanza separa il suo dibattimento
da quello contro i consorti; vuol degnarsi d´indicare lui le date possibili? I
patroni dicono e disdicono. Mercoledì 11 giugno ennesimo forfait: non poteva
venire; non potrà nemmeno nelle prossime udienze già concertate, 17 e 25;
siccome a luglio comincia il famoso semestre europeo; rinviamo sine die,
ventilano melliflui, visto che mercoledì 18 Montecitorio vota quel
"lodo" grazie al quale sarà intoccabile. Allora l´udienza continua,
risponde il Tribunale, notando come lo stallo sia un´anomalia non tollerabile
all´infinito: venga quando vuole; ci sarà l´occasione. Montecitorio cova una
legge ad hoc? Quando sia promulgata, la applicheranno. Succede nella tarda
mattinata. I patroni ringhiano. Negargli la difesa mentre lavora alla pace nel
Medio Oriente! «Questo Tribunale fa politica». La pausa meridiana porta
consiglio. Verrà martedì 17, concedono. Fuori scoppiano i soliti pandemoni. Il
presidente della Camera, scaltra colomba, tace ma lo dicono dolorosamente
stupito. Diventa falco persino l´ex-democristiano dalla mimica suadente: dei
magistrati manomettono la difesa d´uno statista impegnato all´estero; credono
d´essere l´ombelico del mondo? Intuibili i furori blu: siamo allo "stato
insurrezionale"; intervenga il Capo dello Stato; sostituire giudici
popolari ai tre eversori in toga, ecc.
Cose non pensabili prima che uno scorridore d´affari, insediatosi nel cervello
collettivo attraverso gli schermi, ridisegnasse l´Italia secondo logiche da
favola nera. Né lascia dubbi l´art. 494 c.p.p., c. 1: in ogni stato del
dibattimento l´imputato può dire quanto ritiene utile, purché siano argomenti
rilevanti e non turbi lo svolgimento del processo; nel qual caso "il
presidente l´ammonisce" e se il disordine persiste, "gli toglie la
parola". Esistono giudici persino tra i pirati: dove l´imputato
strapotente li tiene in scacco, svaniscono i presupposti del gioco normativo che
Thomas Hobbes chiamava "Commonwealth" e noi "Stato"; allora
tutto diventa possibile. Non vi sarebbe niente da obiettare se lo straparlante
B. fosse ricondotto alla consueta economia processuale: racconta storie
irrilevanti; se ha altro da dire, pertinente alla causa, lo dica perché i
dibattimenti non sono spettacoli dalle mille puntate. Il Tribunale sceglie una
linea longanime. Possibile che in 51 giorni (quanti ne passano dal primo show al
25 giugno) il mago Mediaset non trovi due ore da destinare al processo, magari
senza mettere piede nell´aula, attraverso collegamenti audiovisivi, come quando
barbuglia encicliche?
Cultori d´arte politica motivavano l´attesa del rinvio col voto previsto
mercoledì 18 a Montecitorio: padrone delle squadre parlamentari, può farsi
votare qualunque legge gli torni comoda; stavolta diventa immune dal giudizio. I
signori del Tribunale non stanno al gentleman´s agreement? Preveniamoli
deliberando lunedì 16, consiglia qualche pensoso del bene pubblico. Vengono da
Tortuga i gentlemen. Lo sbalorditivo exploit 2 giugno, poi rinfoderato, è un
decreto-legge che tolga all´Avvocatura erariale le cause penali affidandole a
liberi professionisti, con intuibile scialo: perché?; perché nel dibattimento
Sme l´avvocato dello Stato aveva chiesto la condanna; B. risponde fulmineo. Chi
non lo sapesse, ecco cosa significa "conflitto d´interessi". Dio sa
dove stia il "caso straordinario" nel quale, concorrendo
"necessità e urgenza", l´art. 77 Cost., c. 2, ammette provvedimenti
esecutori da convertire nei 60 giorni. Mercoledì 18, dunque, i 5 presidenti
diventano immuni. Che deliberata così, sia un´immunità invalida, lo vede
chiunque legga la Carta: non siamo più eguali davanti alla legge, se alcuni
sfuggono indefinitamente al processo; l´art. 3 Cost. è derogabile solo
attraverso i meccanismi regolati dall´art. 138 (doppia deliberazione in
ciascuna Camera, con un intervallo d´almeno 3 mesi, ed eventuale referendum).
Spira ilarità amara quando dei bonzi simulano questioni dubbie.
Davanti a spettacoli orribili chi ha buoni sentimenti abbassa gli occhi e
affretta il passo. Succede nell´udienza Sme 17 giugno, pari agli show che il
comico d´Arcore da 20 anni somministra agli italiani. Destano sgomento le
fotografie ma lui manda videocassette ai colleghi dell´Unione europea affinché
ammirino "la statura morale, politica, umana" del loro presidente d´un
semestre. I claqueurs applaudono. La corte dei miracoli gli assegna 10 su 10. I
lettori mi scusino se, non avendo lo stomaco del patologo incallito, guardo
altrove, passando al parto macabro montecitoriano mercoledì sera. Esiste un
precedente 30 marzo 1938, mercoledì anche allora. Fondato l´Impero, Mussolini
non tollera più superiori, nemmeno nella persona d´un re fannullone. Tre suoi
fidi allestiscono l´happening: Achille Starace, segretario del Pnf, cretino
archetipico; Costanzo Ciano, detto Ganascia, presidente della Camera; e suo
figlio Galeazzo, dandy, fatuo ministro degli esteri, genero-delfino atteso da un
plotone d´esecuzione 6 anni dopo, con l´assenso vigliacco del suocero (gli
aveva perdonato quel voto nel Gran Consiglio ma, pauroso dei tedeschi, posa a
eroe tragico). L´occasione è il discorso al Senato con cui il Fondatore dell´Impero
celebra le formidabili macchine militari italiane; banchi e tribune esultano,
nemmeno avessimo debellato perfida Albione e Francia decadente. Montecitorio era
chiuso: clandestinamente convocato dal presidente, acclama la proposta d´istituire
il grado "Primo Maresciallo dell´Impero"; e lo conferisce ex-aequo ai
sommi diarchi. Indi, cantando "Giovinezza", gli onorevoli invadono
Palazzo Madama, il cui presidente Luigi Federzoni, finto gentiluomo sornione e
patriota capace d´ogni puttaneria, risponde da romano antico alla richiesta d´acclamare
il coup de main: no, esistono procedure; votata l´urgenza, propone la nomina d´una
commissione a tre teste, le quali deliberano, essendo sospesa la seduta. Bastano
20 minuti: riferisce il più eloquente nella terna, generale Giovanni Girolamo
Romei Longhena, applauditissimo; l´assemblea vota. Sursum corda. Sua Maestà
incassa male il colpo, allora Mussolini chiede un´expertise al presidente del
Consiglio di Stato. Siamo nelle regole, risponde l´illustre costituzionalista.
Era un modus procedendi inconsueto ma l´art. 46 Reg. e lo stesso art. 55 dello
Statuto "non contengono norme cogenti", puri "interna
corporis". Nel merito l´atto appare ancora meno discutibile: i nuovi gradi
militari sono materia legislativa, tanto più quando i titolari esclusivi siano
Sua Maestà e il Duce; nessuno strappo costituzionale, infine, perché S.M.
resta il vertice militare. Lunedì 4 aprile Vittorio Emanuele, cinico,
misantropo, debole, non stupido, spiega a Mussolini in che conto tenga quel
responso: i professori, specie "quando sono dei pusillanimi
opportunisti", motivano "le tesi più assurde"; "è il loro
mestiere, ma continuo a essere della mia opinione"; sia l´"ultimo
smacco» alla Corona" (R. De Felice, "Mussolini il duce", Einaudi
1981, 23-34 e 847 ss.). L´avrebbe persa in ogni caso. Morale, portano male le
ipocrisie codarde.
I cospiranti all´imbroglio danno a intendere che lo esiga l´interesse
italiano: non è bella figura mandare alla presidenza europea uno sulla cui
testa pendano gravi accuse (come se nel processo Mondatori, dove appariva
mandante d´una baratteria, non fosse già stato prosciolto, grazie a una svista
legislativa, alle attenuanti generiche e al lungo tempo decorso, essendo
condannato il mandatario a 11 anni); urge sospendere i processi. Davvero credono
che così figuriamo meglio lui e noi? All´estero ridono preoccupati,
consolandosi all´idea che "lì non sia possibile" (titolo del vecchio
romanzo, tradotto nella Medusa, dove Sinclair Lewis narrava la nascita d´una
dittatura Usa).