Il golden gol della Cassazione, martedì 28 gennaio, è arrivato
a tempo scaduto. Mentre il presidente della commissione Affari
costituzionali Donato Bruno parlottava a Montecitorio con
Franco Nicolazzi, ministro dei Lavori pubblici nel mesozoico
della prima Repubblica, Silvio Berlusconi, rinchiuso nella
villa di Arcore, studiava i dossier prima della partenza per
l’Inghilterra e gli Stati Uniti e Cesare Previti mordeva
l’ennesimo sigaro nel suo studio romano.
Dopo la sentenza delle Sezioni unite, che ha dato torto agli
avvocati di Berlusconi&Previti e lascia i processi Imi-Sir
e Sme a Milano, tutto si azzera, tranne il tempo che manca
alle sentenze. Mesi di polemiche, scontri parlamentari,
girotondi. Ma anche annusamenti, tentativi di dialogo tra
maggioranza e opposizione, appelli a raffreddare il clima.
Tempo sprecato. Si riparte dal via. Dal Grande Complotto.
«Certo, fin qui abbiamo avuto la massima fiducia nei
confronti del Capo dello Stato, ma quello che è avvenuto con
la sentenza della Cassazione è davvero inquietante», attacca
il portavoce di Forza Italia Sandro Bondi, uno degli uomini più
vicini a Silvio Berlusconi. Negli incubi della Casa delle
Libertà riprende corpo il fantasma della grande manovra per
rovesciare il governo del Cavaliere. Con la magistratura e la
sinistra strettamente alleati. E l’uomo del Colle che
benedice dall’alto.
Come nel ’94, peggio che nel ’94. Solo che all’epoca
l’inquilino del Quirinale si chiamava Oscar Luigi Scalfaro.
Mentre oggi c’è Carlo Azeglio Ciampi. «Ripeto: finora c’è
stata la massima fiducia verso il presidente», prosegue Bondi.
«Ma le analogie con il ’94 sono davvero tante. Anche allora
Berlusconi era a un vertice internazionale quando ricevette il
primo avviso di garanzia. Questa volta la sentenza della
Cassazione è arrivata alla vigilia del suo viaggio in
Inghilterra e Stati Uniti, per parlare della pace mondiale. Ci
riprovano, con mezzi più sofisticati di otto anni fa. Siamo
di fronte al colpo di Stato, a un potere sovversivo che
interpreta le leggi come vuole invece di applicarle».
Il Complotto, accusano gli uomini di Forza Italia, è scattato
l’8 ottobre, durante un pranzo al Quirinale tra Ciampi e
Berlusconi. Quando circolarono alcune ipotesi di modifica
della legge Cirami, in votazione il giorno dopo alla Camera,
studiate dai consiglieri giuridici del presidente. Nella
modifica si specificava che sarebbe stato possibile chiedere
il trasferimento del processo solo in caso di «gravi
situazioni locali». Il giorno dopo il consiglio fu recepito
dal Polo in quello che i giornali chiamarono “il
maxi-emendamento Ciampi”. Necessario per rendere
costituzionale la Cirami.
Oggi i falchi del Polo rivendicano di aver capito tutto già
all’epoca. E sospettano che l’emendamento Ciampi sia
servito allo scopo. Perché proprio quella modifica ha
consentito alla Cassazione di lasciare i processi Previti e
Berlusconi a Milano. «Avete vinto voi. Siamo nella merda»,
confidò l’avvocato-deputato Gaetano Pecorella a un collega
di sinistra.
«Alle undici del nove ottobre si era già capito benissimo
che la legge Cirami, così cambiata, non serviva a nulla»,
ricorda con puntiglio Carlo Taormina. «La verità è che
quando dissi che certi magistrati andavano arrestati, a farmi
dimettere da sottosegretario all’Interno fu la mia stessa
maggioranza. Si sono fatti un sacco di illusioni sui giudici
della Cassazione, alzandogli anche l’età pensionabile. Ecco
il risultato: la magistratura ci ha dato una tortorata in
testa e chi l’ha ricevuta ora deve solo strisciare».
Ora i processi sono l’ultimo dei problemi, tranne che per
gli imputati. Previti è quello che rischia di più. Ilda
Boccassini ha chiesto 13 anni per l’Imi-Sir. «E pensare che
hanno fatto tutto per lui. Dovevano dimostrargli fedeltà fino
all’ultimo», dice il ds Francesco Bonito.
La prova estrema di fedeltà a Cesarone è arrivata da un uomo
di An, l’avvocato-sottosegretario alla Giustizia Giuseppe
Valentino. Con i giudici della Cassazione ancora in camera di
consiglio, ha avuto l’idea di dichiarare che il
trasferimento dei processi era «una scelta obbligata».
Di Previti si parla come della vittima sacrificale. Pecorella
se ne fa una ragione: «Impensabile che Berlusconi possa
essere condannato». E su Previti? Neppure una parola.
Omissione poco saggia per chi siede su una poltrona sempre più
in bilico, la presidenza della commissione Giustizia. La
fazione previtiana ha messo in pista il suo uomo, l’ex
magistrato romano, ora deputato di Forza Italia, Francesco
Nitto Palma. Il profeta del ritorno all’immunità
parlamentare che avrebbe risolto tanti problemi.
Ma è tutta Forza Italia scatenata nell’invocare la resa dei
conti con le toghe. «Dobbiamo risolvere alla radice questa
malattia che si chiama giustizia politicizzata», proclama
Bondi. «E non basta fare le leggi garantiste come la Cirami
perché i giudici le applicano come vogliono».
Taormina stila l’agenda dei prossimi mesi: «Separazione
delle carriere, scioglimento delle correnti dei giudici,
Magistratura democratica e Movimenti riuniti in primo luogo.
Introduzione della meritocrazia». Un programma di fuoco. Una
guerra senza quartiere che minaccia di colpire anche altre
istituzioni. Il Csm, per esempio, dove il membro laico in
quota Forza Italia Giuseppe Di Federico, abbandonando la
prudenza accademica, ha paragonato la sentenza della
Cassazione all’intervento in Iraq: «Si avvicinano decisioni
su Berlusconi che potrebbero essere più devastanti della
guerra». E il Quirinale. Accusato, neppure in mondo tanto
velato, di aver scavato la fossa alla Cirami, e che ora
potrebbe essere messo in difficoltà da una marcia forzata
verso il presidenzialismo. Nell’entourage del Cavaliere,
impegnato a recitare la parte del grande statista tra Downing
Street e i prati della Casa Bianca, circola di nuovo la parola
elezioni in caso di condanna del premier al processo Sme.
«Qualunque sia la sentenza, l’opinione pubblica si rivolterà
contro questa magistratura», promette Bondi. Radicalizzare lo
scontro. Fare le riforme da soli, la giustizia e il resto, sarà
la nuova strategia. Ma gli alleati sembrano freddi. An e i
centristi stanno a guardare. La Lega, pochi minuti dopo la
sentenza della Cassazione, ha perfino abbandonato l’aula di
Montecitorio in segno di protesta. Non per solidarietà con
Silvio e Cesare. Ma contro una leggina sul corpo forestale.
Troppo centralista.
30.01.2003
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