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E adesso?
di Furio Colombo
da l'Unità
- 21 giugno 2003
Il presidente ha firmato. A
noi tutto ciò sembra tragico. Il grande rispetto che portiamo alla sua persona
e al suo ufficio ci impedisce di fare finta di niente.
Noi non abbiamo mai
creduto all’idea di relegare un uomo con la vita, il passato e la reputazione
di Ciampi, nel ruolo di un totem remoto ed estraneo al dramma di vivere in
questi giorni, in questo Paese, una figura cerimoniale isolata dallo sventolio
delle bandierine, dalle bande che suonano gli inni e da impenetrabili mura di
frasi fatte. Noi insistiamo nel considerarlo simbolo dell’unità del Paese,
della Costituzione e di tutti i cittadini. Dunque anche di coloro che in questo
momento sostano senza fiato e senza parola accanto allo spettacolo della
Costituzione mutilata. È stato amputato il principio «La legge è uguale per
tutti». Resta una grande amarezza e molte domande. La prima. Secondo voi il
popolo dell’Ulivo, impegnato e mobilitato su una questione drammatica e senza
ritorno come la immunità permanente garantita per legge a Silvio Berlusconi, può
sciogliersi e andare a casa, come dopo una partita perduta dalla squadra del
cuore? Secondo voi domani, lunedì, ricomincia la vita, e ricomincia il tran
tran quotidiano e la democrazia come sempre? Che io ricordi, solo da bambini si
dice, nel gioco, «ero morto» e poi ci si rialza e si ricomincia nello stesso
ruolo, passando sopra al dettaglio di essere stato colpito.
L’imbarazzo certo è
grande, e tanto vale affrontarlo apertamente. Ricorda la terribile barzelletta
del passante indignato che vedendo un adulto picchiare un bambino, prende la
responsabilità di ammonirlo: «Non ci provi un’altra volta. Il suo è un
gesto ignobile!». Ma poi deve constatare che l’adulto continua a picchiare e
allora si rivolge al bambino: «Senti piccolo, è meglio che te ne vai se no
questo signore ti gonfia la faccia». Più o meno è ciò che ci consiglia
Giuliano Ferrara in un esuberante articolo impaginato - per solennità - a
colonne grandi a pag. 2 de La Stampa (19 giugno). È un «elogio di Berlusconi»
nel quale in sostanza si dice: ce l’ha fatta, dunque è grande. È grande
perché ce l’ha fatta. Glielo avete impedito? No? E allora rendetevi conto che
(qui cito letteralmente): «Ci vuole ben altro che un girotondo o una lezione di
liberalismo o di bilanciamento dei poteri per fermare questa forza della natura».
A giudicare dai fatti
dovremo dire che è vero. Ma si può fondare una politica di opposizione su una
simile constatazione? E soprattutto si può fondare una politica sul
suggerimento non proprio disinteressato di Giuliano Ferrara? Chiede un
intervistatore a Nanni Moretti, la sera in cui è stato approvato il «Lodo
Berlusconi»: «Ma voi non siete un po’ ossessionati dalla denuncia di tutto
quello che fa il presidente del Consiglio?». Giustamente Moretti risponde: «Veramente,
ossessivo è lui».
Aggiunge Moretti: «Si sta
creando un clima spiacevole e chi lo crea non è un semplice cittadino. È il
presidente del Consiglio. Abbiamo toccato il fondo o dobbiamo ancora raschiare?».
Come sanno tutti coloro che hanno visto eventi diversi della vita, il fondo dei
momenti spiacevoli non c’è mai. Ma qui, adesso, il problema non è che fare
se si tocca il fondo. Il problema è: che fare adesso.
Infatti il momento in cui
viviamo può essere riassunto così. Primo, è stata violata la Costituzione.
Come dicono tutti i giuristi italiani (si conosce soltanto il nome di un
giurista che dissente) è stata violata in modo indiscutibile e in modo grave.
Non è una accusa, è una constatazione. Secondo, la maggioranza alla Camera e
al Senato viene usata come una sorta di protesi personale del primo ministro.
Non parla, non ascolta, esegue in qualunque caso e a qualunque prezzo di
immagine e di decenza. E questo purtroppo vale per tutti, anche per coloro che,
personalmente, meritano rispetto e stima. Quando si tratta di ubbidire,
ubbidiscono. E se violano la Costituzione pazienza, benché per alcuni (i
ministri) si tratti della violazione di un giuramento.
Terzo, il nero profondo
del provvedimento è nel fatto che esenta per sempre qualcuno dal rispondere dei
propri reati. È bene porre l’accento su quel «per sempre». È chiaro che
intorno a Berlusconi non sapremo mai che cosa aveva da dire e da dimostrare la
PM Boccassini. Se fossero state storie facilmente smontabili, accuse «manifestamente
infondate» come dice il premier, gli accusati non avrebbero mobilitato e
manomesso tutte le istituzioni di un Paese teoricamente definito «democrazia»,
per impedirlo. Solo alcuni leader africani, in paesi tormentati dalla violenza e
dal disordine, riescono a tanto, e non sempre. Non con una garanzia di esenzione
perenne valida per ogni reato e di fronte ad ogni tribunale. È bene fare
attenzione alla immunità perenne. Non è soltanto il punto più grave della
incostituzionalità di questa legge, è anche una violazione di qualunque
principio, a partire dal diritto romano. Non esiste nei codici la «prestazione
dovuta per sempre».
Quarto, lo scandalo
nazionale giustificato con l’impellente necessità di impedire uno scandalo
europeo (il presidente del Consiglio d’Europa implicato in un processo)
diventa fatalmente e irrevocabilmente uno scandalo internazionale. Ciò che
avrebbe occupato lo spazio dei giorni di udienza, occuperà ogni giorno del
semestre europeo, per buone e per cattive ragioni. Infatti ciò che è accaduto
a favore di Berlusconi è estraneo alla democrazia e le altre democrazie non lo
dimenticheranno neppure per un giorno. Ma chi vorrà avvelenare i rapporti con
l’Italia e denigrarne l’immagine per qualsiasi ragione avrà una clamorosa
ragione per farlo.
***
Un oggetto infetto -
l’immunità senza scadenza - di un imputato di reati gravi, comuni, non
politici, precedenti alla sua attività politica - circola in Europa con una
visibilità e una continuità che è stato strano non prevedere. E non smetterà
di infettare i rapporti tra i governi europei. Berlusconi è stato liberato dal
processo italiano e condannato ad essere segnato a dito nel mondo. Lui e noi.
A questo punto ci dicono,
e lo dicono varie voci autorevoli: al Presidente della Repubblica non si deve
parlare di queste cose. «Lui decide secondo la sua saggezza». A molti di noi
sembra strano, persino insultante, tagliare fuori il Presidente della Repubblica
(per di più un uomo che ha avuto la vita, il passato, l’integrità di Ciampi)
dal dialogo, dalle ansie, da ciò che tormenta una parte non piccola
dell’opinione pubblica del Paese.
Ci dite che c’è una
maggioranza consacrata dal voto. Giusto. Ma se la maggioranza, da sola, bastasse
a rendere indiscutibile qualsiasi decisione parlamentare, perché la
Costituzione indicherebbe quei poteri, pochi ma nitidamente disegnati, che
autorizzano il Capo dello Stato a far sentire la sua voce, eventualmente a
rinviare alle Camere atti che le Camere hanno già approvato? Che rispetto si
porta al Presidente mostrando di credere che saggezza sia solo timbrare il già
fatto come atto dovuto?
***
Non so chi ha inventato la
frase che torna e ritorna e che dice: «non bisogna tirare per la giacchetta il
presidente». La più alta istituzione dello Stato non è la dea Khalì che,
vendicativa e intollerante (in quanto dea della distruzione) non ama essere
coinvolta negli eventi della storia. È un punto di riferimento caldo e caro ai
cittadini, che in questa istituzione hanno, fin dal ritorno della democrazia
italiana, una fiducia istintiva, praticamente ininterrotta nei decenni. Si può
capire e anzi approvare la decisione dei partiti di opposizione di non farsene
mai uno scudo. Istituzionalmente è un dovere.
Ma i cittadini? Se una
parte di essi si sente spinta con brutalità fuori dal processo democratico,
privata di informazioni libere, assediata da accurata censura televisiva da un
lato, e dall’altro dal fiato sempre più pesante di un politico immensamente
ricco che possiede e controlla televisioni e giornali, verso chi i cittadini
dovrebbero rivolgere lo sguardo? In un Paese in cui persino gli esami di Stato
sono inquinati da propaganda politica a favore del re dei conflitti di
interessi, in cui i giudici sono insultati ogni giorno (e scrupolosamente
perseguitati anche dal ministro della Giustizia) e si viene meno persino alla
decenza formale quando un ministro della Repubblica invoca cannonate sugli
immigrati e un altro esplicitamente chiede baionette contro «il pericoloso
esercito degli inermi» (e non si vergogna di ricordare per l’occasione i
Caduti del Piave) a chi dovrebbero rivolgere sguardo e speranza gli italiani?
Chi fa da tutore e da notaio di coloro che non chiedono niente per sè, niente
per la propria parte, ma solo rispetto della Costituzione, della separazione dei
poteri, della libertà di informazione, coloro che ripetono, cioè, frasi,
interventi, parole dette, in circostanze di volta in volta diverse, ma
inequivocabilmente simili, dal Presidente della Repubblica?
Ci dicono e ci ripetono in
molti, riferendosi a una loro esperienza esclusiva, che «in questo modo non
vinceremo mai». Attenzione, se l’alternativa è vincere attraverso forme di
cauto collaborazionismo (mai attuato, fino ad ora da una opposizione
parlamentare che è stata tenace, però spesso accennato e un pochino invocato
da alcuni) con gli autori delle stragi di legalità e del vandalismo deliberato
alla Costituzione; se vincere vuol dire sperare di subentrare alla loro gestione
senza scuoterla, senza impedirla, senza sradicarla, allora che senso avrebbe
vincere? Significherebbe solo mettere i piedi nelle loro orme. Un evento
impossibile da immaginare.