INCAPACE di separare la Repubblica dalla sua tragedia personale, e
di liberare la politica dall´ossessione del suo dramma giudiziario,
Silvio Berlusconi ha scatenato ieri un cortocircuito senza
precedenti al vertice delle istituzioni, attaccando dalle sue
telecamere (trasformate in telecamere di Stato) la magistratura e
annunciando che non si lascerà giudicare dal Tribunale di Milano,
perché il primo ministro è un cittadino diverso da tutti gli altri
e ha diritto all´immunità, non importa quale reato possa aver
commesso. Nel caso Berlusconi la giustizia diventa dunque un´ordalìa,
un giudizio di Dio sottratto alla giurisdizione ordinaria, con una
prova di forza che non ha precedenti e che finirà per deformare l´equilibrio
tra i poteri dello Stato, cioè quel perimetro di rispetto e di
salvaguardia reciproca su cui si basa lo Stato di diritto e la
democrazia.
È un gesto di guerra istituzionale, a poche ore di distanza dalla
pronuncia con cui la Corte di Cassazione ha deciso che i processi di
corruzione contro Berlusconi e Previti devono restare a Milano,
perché non è fondato alcun legittimo sospetto su quella sede
giudiziaria, come sostenevano gli imputati. La cronaca dice che
Berlusconi ha atteso in silenzio fino a ieri, sperando che il feroce
clima di assalto alla magistratura condizionasse il giudizio della
Corte Suprema, e anzi esprimendo un´"assoluta fiducia"
nella Cassazione. Poi, dopo la sentenza, un attacco frontale alla
magistratura nel suo insieme, come se la Corte avesse compiuto un
golpe, un atto irrituale, un rifiuto di adeguarsi non alla legge
Cirami, ma alla volontà politica con cui era stata costruita, come
grimaldello per evadere da Milano.
La disperazione dell´imputato Berlusconi è evidente. Ma l´irresponsabilità
del presidente del Consiglio è stupefacente. Alla vigilia di una
missione internazionale molto importante da Blair, Bush e Putin, con
il rischio della guerra incombente, quest´uomo che rappresenta il
nostro Paese ha trascorso il mattino a occuparsi di una questione
penale che riguarda il suo passato da imprenditore e un volgare,
anche se gravissimo, caso di corruzione, a far scrivere sul
"gobbo" televisivo le accuse al potere giudiziario, a
scandirle davanti al suo operatore privato nella residenza di Arcore:
come un animale braccato, un contropotere minaccioso e oscuro, un ex
statista in esilio. Come se lo Stato, comunque, fosse altrove,
estraneo e lontano.
La sindrome di Sansone a Palazzo Chigi
Simbolicamente,
il messaggio è recitato nella stessa stanza di Arcore e dentro la
stessa inquadratura del giorno fatidico della "discesa in
campo", per accrescere il peso della dichiarazione di guerra
alla magistratura. Tecnicamente, la miseria televisiva e politica
italiana (nel nostro Paese sono la stessa cosa) ha toccato ieri il
suo punto più basso. Convocati per una "conferenza
stampa", giornalisti e operatori di Rai, Mediaset e La7, e
cronisti delle agenzie di stampa si sono trovati spettatori di un
comizio privato, disperato e solitario: pronunciato davanti alla
sola telecamera di famiglia in uno studio posticcio che in realtà
è un set televisivo, approntato apposta per queste occasioni nella
finta villa di famiglia, trasfigurata ormai nel fondale eroico e
simbolico dell´avventura berlusconiana. Non c´è stato spazio per
nessuna domanda, non c´è stato contradditorio, non c´è stata
nemmeno la possibilità di una ripresa spostata di qualche
centimetro rispetto all´inquadratura napoleonica unica e
universale, fatta dall´operatore personale del Cavaliere. Quell´immagine
ha centrifugato in sé, in pochi ma significativi minuti,
giornalismo, pluralismo, populismo e anche quel minimo di decenza
che si pensava sopravvivesse nel sistema informativo unificato d´Italia.
Il furgone Mediaset, casualmente appostato nel parco della villa, si
è poi incaricato di trasmettere alla Rai la "conferenza
stampa" in solitario che il Cavaliere ha confezionato da sé.
Saccà e Baldassarre hanno mandato in onda senza avvertire che la
Rai era il destinatario, non l´autore del servizio e dunque le
normali regole professionali erano, in quel caso, sospese, come se
il servizio pubblico italiano fosse Al Jazeera. Mediaset già
trasmetteva impavida. Il ministro delle Comunicazioni che parla su
tutto, probabilmente era impegnato a polemizzare con Claudio
Amendola e non si è sentito.
Ma queste sono, appunto, miserie, sulle quali il Cavaliere sa di
poter contare per confezionare a puntino la sua politica come un
prodotto televisivo ad hoc, senza fastidiose mediazioni come un
taccuino, una penna, una domanda. Veniamo alla sostanza.
Il messaggio del presidente del Consiglio accusa in sostanza i
giudici di fare politica, di voler "resistere"a chi è
stato scelto dagli elettori per governare, di aver allestito una
vera e propria persecuzione giudiziaria nei suoi confronti, di aver
costretto il Parlamento, dieci anni fa, a rinunciare ad ogni
garanzia per i deputati inquisiti mettendo così nelle mani della
magistratura "il potere di decidere al posto degli
elettori". Riflettiamo su queste parole. Si tratta di un´esplicita
e gravissima accusa di eversione organizzata, ai danni del potere
politico legittimamente eletto, e dunque contro la Costituzione. I
giudici e i pm, o meglio la "magistratura giacobina di
sinistra"sono chiamati in causa come autori di un vero e
proprio attentato alle istituzioni, un golpe giudiziario,
evidentemente confermato e sancito da quell´organo eversivo che è
la Suprema Corte di Cassazione.
riflettiamo su
un altro punto. Queste accuse vengono pronunciate dal presidente del
Consiglio in carica, nel pieno esercizio delle sue funzioni, in un
momento drammatico di crisi internazionale, quando tutte le
democrazie cercano coesione tra le parti e saldezza istituzionale.
La vicenda giudiziaria del signor Silvio Berlusconi, nata tutta
fuori dalla politica, per la presunta corruzione dei giudici da
parte di un imprenditore privato, sta incendiando la politica, lo
Stato, le istituzioni. La sindrome di Sansone domina Forza Italia,
annichilisce An, zittisce i democristiani: soprattutto, ed è più
grave, la sindrome di Sansone governa il Paese. Per questa strada,
il conflitto di interessi che strangola ogni ambizione di statista
in Berlusconi sta soffocando la politica, ridotta a pura
strumentazione tecnica per la fabbricazione di salvacondotti ad
personam, come nello studio di un inventore pazzo. Ora tocca alle
istituzioni, coinvolte nell´incendio da chi non ha più nulla da
perdere, perché teme di perdere tutto.
Ma la gravità, e la novità di questo scontro, non stanno soltanto
qui. C´è infatti qualcosa di più. Berlusconi, imputato come
cittadino (perché indagato quand´era imprenditore) si difende come
presidente del Consiglio, e usa il voto degli italiani come scudo
improprio. Il voto dà la piena legittimità a governare, in tutte
le democrazie, com´è giusto. Ma in nessuna democrazia il voto
cancella di per sé i comportamenti precedenti alla "discesa in
campo", gli eventuali reati, le responsabilità che ne
conseguono. Berlusconi ha invece unito in un impasto inedito e
terribile l´imputato sotto giudizio, il capo della maggioranza
parlamentare che gli confeziona le leggi ad hoc e il capo del
governo che lo difende dagli schermi televisivi, annunciando
"riforme" contro i magistrati che lo vogliono giudicare.
Dicano i liberali italiani, che se ne intendono, se questo uso
improprio del potere annunci o no il sapore di regime. Io dico che
mai, nella Prima Repubblica, abbiamo visto l´esecutivo e il
legislativo riuniti e raccolti nelle mani di un imputato-premier,
pronto a scagliarli con forza contro il giudiziario, a salvaguardia
di sé: e muoiano le istituzioni.
il peggio,
infatti, deve ancora venire, e la disperazione già lo preannuncia.
Berlusconi sa che in caso di condanna in primo grado non sarà
obbligato a dimettersi, perché l´opposizione - com´è giusto -
non gli chiederà di andarsene. Ma è perfettamente consapevole dell´effetto
politicamente devastante di un´eventuale condanna, dell´indebolimento
della sua immagine interna e internazionale, un indebolimento che
potrebbe portare rapidamente ad una perdita di egemonia nel Polo. In
queste settimane che mancano alla pronuncia dei giudici di Milano,
dunque, giocherà il tutto per tutto, riesumando la legge sull´immunità
di modello spagnolo, che sospende il giudizio penale finché il
parlamentare è in carica. È evidente che l´immunità, quando è
costruita a posteriori, contro una specifica inchiesta e i suoi
ultimi atti, su misura per un imputato eccellente, diventa impunità:
e infatti nei mesi scorsi Forza Italia ci provò ma dovette fare
marcia indietro, col Cavaliere che prese le distanze, attento all´opinione
pubblica. Ma adesso, è questione di vita o di morte, come deve
ripetere quotidianamente Previti all´orecchio di Palazzo Chigi. E
il presidente del Consiglio, ieri ha detto a tutti gli italiani che
chi governa deve essere "giudicato solo dai suoi pari, gli
eletti dal popolo". Dunque, no alla giurisdizione uguale per
tutti, sì a una giurisdizione speciale, sospensiva a tempo
indeterminato. Perché il governo "è del popolo, non di chi ha
vinto un concorso".
Così parlò il presidente del Consiglio italiano. Appiccato l´incendio
istituzionale, Silvio Berlusconi è partito per la sua missione all´estero,
incurante dei danni che si lasciava alle spalle. Dopo le rogatorie,
il falso in bilancio, la Cirami, avremo dunque l´immunità tombale.
Legislazione deformata, giurisdizione sfigurata, istituzioni
squilibrate. Forse, senza accorgercene, siamo già in una Terza
Repubblica di rovine statuali. Tutto questo, per un salvacondotto al
cittadino Berlusconi. Prima o poi, davanti alle macerie di ogni
civismo, anche il "popolo" del Cavaliere si chiederà se
ne vale la pena.
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