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Le ragioni del riesame chiesto dal Quirinale
LA COSTITUZIONE E LA MAGISTRATURA
di SABINO CASSESE
 

  dal Corriere - 17 dicembre 2004

 
Il Parlamento dovrà deliberare nuovamente sulla legge di riforma dell'ordine giudiziario, a seguito della richiesta di riesame del presidente della Repubblica. I motivi del rinvio non sono di poco conto. Tre riguardano i poteri del ministro della Giustizia, uno le competenze riservate dalla Costituzione al Consiglio superiore della magistratura. La legge oggetto del rinvio assegna al ministro della Giustizia tre poteri che sono a esso preclusi dalla Costituzione: di indirizzo, di controllo, di ricorso. Il ministro dovrebbe comunicare alle Camere, ogni anno, le «linee di politica giudiziaria». Si tratta di un evidente ossimoro: infatti, la politica non può stabilire indirizzi giudiziari, perché, secondo la Costituzione, la funzione giudiziaria è esercitata da magistrati, mentre al ministro spetta solo l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Per questo stesso motivo, il ministro non può accertare la «sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva» (come vorrebbe la legge rinviata all'esame delle Camere), trasformandosi in giudice di secondo grado. Infine, se il ministro della Giustizia è obbligato ad apporre la controfirma sui decreti di conferimento di uffici direttivi, non può, nello stesso tempo, essere anche legittimato a ricorrere contro le delibere del Consiglio superiore della magistratura che assegnano tali uffici.
L'ultimo motivo del rinvio presidenziale trova la sua base nelle funzioni riservate al Consiglio superiore della magistratura. La Costituzione ha configurato il Consiglio della magistratura come un capo del personale in forma collegiale, che fa, tra l'altro, assegnazioni e promozioni: se queste vengono attribuite a commissioni esterne, il Consiglio viene privato di una funzione a esso conferita dalla Costituzione stessa.
Il presidente della Repubblica ha fatto bene a richiedere una nuova deliberazione del Parlamento. La Costituzione, infatti, ha stabilito l'indipendenza della magistratura come ordine autonomo e l'inamovibilità dei magistrati perché per tutta la prima parte della storia unitaria (e, in particolare, nel periodo fascista) l'influenza dell'esecutivo sull'ordine giudiziario aveva prodotto forti limitazioni delle libertà individuali, specialmente di quella personale, per motivi politici. Ma ciò è ignorato dall'attuale governo, che alterna accanimento contro l'ordine giudiziario a manipolazioni legislative dirette a salvare dai processi e dai giudizi ora questo ora quello.
Nel riprendere in esame la legge, il Parlamento dovrebbe anche riflettere sull'opportunità di conservare la costruzione ad alveare delle funzioni giudiziarie e requirenti, con ben 16 diversi gradi, tanto numerosi che si è stati costretti a ricorrere a denominazioni persino ridicole (ad esempio, funzioni direttive apicali o funzioni direttive di primo grado elevato). Le prospettive della legge che sta tanto a cuore al ministro della Giustizia non sono rosee. Essa dovrà essere messa nuovamente nel calendario parlamentare. Se ne ricomincerà a discutere. Una volta nuovamente approvata con le correzioni richieste dal presidente della Repubblica, il governo avrà un anno per emanare i decreti delegati. Questi diverranno efficaci dopo tre mesi. Il governo dovrà, poi, emanare altri decreti legislativi per coordinare le nuove norme con le altre leggi dello Stato. Infine, il giudizio ultimo sarà rimesso alla Corte costituzionale, che dovrà stabilire se la lunga scala delle funzioni ordinate gerarchicamente dalla legge rispetti la norma costituzionale per cui i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Tanto rumore per nulla?