NELLA sua deriva ogni
giorno più tragica e inarrestabile, Silvio Berlusconi ieri è andato a
sbattere contro lo scoglio dell´Europa, trascinato dalla sua mancanza di
cultura istituzionale, da quel dilettantismo che tanto piace in Italia,
con i muscoli che sostituiscono la competenza, dall´incapacità politica
e più ancora morale di rispondere alle accuse che riguardano il clamoroso
conflitto d´interessi di cui è insieme prigioniero e beneficiario. È
come se tutto il castello posticcio costruito in questi anni attorno a una
leadership fortissima sul piano elettorale, e fragilissima sul piano
politico, fosse crollato di colpo, appena investito dal vento dell´opinione
pubblica europea, fuori dalla campana di vetro domestica, dentro la quale
il dominio proprietario sui media e su pezzi interi di società politica
consente alla realtà virtuale del berlusconismo di galoppare all´apparenza
indisturbata. Il risultato è drammatico per il presidente del Consiglio,
squalificato dalle sue stesse parole nella solenne seduta del Parlamento
europeo, che non aveva mai udito nulla di simile: tanto che si può
considerare la data di ieri come l´inizio ufficiale del declino del
Cavaliere.
Ma insieme, il risultato è amarissimo per il nostro Paese, che paga un
prezzo ingiusto e sproporzionato agli errori e alla natura di Berlusconi,
precipitando nel girone infernale dei Paesi europei sotto osservazione,
per colpa di una leadership che costituisce un´eccezione assoluta nell´intero
continente.
Il semestre di guida italiana della Ue rappresentava un´occasione
irripetibile per l´Italia e per il suo premier. Riflettiamoci un momento.
Paese fondatore dell´Unione, schierato per tutto il dopoguerra a fianco
dell´America ma solo e sempre passando attraverso la costruzione continua
dell´Europa, unendo De Gasperi e Spinelli, l´Italia aveva l´opportunità
di tentare in prima persona una ricucitura tra europei e americani, dopo
lo strappo della guerra. Poteva farlo per i buoni rapporti che Berlusconi
ha costruito con Bush da un lato, e per il suo ruolo storico europeo dall´altro.
Di questa grande operazione avrebbe potuto giovarsi - insieme con tutti i
soggetti politici del nostro continente - in particolare il presidente del
Consiglio, che aveva un bisogno disperato di legittimazione
internazionale, dopo la condotta erratica della sua politica estera, le
improvvisazioni ai vertici, il velleitarismo da piccola superpotenza
mediatrice e arruffona, la mancanza di uno standard da statista
riconosciuto.
Il fattore B che ci allontana dal resto dell´Europa
L´impotenza degli alleati del
Cavaliere è la controprova di una leadership ormai sciolta da ogni
vincolo e trasformatasi in puro istinto e mera forza
In un solo giorno il semestre
italiano è naufragato in una grave crisi Tre i fronti aperti: la frattura
con la Germania, la lite con le sinistr e l´offesa agli eurodeputati
In
più, una forte, convinta e trasparente legittimazione in Europa avrebbe
aiutato Berlusconi anche in Italia, dove la sua politica e il suo
programma dopo due anni arrancano visibilmente. Ecco perché il presidente
Ciampi aveva sottolineato più volte l´importanza di questo appuntamento
casuale (perché fissato dalla turnazione semestrale) ma cruciale.
Conosceva il rischio, che da oggi potremmo a ragione chiamare «fattore B»,
ma vedeva anche l´opportunità: fissare finalmente una netta linea d´azione
europeista per l´Italia, capace di confermare il successo ottenuto con l´aggancio
dell´euro in condizioni difficilissime, e di cancellare quell´antico
pregiudizio anti-italiano che riaffiora implacabile in ogni momento di
debolezza della nostra immagine e della nostra politica.
Il semestre italiano ha invece spazzato via in una sola giornata - la
prima - tutte le straordinarie opportunità che l´Europa ci offriva, ed
è naufragato all´istante in una vera e propria crisi internazionale, con
almeno tre fronti aperti: il primo è la «grave offesa» da parte di
Berlusconi all´Europarlamento, come ha dovuto denunciare ieri sera il
presidente Cox. Il secondo è la frattura con la Germania per l´incredibile
insulto (Kapò) lanciato dal premier italiano a un deputato
socialdemocratico tedesco che gli aveva rivolto critiche politiche, con il
governo di Berlino che in una nota ufficiale ha giudicato «inaccettabile»
il comportamento del nostro presidente del Consiglio. Il terzo è la
polemica con il gruppo europeo dei socialisti e più in generale con le
sinistre che contestavano l´incredibile dichiarazione del Cavaliere
secondo cui il conflitto d´interessi non esiste «perché le mie
televisioni mi criticano». C´è poi un quarto fronte, quello degli
alleati italiani di Berlusconi, e da ieri è il fronte della disperazione.
Bastava vedere l´incredulità sui volti dei ministri Frattini e
Buttiglione, seduti sulle spine alle spalle del Cavaliere, mentre lui
spiegava che «sono solo tre» le leggi da lui stesso varate in suo
favore. E soprattutto, bastava vedere la disperazione di Gianfranco Fini -
che sa da dove viene, lui e il suo partito - mentre Berlusconi attaccava
il tedesco Schultz offrendogli una parte da kapò in un documentario che
le televisioni stanno preparando «sui campi di concentramento nazisti».
Questa volta, Fini racconterà al suo partito in subbuglio ciò che gli è
toccato ascoltare e vedere a Strasburgo. E da ieri, l´uscita di An (o
almeno del suo uomo simbolo, il vicepresidente) dal governo, è qualcosa
di più di una minaccia.
Verrebbe da chiedersi: com´è potuto accadere tutto questo, dove nasce il
cupio dissolvi del Cavaliere, perché nessuno si è preoccupato di
gestire, occultare, educare gli spiriti animali che dominano il presidente
del Consiglio in questa fase? Com´è possibile che in quegli staff e tra
quei consiglieri nessuno abbia avvertito il premier della dogana politica
e morale che corre tra l´Italia berlusconiana di oggi e l´Europa? Che
nessuno abbia capito che la mistificazione e la dissimulazione
propagandistica che sono la regola nell´Italia delle sei televisioni del
re, non hanno corso in Europa, dove esiste una libera stampa, dove valgono
regole precise e comuni, dove c´è un´opinione pubblica non ancora
mitridatizzata da opinion leader compiacenti? L´Europa, oggi, è il Paese
dei parametri di Maastricht, delle regole e dei comportamenti, più che di
una politica e di una politica estera: come si può pensare di farla
franca con il conflitto d´interessi che configura un improprio accumulo
di «potere economico, mediatico e politico» (come ha detto ieri il
socialista Baron Crespo) e sfocia addirittura nell´abuso delle leggi su
misura confezionate dall´imputato-presidente per sfuggire al suo giudice?
Eppure, anche se avevamo avvertito che l´Europa è il tallone d´Achille
del Cavaliere, che la platea europea è diversa dal teatrino addomesticato
italiano, che i giornali stranieri giudicano l´anomalia berlusconiana per
quello che è, a differenza dei giornali italiani, non ci aspettavamo che
lo scontro avvenisse così presto, con questo fragore, e con queste
dimensioni.
Berlusconi è andato incontro al più clamoroso incidente di politica
estera della storia repubblicana come se dovesse compiere il suo destino,
citando Erasmo da Rotterdam, attaccando ancora giudici e comunisti, come
in un´ossessione devastante, quasi non sapesse più distinguere la sua
stessa finzione dalla realtà. La scena era politicamente crudele: il Capo
di un governo europeo, nel momento solenne in cui assumeva la sovranità
delegata della guida dell´Unione, riusciva a mettersi contro il
Parlamento di Strasburgo, e davanti alle critiche reagiva con toni da
gazzarra come in una riunione notturna di partito dopo che si sono perse
le elezioni, con modi, linguaggio, immagini del tutto improprie per la
seduta e per l´occasione.
L´impotenza dei suoi alleati al fianco è la controprova di una
leadership assoluta, sciolta da ogni vincolo, anche quello del buon senso
politico. Una leadership che è puro istinto e pura forza (gli
"attributi" di cui ha parlato ieri la Lega plaudente) nella
convinzione che il berlusconismo allo stato puro, se può dispiegarsi
liberamente, sia sempre vincente.
L´incidente non nasce dunque dal caso, ma è figlio di una cultura, che
determina una politica. È la cultura, oggi vincente in casa Berlusconi,
dei "toni forti", con l´intimidazione degli avversari, gli
insulti, la spallata, un misto di dilettantismo e di forza, nell´illusione
rivoluzionaria di vivere ogni momento come passaggio di una sfida epocale,
fuori dalla mediocrità della politica, ma dentro l´epica populista di un´avventura
mitologica, con il Cavaliere invincibile alfiere della libertà in un
Paese dominato da comunisti e agenti del male che congiurano contro il
bene supremo, coincidente col dominio berlusconiano. C´è, in questo
paesaggio politico fittizio, la rinuncia al vero compito politico supremo
del Cavaliere, la missione necessaria e tuttavia già fallita, dopo la
vittoria elettorale: fondere le diverse anime errabonde delle diverse
destre italiane (postfascisti, leghisti, forzisti, ex democristiani) in
una moderna cultura conservatrice europea per un Paese che non l´ha mai
avuta.
No. Ormai è chiaro che il berlusconismo fa vincere elettoralmente la
destra, ma poi la tiene prigioniera di una sub-cultura muscolare e
gridata, anti-istituzionale, miracolistica, titanica e populista: una
cultura che è fuori dall´Europa, e trascina tutta l´Italia in questa
triste posizione pre-politica, marginale, autarchica e solitaria. Una
posizione tragica per un Paese come l´Italia, trascinata dal Cavaliere
nel suo stesso declino. Un declino che si annuncia terribile, se il senso
dello Stato e delle istituzioni è quello mostrato ieri a Strasburgo.
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