Il ministro Frattini,
nella sua intervista al Corriere dell’1 settembre, si spericola in due
affermazioni: 1) che la decisione dell’ Ethics Board di New York (che
Frattini dà mostra di non avere letto, visto che l’ente in questione si
chiama Conflict of Interest Board ) «è molto più blanda» della sua
legge, e che 2) l’opinione del suddetto Board consiste in un «accordo
tra le parti e non in un obbligo di vendita». Al contempo il premier
Berlusconi dichiarava, tutto giulivo, che il sindaco di New York,
Bloomberg, «non vende le azioni tv, vende il resto». Infine, e di
rincalzo, il professor Mannoni (che deve la sua notorietà al fatto di
essere il mio «fisso» nel contraddirmi) scrive sul Giornale che si
aspetta questa mia obiezione: «Che cosa c’entra l’amministrazione
comunale di New York con i media?». Già, cosa c’entra? La domanda è
sua, risponda lei. La domanda pertinente è invece sulla paragonabilità.
Secondo Frattini, quando lui sollevò il paragone tra i due, gli «venne
risposto che Bloomberg è solo un sindaco e in confronto a Berlusconi è
un piccolo proprietario di tv». Pertanto lo «fa veramente ridere che
oggi ci si lanci sul caso Bloomberg». Eppure, dopo aver debitamente riso,
in quel paragone si rilancia anche Frattini. Incautamente, si vedrà.
Anche se è vero, come è vero, che Bloomberg è un pesce da dieci a cento
volte più piccolo di Berlusconi, entrambi sono pesci della stessa specie,
e cioè sotto ispezione per lo stesso motivo. L’ispezione su Bloomberg
si è testé conclusa. Cosa ci può insegnare sul caso Berlusconi? A detta
di Frattini, come ho già detto, la cura americana è molto più blanda
della sua. Se così fosse, perché non la adotta? Perché vuol essere, con
Berlusconi, più cattivo del necessario?
La «notizia» che piace a Berlusconi è che Bloomberg si tiene la sua tv.
Il fatto che Bloomberg venda il resto (non è esatto, ma il Cavaliere la
mette così) non lo scuote. Invece lo dovrebbe scuotere moltissimo. Via
Publitalia, via le assicurazioni, via tutto? Non ci credo. Ma quel che lo
dovrebbe davvero allarmare è che in tutto il procedimento di New York
nessuno ha mai invocato la Costituzione. In Italia ci è stato raccontato
che toccare Berlusconi era incostituzionale, che toccandolo si violava il
principio della proprietà privata, dell’eguaglianza, e altri ancora. Ma
anche la Costituzione americana tutela la proprietà e l’eguaglianza.
Eppure Bloomberg non l’ha mai invocata a sua tutela. Per l’ovvia
ragione che la difesa costituzionale è speciosa, e che in America non
reggerebbe un giorno.
Dunque, perché viene consentito a Bloomberg di tenersi la sua tv? Io
avevo già previsto otto mesi fa che non sarebbe stata toccata; e questo
perché si riduce a essere un servizio di informazione finanziaria di
nessuna rilevanza politica e senza rapporti di affari con la città di cui
è sindaco. Ma se Berlusconi cadesse sotto le grinfie del Board di New
York, allora è sicuro che la prima dismissione che gli sarebbe stata
imposta è proprio quella di Mediaset.
Imposta? Frattini, Mannoni e soci negano a perdifiato che il procedimento
americano sia obbligante. Anche nella sua succitata intervista, Frattini
sottolinea che Bloomberg e il Board hanno soltanto negoziato. Allora se
Bloomberg dice sempre di sì, deve essere perché è un succubo o perché
è stato folgorato sulla via di Assisi da San Francesco. Possibile? No,
assurdo. È vero che i boards americani emettono soltanto una advisory
opinion ; ma questo non toglie che il loro «opinare» sia vincolante. I
boards non negoziano sull’esistenza o meno di un conflitto
d’interesse; negoziano soltanto su quale ne sia il rimedio. Bloomberg è
libero di dire no; ma in tal caso viene dichiarato in conflitto di
interesse e sarebbe costretto a dimettersi. In materia il testo che ci
arriva da New York è esemplare, mentre la legge per la quale Frattini ora
chiede «tempi strettissimi» di approvazione non è più «dura»; è
invece una turlupinatura.
di GIOVANNI SARTORI
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