MILANO - «Non mi
chiederà ancora una volta se intendo scendere in politica? E' un
tormentone che mi perseguita ormai da mesi. Io faccio l'imprenditore e ho
intenzione di continuare a farlo. L'ho già detto: sono convinto che
esista un'incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura
autocratica che contraddistingue le decisioni di un imprenditore e la
natura democratica che deve contraddistinguere quelle del politico. E poi
in Italia abbiamo già chi ha un ingombrante conflitto di interessi. Non
vorrà che se ne aggiunga un altro? Anche perché sento già le critiche
del mio amico e autorevole garante di Libertà e Giustizia, Giovanni
Sartori. No, mi creda, non è proprio il caso». Tarda mattinata di ieri,
al primo piano di via Ciovassino 1, nell'ufficio di Carlo De Benedetti.
Dietro alle spalle dell'ingegnere, un dipinto di Felice Casorati. Sparse
ovunque, le foto dei figli, dei nipoti e della moglie Silvia. Accanto a
lui, un busto di marmo che ritrae un cavaliere senza testa, «l'ho
comprato a Londra, è un'opera del Cinquecento, serve a ricordarci che
ogni tanto ci vestiamo da guerrieri ma lasciamo la testa a casa». Il
guerriero che ho di fronte, quello in carne e ossa, ha scelto di lanciare
un appello «a tutti gli italiani, al di là degli schieramenti di destra
e di sinistra, per ricostruire l'identità civile di questo Paese, per
riscrivere il patto di cittadinanza che è alla base dello stare insieme e
per fermare il declino dell'Italia nel mondo. Un patto che avrebbe oggi,
come primo firmatario, Indro Montanelli… Il grande leader della società
civile ci ha lasciato un compito: intervenire con la cura giusta quando i
due anni del "vaccino Berlusconi" avranno fatto il loro effetto».
Più politico di così… Ha fondato un movimento, Libertà e Giustizia,
che somiglia tanto a un nuovo partito. Pensa di presentare le liste alle
elezioni?
«Innanzitutto, Libertà e Giustizia non è l'associazione di Carlo De
Benedetti. E' qualcosa di più e di diverso. Conta al momento oltre 2000
soci e, tra loro, così come nei comitati di presidenza e dei garanti
compaiono persone di grandissima autorevolezza morale e civile. Mi è
stato chiesto di dare una mano per contribuire a promuovere l'iniziativa
in fase iniziale e io l'ho fatto volentieri. Oggi sono solo uno dei soci,
nient'altro. Non ci sono partiti in vista per me, e tantomeno per altri.
Libertà e giustizia, infatti, non è e non vuole essere, e dunque non
diventerà, una nuova formazione politica. E questo perché noi tutti
crediamo in una netta distinzione di ruoli tra la politica e la società
civile. Non c'è dubbio che in questo momento i partiti, a destra come a
sinistra, stiano attraversando una crisi profonda, ma io conservo una
piena fiducia nelle forze politiche e considero pericolosa la demagogia
antipolitica che si è diffusa nel Paese…»
Poche settimane fa, su questo giornale, Sergio Cofferati l'ha accusata
proprio di questo: di lavorare contro i partiti. Lei non gli ha replicato
pubblicamente, ma l'ha incontrato…
«Mi viene da sorridere quando leggo che voglio imporre i candidati alla
premiership. Cofferati l'ho incontrato. Ho sentito di alcune sue
preoccupazioni. Spero che tutto quello che ci siamo detti in questa
intervista serva a tranquillizzarlo. D'altra parte ora che anche lui con
la Fondazione Di Vittorio si occupa di attività culturale, al massimo
potremo farci concorrenza sul piano delle idee».
Dica la verità. Lei, come tanti, aspetta il ritorno del suo amico Romano
Prodi…
«E' vero, ho grande stima per lui. Ci siamo conosciuti nella notte dei
tempi e abbiamo avuto anche dei rapporti conflittuali, al tempo della
vicenda Sme… E' una persona a cavallo fra società civile e politica: il
suo pullman rimarrà un simbolo. Lui, Ciampi e Amato hanno gestito una
fase di emergenza in modo straordinario e hanno portato l'Italia nell'euro
fra lo scetticismo di tanti, me compreso. Oggi Prodi ha un background
unico, per merito e per fortuna: è il protagonista in un'Europa che
cambia contemporaneamente regole e perimetro. Per questo, è importante
che resti dov'è fino alla conclusione del processo in atto. Guai se, con
un suo rientro anticipato, l'Italia dovesse fare una brutta figura… Allo
scadere del suo mandato, sarebbe demenziale se l'Italia non si avvalesse
di un uomo come Prodi. In quale posizione, si vedrà…».
Ingegnere, non possiamo non parlare di Fiat. Nel lontano 1976, lei fu per
cento giorni amministratore delegato del gruppo torinese…
«Quando penso alla situazione di oggi provo una gran tristezza. Mi
allibisce pensare che i migliori cervelli del Paese siano occupati, in
queste ore, a capire se abbia vinto o perso Maranghi, mi sorprende che la
crisi Fiat sia trattata dall'opinione pubblica e dai giornali come una
soap opera, con i fratelli che litigano, le mogli che piangono, i cugini
che chiedono, le banche buone, Mediobanca cattiva… L'unica cosa che
dovremmo fare è domandarci perché va così male. E allora scopriremmo
che le automobili che produce non piacciono sempre meno agli acquirenti.
All'azienda servono tre modelli nuovi: uno piccolo, uno medio e uno
grande. Per realizzarli, ci vogliono gli uomini giusti, 4,5 miliardi di
euro e quattro anni di tempo. Ci sono? No. E allora, si va da chi sa fare
le automobili, ovvero dal signor Ghosn presidente della Nissan, dal signor
Folz presidente di Peugeot e si dice: ecco il 10 per cento Fiat Auto
gratis, lavoriamo assieme. Ma lo sa oggi quante auto si fanno al giorno, a
Mirafiori?»
No. Me lo dica lei.
«Appena 900. E si arrivava, in passato, anche a 8 mila. Si stringe il
cuore, ai torinesi come me… Quella è un’azienda che non si può
dimenticare. Mi hanno regalato l'ultima Panda prodotta: una 4 per 4 grigia
con cui giro in montagna. La Panda l'avevo fatta io, 28 anni fa, ed è
l’auto più venduta della storia della Fiat».
Dicono che lei metterebbe volentieri le mani sul quotidiano di casa
Agnelli, La Stampa, attraverso il suo socio Carlo Caracciolo, cognato
dell'Avvocato.
«Con Caracciolo passerò il Capodanno, in Antartide, in mezzo ai ghiacci
(Silvia De Benedetti sta facendo le valigie… porterà il panettone e un
piccolo albero di Natale sulla loro nave Itasca, ed è riuscita a infilare
tutte le giacche a vento in una valigia mettendole sotto vuoto). Quanto
alle mire su Stampa e Corriere della Sera, voglio leggerle un'analisi
dell'Economist, dal titolo "Fiat-Imbroglio": i giornali legati
alla Fiat interessano al premier Berlusconi. Dunque, non tirate in ballo
me, non alzate cortine fumogene… E' scritto qui».
Lei è un uomo ricco, si diverte a girare il mondo. Chi glielo fa fare di
impegnarsi con un gruppetto di intellettuali in quello che qualcuno ha già
bollato come "il girotondo dei miliardari"?
«Guardi, io ho da poco compiuto 68 anni, ho la gioia di avere tre figli
stupendi ognuno dei quali è riuscito con serietà e capacità nelle
diverse professioni che ha creduto di scegliere. Ho avuto la fortuna, dopo
molti anni di solitudine personale, in cui tutte le mie energie sono state
dedicate al lavoro salvo il tempo ritagliato per i figli, di sposare una
persona che continua a insegnarmi le mille sfaccettature della vita
facendomene comprendere la bellezza e la complessità. Intanto ho
proseguito il mio cammino imprenditoriale, anche se in una posizione assai
meno esecutiva che in passato, e oggi con soddisfazione sono a capo di uno
dei più importanti gruppi privati italiani. Un gruppo in crescita, in
utile, fortunatamente senza problemi, che occupa oltre 12.000 persone.
Non ho desiderio né bisogno di visibilità. Da anni non rilascio
interviste e mi limito a scrivere di tanto in tanto sulle grandi questioni
che mi stanno a cuore, dall'innovazione ai problemi economici italiani e
internazionali, dai temi della pace e della guerra alla crisi della classe
dirigente. La verità è che attorno a me vedo un Paese in cui si è
determinata una progressiva crisi civile, che vedo scivolare
inesorabilmente verso l'improvvisazione, la demagogia, il populismo, la
confusione. Un Paese dove la classe dirigente si è impoverita, i
cittadini non sanno più essere quello che devono essere: uomini fra gli
uomini, liberi ma responsabili».
Le responsabilità di questo declino sono collettive…
«Quello che più spaventa, come ci ha spiegato Fernando Savater, è che
ci siano sempre più persone con discreta competenza professionale ma con
perfetta incompetenza sociale, lui li definisce "Idioti Abbastanza
Preparati". Sono uomini civicamente impreparati: individui che non
sanno esprimersi in modo pertinente su questioni sociali, che non sanno
distinguere tra i valori che vanno condivisi e i disvalori ai quali è
doveroso ribellarsi. Diplomiamo e laureiamo asociali che non si
preoccupano d'altro che dei loro diritti e mai dei loro doveri. Molti di
noi si sono ripiegati su se stessi, il nostro tessuto sociale si è
sfilacciato e impoverito, sono venuti meno i valori comuni degli anni del
dopoguerra e del "miracolo economico", manca quella classe
dirigente fatta di uomini come Guido Carli, Enrico Cuccia, Bruno Visentini,
Ernesto Rossi, Francesco Compagna e, prima di loro, Gaetano Salvemini.
Grandi personaggi che, al di fuori dei partiti, hanno contribuito a dare
una spina dorsale al nostro Paese».
Lei crede ancora nella società civile come riserva di valori, contro una
politica incapace di riformarsi. E chi meglio di Silvio Berlusconi
rappresenta il prodotto della società civile? Non c'è contraddizione nel
suo appello?
«Berlusconi va affrontato e sconfitto sul piano elettorale, con un
risveglio delle coscienze. La definitiva affermazione della società
aperta, la mondializzazione, il boom dell'informazione e delle
comunicazioni, la complessità delle relazioni economiche hanno
ulteriormente allargato le responsabilità della società civile. Su
questioni come il conflitto di interessi, la qualità dell'informazione,
la moralità del potere, il rispetto dell'ambiente, l'etica della ricerca,
solo il "tuono" della società può arrivare dove la politica è
di fatto impotente. E' la società, allora, che deve far sentire tutto il
suo peso, prendendo consapevolezza del fatto che un premier non può
controllare l'intero sistema televisivo di un Paese e, quindi, bocciandolo
alle elezioni. Nel resto del mondo occidentale, d'altra parte, funziona
proprio così».
La questione morale non sembra appassionare gli italiani. Il conflitto
d'interessi era lì anche prima del 13 maggio 2001.
«Anche su questo terreno lo spazio civico può fare molto di più della
politica stessa o delle inchieste giudiziarie. Ci vuole un fondamento
etico comune. Se negli Stati Uniti la corruzione è molto meno diffusa che
da noi, ciò non lo si deve certo ai giudici, ma alla sanzione sociale che
colpisce i comportamenti scorretti. Chi sbaglia non solo non viene eletto
in Parlamento ma non entra nemmeno più al circolo del bridge. Lo stesso
vale per la tv. Come può la politica decidere la validità dei contenuti
proposti dalle trasmissioni televisive? E' ovvio che anche qui quello che
conta è la capacità del pubblico, cioè dei cittadini, di scegliere».
C'è chi vi accusa di voler rifondare la Democrazia Cristiana. A lei piace
Prodi, ieri le piaceva De Mita… In fondo, lei è un moderato. Non va ai
girotondi…
«Sono un moderato. Vivo in mezzo ai moderati, fra i miei colleghi di
Confindustria Berlusconi è una delusione: l'hanno votato, non voteranno
mai a sinistra e sono come sospesi. Che Libertà e Giustizia voglia
rifondare la Dc è una stupidaggine. E lo smentisce la trasversalità
civile e non partitica della composizione stessa del Comitato di
Presidenza. Non posso non notare, però, la sostanziale differenza tra un
partito fatto di uomini con alto senso dello Stato e radicamento popolare
come Sturzo, De Gasperi, Vanoni, Zaccagnini e l'improvvisazione, che
spesso sembra nascondere la difesa di interessi puramente personali, di
Forza Italia».
Di nuovo l'antiberlusconismo. Che però, non paga. Anzi…
«Sarebbero guai se il nostro unico collante fosse solo l'antiberlusconismo.
Il comune denominatore devono essere i valori: gli ideali condivisi che
devono fare da nuova spina dorsale del Paese. E siccome, poi, a me non
piace chi parla di valori senza mai citarne uno e magari copre con i
valori una totale assenza di proposte, mi permetta di utilizzare l'ultima
parte di questa nostra chiacchierata per entrare un po' nel merito.
Innanzitutto, le proposte. Ne faremo tante, glielo assicuro. Del resto non
abbiamo perso tempo: già nei giorni scorsi abbiamo presentato con
Innocenzo Cipolletta le nostre idee sull'immigrazione. E oggi terremo a
Torino un convegno sulla regolamentazione dei mercati. Sul Welfare, poi,
contiamo di dare un apporto importante. Se in primavera si dovesse
riaprire il confronto sulla riforma delle pensioni, mi creda, noi ci
saremo con proposte forti. Sono convinto, infatti, e non da oggi, che il
sistema vada rivisto, perché così com'è è iniquo e troppo costoso. E
vedrà che anche sugli ammortizzatori sociali i progetti migliori,
ispirati al modello inglese, saranno i nostri».
Libertà e Giustizia contro Forza Italia. Sembra già di vedere i
manifesti…
«Ma no, semplicemente ridicolo. Per come me l'hanno presentata e per come
la intendo io, Libertà e Giustizia si rifà esplicitamente alla grande
tradizione dell'illuminismo lombardo e vede nell'età dei lumi il
fondamento delle nostre società. Non si tratta di riproporre una ragione
eroica e trionfante, ma di ribadire la fiducia in uno strumento
insostituibile di conoscenza e di progresso, per quanto popperianamente
fallibile e costantemente confutabile».
I Lumi, la Ragione, Popper. Non pensa di andare troppo lontano?
«Non sono una mammola. Non voglio nascondermi dietro a un dito. E' chiaro
però che per battere un cattivo esempio di democrazia, com'è quello che
sta dando il governo Berlusconi, ci vuole una grande rivoluzione
culturale. LeG crede che in una società aperta ogni uomo debba essere
responsabile del proprio agire davanti a se stesso e alla comunità tutta.
Come ci ha spiegato la scienza sociale anglosassone, a cominciare da John
Rawls, scomparso proprio nei giorni scorsi, la società dei liberi non può
che fondarsi sulla responsabilità individuale. E' la libertà, comunque,
che deve restare la nostra prima bussola, il nostro primo valore. Crediamo
in un mondo di uomini liberi, in grado di difendersi sul mercato con i
propri talenti e le proprie conoscenze. Riconosciamo le differenze sociali
come l'esito del confronto tra persone dotate di libero arbitrio. E,
tuttavia, crediamo in un principio di giustizia per cui ci siano pari
opportunità per tutti e in cui le differenze sociali non diventino tanto
ampie da essere percepite come eticamente inaccettabili. Come diceva
Salvemini, con una frase che mi ha sempre colpito per efficacia e
semplicità: "Una società di liberi in cui ci sia per tutti un po'
di bene". (La conversazione è finita, l'Ingegnere parte domenica per
un mese di vacanze in aereo e nave fra Patagonia e Polo Sud. I viaggi non
lo spaventano. Porterà con sé un amuleto che ha sempre nella
ventiquattrore: l'invito a parlare alle Twin Towers il 13 settembre 2001,
alla stessa ora del crollo. Me lo mostra: «sono vivo per caso, come
tanti. E lo sa dov'ero la sera prima dell'attentato? A cena a Washington,
al National Building Museum, con George Bush padre e la famiglia Bin Laden,
tutti invitati dal Gruppo del Carlyle, una compagnia finanziaria americana».
C
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