UNA crisi feroce e volgare, dentro il governo di destra che guida il
nostro Paese, si è aperta e chiusa ieri nel peggiore dei modi. Il
ministro dell´Interno Claudio Scajola, un uomo che ha perso la testa
davanti al quadro gravissimo di colpe, sordità, inadempienze e ritardi
denunciato dalle cinque lettere di Marco Biagi rivelate da
"Repubblica", ha prima insultato la memoria del professore
assassinato dalle Brigate Rosse. Poi ha tentato di negare le sue parole.
Quindi, di fronte ad una situazione di ora in ora più insostenibile,
invece di chiedere scusa e andare a casa, lasciando il governo, ha
concordato con Berlusconi di "offrire" le dimissioni. Il
presidente del Consiglio le ha prontamente respinte e Scajola per ora
resta al suo posto, indebolito e frastornato alla guida degli apparati di
polizia e di sicurezza, in un momento delicatissimo. Per la destra di
governo il caso è chiuso: una sorta di crisi extraparlamentare giocata
nel recinto blindato di Forza Italia, come all´epoca dei monocolori
democristiani, nell´errata convinzione che il partito coincida con lo
Stato, e lo riassuma in sé.
E´ una decisione molto grave, fuori da ogni decenza istituzionale.
Coprendo il suo ministro, ormai indifendibile e al centro di un caso
politico enorme, innescato dalle lettere di Biagi, Berlusconi si è
assunto una responsabilità politica e morale molto forte, perché
indebolisce il governo del Paese e, ciò che più conta, il nostro Stato.
L´emergenza terroristica non può essere invocata a scusante, perché
richiede al contrario uomini credibili e comportamenti limpidi, non una
generica unità come quella chiesta dal presidente del Consiglio, che di
fronte a una condotta inaccettabile sembra invocare piuttosto una
copertura omertosa e preoccupante. Molto semplicemente, Scajola doveva
andarsene. Se non lo capiva da solo, Berlusconi doveva sentire il dovere
di obbligarlo alle dimissioni (vere), perché tutta la bufera Biagi lo
vede ormai palesemente fuori controllo. I fatti degli ultimi giorni
parlano chiaro. Le lettere di Marco Biagi affiorano a cento giorni dal
delitto, e il delitto è irrisolto, così come l´omicidio D´Antona, di
tre anni prima.
CASO SCAJOLA UNA SOLUZIONE INDECENTE
Davanti alla
drammatica denuncia di quelle lettere, che segnalavano pericoli,
prefiguravano un quadro di morte, chiedevano aiuto e si domandavano la
ragione incomprensibile del comportamento dello Stato, Scajola ha pensato
soltanto a difendere se stesso. Di fronte alle rivelazioni che da quelle
lettere sono nate (il presidente della Camera Casini ha spiegato a
"Repubblica" di avere informato il capo della Polizia dell´allarme
e delle richieste di Biagi) dal Viminale non è arrivata nessuna
assunzione di responsabilità. Il capo della Polizia, che ha lasciato
Biagi nudo, ha responsabilità di tipo operativo gravi ed evidenti. Il
ministro, che continua a ripetere di non aver mai avuto coscienza del
pericolo che correva il professore e del suo grido d´aiuto inviato a
tutti coloro che potevano ascoltarlo, ha responsabilità politiche
fortissime e ineludibili, perché il sistema di prevenzione che lui guida
si è dimostrato nel caso di Biagi sordo, cieco, ottuso e purtroppo
drammaticamente inadempiente.
Sabato il ministro ha reagito alla pressione polemica e politica che dopo
la pubblicazione delle lettere lo circonda. E lo ha fatto con un
linguaggio, degli argomenti e un ragionamento che dimostrano semplicemente
come non possa restare al suo posto di governo. «Fatevi dire da Maroni se
Marco Biagi era una figura centrale - è sbottato Scajola durante una
visita di Stato a Cipro -. Era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del
contratto di consulenza». Francamente, non avevamo mai sentito un
ministro della Repubblica liquidare così una vittima innocente del
terrorismo, colpevole soltanto di lavorare per lo Stato e di portare
avanti le sue idee.
Ieri mattina Scajola ha provato a fare marcia indietro. Non potendo
smentire la sua frase, riportata dagli inviati a Cipro del "Corriere
della Sera" e del "Sole-24 Ore", e non avendo il coraggio
di chiedere subito e pubblicamente scusa alla vedova di Marco Biagi e ai
suoi figli, ha scelto di "non riconoscersi" nelle sue stesse
parole. Con questo patetico e impolitico giudizio, il ministro non si è
accorto di tracciare un ritratto psicologico di se stesso, in questo
passaggio drammatico. E´ un uomo di Stato che parla a vanvera, che dice
ciò che dovrebbe tacere, costretto a prendere le distanze dalle sue
stesse parole, incapace di reggere la pressione del momento.
Poiché le parole postume di Marco Biagi lo stanno assediando, con la
potenza drammatica di quell´impotenza inerme, che chiede invano allo
Stato di fare il suo dovere proteggendolo, Scajola se la prende con Biagi.
Era - ieri e oggi - un «rompicoglioni» per gli uomini di questo governo,
impegnati a prendere il controllo e il potere nel Paese dopo averne
conquistato il consenso alle elezioni, indaffarati in questioni più
importanti come le rogatorie, il falso in bilancio, la resa dei conti in
televisione.
In questo quadro, Biagi è un uomo solo, isolato, che non conta in termini
di potere. Chiede la scorta, mentre la si sta togliendo a Ilda Boccassini.
Che vuole? Come si permette? Che sa, lui, delle strategie complesse di
comando e di potere della destra italiana e del suo governo? E´ una sorta
di tecnico a contratto, dice con disprezzo Scajola, insomma un dipendente
pagato. Ringrazi e taccia, lasciando lavorare in pace il governo-azienda:
"Un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di
consulenza", è la squallida epigrafe del ministro che rivela il vero
pensiero della destra italiana: tutto è mercantile, anche le idee, il
riformismo, il senso dello Stato, i valori e i sentimenti degli uomini,
anche le loro paure.
Queste frasi non sono soltanto miserabili, come quelle del replicante
Schifani, che vede nel delitto Biagi un regolamento di conti interno alla
sinistra. Sono l´indice di una cultura politica spaventata e spaventosa,
di un senso delle istituzioni e del governo inadeguato. Per queste ragioni
- che si riassumono in una: la decenza civile - Scajola dovrebbe andarsene
subito, senza furbizie e calcoli tattici. Quella di ieri è invece stata
la giornata delle furbizie, delle paure, probabilmente dei ricatti
interni. Fino ad un esito indecoroso, che risolve il caso come se fosse
una partita da giocare al chiuso, una qualunque gaffe di un ministro
stanco e in surmenage. E invece il caso è aperto, e va ben al di là
della gaffe. Scajola infatti non è un tecnico, come Ruggiero. E´ la
proiezione al governo di Forza Italia, quel partito che lui stesso ha
organizzato e selezionato, uomo per uomo, così conquistando potere: forse
troppo, se sono vere le voci che parlano di una furibonda battaglia in
svolgimento da mesi dentro la destra berlusconiana, con resa dei conti
finale in atto. Oggi, con Scajola colpito e sfregiato, miracolato al suo
posto, i pesi interni a Forza Italia si sono ridistribuiti. Ma lo Stato
paga un prezzo, mentre è facile prevedere l´inizio di una stagione di
vendette.
Resta il fatto che chi pensava di usare le lettere di Biagi per colpire
Sergio Cofferati, non aveva capito niente. E´ vero che l´isolamento
tragico del professore si conosceva, la famiglia lo aveva confermato. Ma
quelle parole, bisogna leggerle, bisogna ascoltarle. Come ha fatto notare
su "Repubblica" Giuseppe D´Avanzo, c´è una drammatica e
inspiegabile simmetria rovesciata tra le denunce di Biagi e gli atti di
governo che progressivamente lo denudano, esponendolo.
Il 9 giugno viene tolta la scorta a Roma. Il 2 luglio Biagi chiede al
sottosegretario Sacconi e al direttore di Confindustria Parisi di
intervenire sul governo per ripristinarla. Il 15 luglio si rivolge a
Casini. Pochi giorni dopo Casini interviene sul Capo della Polizia De
Gennaro. Il primo settembre il professore scrive al prefetto di Bologna
denunciando telefonate minatorie, in un crescendo drammatico. Risultato:
pochi giorni dopo, il 19 settembre, la scorta viene revocata anche a
Milano. Il 21 settembre viene tolta a Bologna. Passano due giorni e il 23
settembre Biagi scrive a Maroni una denuncia-testamento: «Oggi ho
ricevuto un´altra telefonata minatoria, se mi succede qualcosa desidero
si sappia che avevo informato inutilmente le autorità». Il 3 ottobre
salta l´ultima tutela, la scorta di Modena, proprio mentre viene
presentato il «Libro Bianco» che porta Biagi nel cuore della polemica
politica nazionale. La disperazione del professore è lucida. Abituato
muoversi con gli strumenti della logica, scrive ragionando al prefetto di
Bologna: «Provo una profonda delusione per quella che secondo me è un
sottovalutazione dello stato di pericolo in cui mi trovo» .
Qualcuno deve rispondere oggi della drammatica connessione tra questa
tragedia crescente, denunciata in anticipo, quasi urlata, e il disimpegno
progressivo dello Stato dai suoi obblighi. Tanto più che lo Stato sapeva,
da fine luglio, perché Casini aveva informato il Capo della Polizia. E´
questa logica stringente dei fatti che ha messo Scajola con le spalle al
muro, fino a spingerlo fuori strada.
Quel pezzo di destra che ha provato a criminalizzare Cofferati, ora deve
gestire la sconfitta di Scajola e con lui del governo. Mentre governo e
Procura devono rispondere alle domande di Cofferati: chi si è
impossessato delle lettere di Biagi, come e quando, per gestirle oggi con
tempi e obiettivi politici? Chi ha tolto il riferimento a Cofferati
(ripristinato da "Repubblica", che ha ricostruito la lettera
originale) nel messaggio a Parisi, togliendo anche il riferimento alla
fonte «assolutamente attendibile» che racconta a Biagi di oscure minacce
di Cofferati, in epoca in cui tra i due non c´era stata e non c´era
alcuna polemica diretta? Perché quella lettera con l´indicazione delle
«minacce» e della «fonte» non è agli atti della Procura? E quella «fonte»
dovrà essere portata alla luce al più presto: che cosa raccontava a
Marco Biagi? E perché?
La Procura deve fare chiarezza. E il governo, incapace di essere all´altezza
della crisi che ha innescato, deve almeno chiedere scusa per le parole di
Scajola alla famiglia Biagi, ferita e offesa senza una ragione,
volgarmente. In più, il governo deve domandarsi come potrà, con questi
uomini e con questo stile politico, gestire la stagione che abbiamo
davanti. Ieri Berlusconi e Scajola hanno capito che il caso Biagi
pretendeva le dimissioni del ministro dell´Interno: ma hanno provato a
sfidare le regole, sottraendosi a quell´obbligo politico e morale. Da
oggi, quella prova disperata di forza pesa come una prova di debolezza
permanente.
Quanto a "Repubblica", continuerà a fare la sua parte, alla
ricerca della verità di una vicenda oscura, come abbiamo fatto quando
abbiamo ricevuto le lettere: una volta accertata dai destinatari la loro
autenticità, il giornale aveva non il diritto, ma il dovere di
pubblicarle, nell´interesse pubblico. La trasparenza, nell´Italia di
oggi, è un servizio alla democrazia, e può averne paura solo chi ha
qualcosa da nascondere.
EZIO MAURO
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