Al di là delle riforme devolutive o federaliste Berlusconi rilancia il
presidenzialismo. Le due cose sono complementari? Berlusconi lascia capire
che lo sono. Il suo argomento è che tanto più diventiamo un Paese «decentrato»,
tanto più occorre un contrappeso, e cioè un centro forte. E’ proprio
così? Sì e no. Il centro forte è utile quando il federalismo si basa su
poteri concorrenti, su poteri condivisi (come nella riforma del governo
Amato), ma non serve quando si basa sulla cessione (devoluzione) dei
poteri. Se un potere diventa esclusivamente regionale, il centro non
c’entra più. Ciò precisato, se ci guardiamo attorno, scopriamo per
esempio che Germania e India sono federali ma non presidenziali; e che,
viceversa, Francia e Cile sono variamente presidenziali ma non sono Stati
federali. E dunque la connessione tra federalismo e presidenzialismo non
è necessaria. Se Berlusconi vuole ora con nuova insistenza il
presidenzialismo, è perché lo vuole per sé (né lo nasconde). E il
paradosso è che lo chiede mentre appoggia una devoluzione che lo
depotenzia. E’ vero, peraltro, che la richiesta è antica. Il
presidenzialismo era già iscritto nel programma elettorale del Polo del
1994. E in tutti questi otto anni, ogni tanto ne abbiamo sentito
riparlare. Ma senza insistere e, soprattutto, senza mai precisare quale
presidenzialismo . Perché i presidenzialismi sono di due tipi, americano
e francese. Il primo viene detto «puro», mentre il secondo viene detto
«semipresidenzialismo». Entrambi si fondano sulla elezione popolare del
capo dello Stato; ma questo è il loro solo punto in comune. In tutto il
resto sono diversissimi. In questi giorni Berlusconi ha finalmente svelato
che lui punta sul semipresidenzialismo di tipo francese. Bene. Perché il
presidenzialismo puro di tipo americano funziona male in quasi tutta
l’America Latina, e funzionerebbe ancora peggio in Italia. Per contro,
non ci sono controindicazioni per il modello francese (che tra l’altro
è stato innestato su una IV Repubblica che era molto simile, nella sua
configurazione politica, a quella del nostro Paese).
I problemi nascono quando il genio italico vuole innovare. In dottrina è
pacifico che il sistema semipresidenziale è ottimizzato dal sostegno di
un sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Invece no. Nella sua
intervista al Corriere (10 dicembre) il ministro Urbani (che è poi il
solo esperto in materia costituzionale del governo) si pronunzia per un
presidenzialismo «più sistema elettorale proporzionale». Evidentemente
obbedisce a ordini superiori, visto che in passato ha sostenuto anche lui
il doppio turno. Ma convengo con lui che «non è certo impossibile»
affiancare il presidenzialismo al proporzionalismo. Dopodiché trasecolo,
inorridito, quando leggo che «il proporzionalismo può prevedere premi di
maggioranza e sbarramenti per i partiti più piccoli». Trasecolo perché
se questa è la proposta, allora è insensata.
Lo scopo dello sbarramento è di impedire la frammentazione del sistema
partitico. Ma questo ostacolo elettorale funziona solo se i partiti non si
possono alleare per scavalcarlo. In Germania lo sbarramento è del 5 per
cento. Ma verrebbe vanificato se, mettiamo, sei partitini ciascuno con
l’1 per cento del voto si «apparentassero» arrivando così, assieme,
al 6 per cento. D’altra parte il premio di maggioranza presuppone
alleanze, visto che premia, appunto, i partiti che «insieme» vincono una
maggioranza dei voti. Pertanto mettere assieme sbarramento e premio di
maggioranza equivale a cancellare con la mano destra quel che fa la mano
sinistra.
Dicevo che il federalismo non obbliga il presidenzialismo, ma che nemmeno
lo vieta. Inoltre ho concesso (pur preferendo il doppio turno) che un
presidenzialismo può anche essere costruito su un sistema elettorale
proporzionale. Ma chi propone «proporzionale » sbarramento » premio di
maggioranza» è soltanto uno sprovveduto.
di GIOVANNI SARTORI
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