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A sinistra recupero dell’idea di Occidente
IL TABU’ INFRANTO DA PIERO FASSINO
di ANGELO PANEBIANCO
 

  dal Corriere - 11 maggio 2005


L’intervista rilasciata al Corriere domenica scorsa dal segretario dei Ds Piero Fassino conteneva alcune affermazioni la cui rilevanza, sorprendentemente, è sfuggita, se non erro, a tutti coloro che l’hanno commentata. È stata ampiamente discussa la netta presa di posizione di Fassino a favore delle riforme interne attuate da Tony Blair, ma non ci si è accorti del fatto che il segretario ds ha infranto un «tabù» della sinistra italiana: egli ha richiamato e rivendicato il valore dell’idea di «Occidente». Non sembra giusto far passare ciò sotto silenzio. Fassino, dunque, in quell’intervista, dopo aver ricordato, a proposito del rapporto Europa-Stati Uniti, che tra le due sponde dell’Atlantico i legami restano solidi, ha osservato: «Occidente, un termine e un concetto che, se ci si riflette, ancora in un recente passato utilizzavamo assai meno. Oggi quel termine lo avvertiamo come cruciale anche e forse soprattutto perché, nel tempo della globalizzazione e dell’interdipendenza, il mondo si è fatto davvero plurale. Nel Novecento l’Occidente era al centro di tutto, e anche il Paese più lontano si ispirava ai suoi valori. Oggi la categoria di Occidente si fa decisiva, invece, se non altro per differenza: l’Islam, ma anche la Cina, sono realtà assolutamente non omologabili».
Sono parole che qualunque liberale sottoscriverebbe ma sono anche parole che la sinistra, perfino quella moderata, non ha mai usato volentieri. Tirare in ballo la categoria di Occidente significa infatti, secondo certe sciocche convenzioni linguistico-politiche italiane, usare un termine che connota, o connotava, la «destra».
Fassino ha evocato l’Occidente soprattutto sotto il profilo delle affinità culturali. Ma sono chiare le implicazioni politiche. Una conseguenza è che la «comunità euro-atlantica», espressione politico-diplomatica, economica, militare, dell’Occidente, è assunta come un fondamentale valore da preservare per il bene di tutti noi. Ciò significa prendere definitivamente le distanze dall’antiamericanismo del tardogollismo francese. Significa dichiararsi a favore di un processo di unificazione europea che non comporti però allentamento dei legami con gli Stati Uniti. Significa opporsi alle forze (presenti su entrambe le sponde dell’Atlantico) tese a logorare i rapporti fra Europa e Stati Uniti, mandando così in pezzi l’Occidente. E significa ricercare sì amicizia e collaborazione con altri mondi (Islam, Cina) ma a partire dal franco riconoscimento delle specificità dell’Occidente e della sua necessaria, interna solidarietà.
Se a questo discorso di Fassino si somma quanto da lui stesso sostenuto in altra occasione, oltre che da Massimo D’Alema, sulla necessità di esportare democrazia e libertà, il quadro è completo. Esistono, a questo punto, due (e forse più) posizioni di politica estera all’interno del centrosinistra. Nella estesa esposizione che egli fece delle sue opinioni di politica internazionale sul Corriere, il 26 febbraio (e che proprio chi scrive allora commentò), Romano Prodi disse cose che parvero alquanto diverse, nell’ispirazione e nelle implicazioni. E’ normale che, essendo ancora all’opposizione, il centrosinistra cerchi oggi di minimizzare le proprie differenze interne. Ma esse ci sono e verranno fuori quando sarà al potere.
Si può osservare infine che se le posizioni di Fassino diventassero ossatura della politica estera italiana in un futuro governo di centrosinistra ciò determinerebbe, come è sacrosanto che accada in democrazia, solo aggiustamenti di rotta, non rivoluzioni, rispetto alla politica estera dell’attuale governo.