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A sinistra
recupero dell’idea di Occidente
IL TABU’ INFRANTO DA PIERO FASSINO
di ANGELO PANEBIANCO
L’intervista rilasciata al Corriere domenica scorsa dal segretario dei Ds Piero
Fassino conteneva alcune affermazioni la cui rilevanza, sorprendentemente, è
sfuggita, se non erro, a tutti coloro che l’hanno commentata. È stata ampiamente
discussa la netta presa di posizione di Fassino a favore delle riforme interne
attuate da Tony Blair, ma non ci si è accorti del fatto che il segretario ds ha
infranto un «tabù» della sinistra italiana: egli ha richiamato e rivendicato il
valore dell’idea di «Occidente». Non sembra giusto far passare ciò sotto
silenzio. Fassino, dunque, in quell’intervista, dopo aver ricordato, a proposito
del rapporto Europa-Stati Uniti, che tra le due sponde dell’Atlantico i legami
restano solidi, ha osservato: «Occidente, un termine e un concetto che, se ci si
riflette, ancora in un recente passato utilizzavamo assai meno. Oggi quel
termine lo avvertiamo come cruciale anche e forse soprattutto perché, nel tempo
della globalizzazione e dell’interdipendenza, il mondo si è fatto davvero
plurale. Nel Novecento l’Occidente era al centro di tutto, e anche il Paese più
lontano si ispirava ai suoi valori. Oggi la categoria di Occidente si fa
decisiva, invece, se non altro per differenza: l’Islam, ma anche la Cina, sono
realtà assolutamente non omologabili».
Sono parole che qualunque liberale sottoscriverebbe ma sono anche parole che la
sinistra, perfino quella moderata, non ha mai usato volentieri. Tirare in ballo
la categoria di Occidente significa infatti, secondo certe sciocche convenzioni
linguistico-politiche italiane, usare un termine che connota, o connotava, la
«destra».
Fassino ha evocato l’Occidente soprattutto sotto il profilo delle affinità
culturali. Ma sono chiare le implicazioni politiche. Una conseguenza è che la
«comunità euro-atlantica», espressione politico-diplomatica, economica,
militare, dell’Occidente, è assunta come un fondamentale valore da preservare
per il bene di tutti noi. Ciò significa prendere definitivamente le distanze
dall’antiamericanismo del tardogollismo francese. Significa dichiararsi a favore
di un processo di unificazione europea che non comporti però allentamento dei
legami con gli Stati Uniti. Significa opporsi alle forze (presenti su entrambe
le sponde dell’Atlantico) tese a logorare i rapporti fra Europa e Stati Uniti,
mandando così in pezzi l’Occidente. E significa ricercare sì amicizia e
collaborazione con altri mondi (Islam, Cina) ma a partire dal franco
riconoscimento delle specificità dell’Occidente e della sua necessaria, interna
solidarietà.
Se a questo discorso di Fassino si somma quanto da lui stesso sostenuto in altra
occasione, oltre che da Massimo D’Alema, sulla necessità di esportare democrazia
e libertà, il quadro è completo. Esistono, a questo punto, due (e forse più)
posizioni di politica estera all’interno del centrosinistra. Nella estesa
esposizione che egli fece delle sue opinioni di politica internazionale sul
Corriere, il 26 febbraio (e
che proprio chi scrive allora commentò), Romano Prodi disse cose che parvero
alquanto diverse, nell’ispirazione e nelle implicazioni. E’ normale che, essendo
ancora all’opposizione, il centrosinistra cerchi oggi di minimizzare le proprie
differenze interne. Ma esse ci sono e verranno fuori quando sarà al potere.
Si può osservare infine che se le posizioni di Fassino diventassero ossatura
della politica estera italiana in un futuro governo di centrosinistra ciò
determinerebbe, come è sacrosanto che accada in democrazia, solo aggiustamenti
di rotta, non rivoluzioni, rispetto alla politica estera dell’attuale governo.