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DIETRO
PRIMAVALLE I FANTASMI DI SALÒ
EUGENIO SCALFARI
Capisco che la prescrizione d´un reato di strage come
quello di Primavalle del 1973 (perché di questo si trattò, anche se nella
sentenza fu derubricato a omicidio colposo) susciti emozione anche a trentadue
anni di distanza. Ma un´emozione montata col frullatore mediatico, l´evocazione
di memorie lottizzate e non condivisibili, la mobilitazione dei "talk show"
televisivi, la chiamata di correi fisici e metafisici, il tutto servito ad
un´opinione pubblica frastornata, in perenne ricerca di piatti ravvivati col
pepe di Caienna, fa pensare. Di solito la moneta cattiva scaccia dal mercato
quella buona. Nel caso in questione il rogo appiccato da un gruppuscolo di
disperati, nel quale perirono carbonizzati i due giovanissimi fratelli Mattei,
ha scacciato per qualche giorno dalle prime pagine argomenti di ben altro
rilievo e attualità. Questo è un dato di fatto preliminare che merita d´esser
considerato.
Dal frullatore mediatico sono emersi personaggi che avevamo dimenticato a giusta
ragione; altri che nel frattempo avevano mutato pelle e colore assumendo con
spregiudicata disinvoltura nuovi ruoli e nuove tribune e, insieme con loro, è
riemersa un´atmosfera di violenza, di furore, di regolamento di conti,
sapientemente stimolata, una vampata d´inferno artificialmente amplificata, un
"horror" in piena regola popolato di attori tratti da una realtà remota: attori
incanutiti, arrochiti, ma tuttora in cerca d´un qualsiasi palcoscenico dal quale
esibire la propria rabbia e le proprie inaccettabili giustificazioni.
C´è una logica in questa follia? Sì, io credo che vi sia. Ma prima di parlarne
cerchiamo di guardare il quadro con il distacco che il tempo consente a quanti
furono allora testimoni di ciò che avvenne e possono dunque rendere ancora
testimonianza scevra di faziosa partecipazione.
* * *
La contabilità dell´orrore si divide in due partite: quella dei singoli omicidi
mirati e quella delle stragi.
Due partite di eguale efferatezza ma di assai diversa fattura. Redatte entrambe
sulla bocca dell´inferno da demoni di natura opposta: rosi da passioni di
tenebra i primi, gelidi e professionali i secondi; ma entrambi congiunti contro
l´ordine costituito, contro il sistema democratico, contro lo Stato
costituzionale.
Le persone della mia generazione ricordano bene quegli anni. Ricordano le prime
vittime degli omicidi mirati, quelli caduti per mano dei gruppi di estrema
destra e quelli caduti per mano dei gruppi di estrema sinistra.
Dietro Primavalle i fantasmi di Salò
E ricordano le stragi che segnarono l´inizio dei cupi anni di
piombo: piazza Fontana del dicembre ?69 e poi Brescia e poi i treni e poi la
stazione di Bologna e Peteano, e il punto culminante del mattatoio, il rapimento
di Aldo Moro, la sua detenzione il suo omicidio, cui seguì ancora la lunga e
sanguinosa scia fino a Roberto Ruffilli, con i truci "post scriptum" di D´Antona
e di Biagi.
Faida tra opposte ideologie e comune invidia e disadattamento sociale? Certo.
Opposti estremismi? Certo. Disegni eversivi e "golpe" minacciati per influire
sullo svolgersi della politica? Certo.
Nel lungo articolo pubblicato sul "Foglio" di giovedì scorso in cui
Lanfranco Pace abbozza una giustificazione peggiore del suo trentennale silenzio,
c´è una frase, una sola, da cui traluce una scheggia di verità e di sincerità.
Leggetela con attenzione quella frase, che spiega molti fatti di allora e molti
successivi percorsi di quei personaggi che arrivano ai giorni nostri.
«Per noi [di Potere Operaio] l´antifascismo e a maggior ragione l´antifascismo
militante non è mai stato nemmeno alla lontana una priorità. Lo scontro per noi,
nelle fabbriche e nel territorio, era contro lo Stato e le sue articolazioni. Ed
era contro il Pci, equivoco da sciogliere, ibrido da superare. Certo i fascisti
c´erano e dovevamo prenderne atto. Ma controvoglia, come si fa con qualcosa che
ti occupa la visuale e ti distoglie dal vero obiettivo».
Ammazzavano i fascisti e ne erano a loro volta ammazzati, ma per toglier
l´ingombro che ostruiva la visuale e nascondeva gli obiettivi veri: il sistema,
lo Stato, il Pci. Non a caso, quando arrivarono in campo le Br al culmine di
quel percorso di confusa violenza, le forze che si opposero al terrorismo furono
la Democrazia cristiana e il Partito comunista. E a quelle forze, guidate da
Benigno Zaccagnini e da Enrico Berlinguer e sorrette compattamente dall´intera
società italiana, si deve se il terrorismo fu sconfitto senza che la democrazia
fosse stravolta e i diritti fossero indeboliti o addirittura confiscati.
La stampa fece allora interamente il suo dovere. Voglio ricordarlo perché da
tempo è invalso l´uso di accusarla di volta in volta di faziosità e di
conformismo. E poiché il nostro giornale si trovò anche in quell´occasione a
raccontare e a testimoniare i fatti e la verità, dirò anche in che modo cercammo
di adempiere al nostro dovere professionale. Cito da un editoriale di
"Repubblica" pubblicato il 15 gennaio del 1979 con il titolo "Due morti che
pesano sulla nostra coscienza".
«Tre giorni fa un agente di polizia in borghese ha ucciso il giovane Alberto
Giaquinto con un colpo di pistola alla nuca. Cioè sparandogli da dietro mentre
il giovane stava fuggendo. Poche ore dopo un "commando" di estremisti di
sinistra ha ucciso a revolverate il giovane Stefano Cecchetti, "reo" di
frequentare un bar dove si danno spesso convegno estremisti di destra. Sono
entrambi, l´uccisione di Giaquinto e quella di Cecchetti, fatti gravissimi non
solo perché due vite di giovani sono state falciate da una violenza barbara e
inutile, ma anche perché hanno messo a nudo una verità sconcertante: noi
giornalisti "democratici", noi opinione pubblica "democratica", abbiamo cercato
inconsciamente di rimuoverli, di archiviarli al più presto e di dimenticarcene.
Fosse stato ucciso da un agente in borghese con un colpo di pistola alla nuca un
giovane "democratico", noi giornalisti "democratici" e noi opinione pubblica
"democratica" non avremmo dato tregua per giorni e giorni, avremmo chiesto conto
in tutte le sedi di quanto era accaduto, avremmo invocato prevenzione e
repressione e riforme. Ma nel caso di Giaquinto e di Cecchetti la nostra
attenzione è stata distratta, la nostra protesta assente o flebile e passeggera.
Mi sono accorto di questo comportamento leggendo i giornali a cominciare da
"Repubblica" e non esito ad affermare che si tratta d´un comportamento orribile,
quello di pesare il valore della vita e le responsabilità della violenza secondo
i colori di bandiera. Per la parte che ci compete ne faccio pubblica ammenda:
perciò non rimuoveremo i due morti dell´altro ieri, come non rimuoviamo le
cinque donne colpite nella stanza di Radio Città Futura. La sorte di tutti ci
deve toccare e ci tocca allo stesso modo; e allo stesso modo, con la stessa
ferma tenacia, dobbiamo condannare i responsabili ed esigere la loro punizione
esemplare».
* * *
Una cosa ci è sempre stata ben chiara: l´attacco allo Stato democratico e alle
forze politiche che in quegli anni ne assunsero la difesa non ebbe mai gli
aspetti di una guerra civile. Fu, come sopra ho ricordato, l´attacco di bande
terroristiche e prima ancora di estremisti di destra e di sinistra in cerca
d´avventura, drogati di violenza e di inconcreti furori ideologici mentre, nello
stesso tempo, professionisti del killeraggio organizzavano stragi contro
innocenti per elevare la tensione pubblica e piegare la democrazia ai loro turpi
disegni.
Personalmente ho sempre pensato che neppure lo scontro del ?43-45 tra la
resistenza partigiana e le bande di Salò abbia avuto natura di guerra civile.
Non ci fu, dalla parte di Salò, appoggio di popolo. Le milizie del governo
fascista operavano come forze ausiliarie dell´armata tedesca di occupazione,
senza alcuna partecipazione emotiva e tantomeno pratica della popolazione che
dette invece alle formazioni partigiane tutto l´appoggio che si poteva dare in
un paese occupato da truppe straniere.
Ci furono a guerra finita massacri odiosi effettuati da partigiani ancora in
armi, e furono disonoranti per i valori di libertà in nome dei quali la
Resistenza era insorta contro il nazismo.
Nel 1947, con opportuna saggezza, il governo e per esso l´allora ministro della
Giustizia, Palmiro Togliatti, promulgò una generale amnistia per i reati di
sangue commessi in quell´arco di anni.
Quell´atto di doverosa clemenza chiuse la guerra di liberazione. Restano intatti
i valori che animarono (laddove ce ne furono) l´una e l´altra parte e resta
intatto il giudizio, tante volte ripetuto da Carlo Azeglio Ciampi di quale sia
stata la causa e la parte giusta e quale la causa e la parte sbagliata.
* * *
I conti sono dunque stati chiusi da allora e non li ha certo riaperti la
violenza, lo stragismo e il terrorismo degli anni di piombo che furono e sono
questione della magistratura ordinaria.
Qual è dunque la finalità che sta dietro al frullatore mediatico che ha montato
l´"horror" del rogo di Primavalle con tutto il seguito (ultra-noto e
ultra-analizzato) degli annessi e dei connessi? La probabile finalità non è la
ricerca della verità, che per la parte ancora ignota spetta alla magistratura di
ricercare oppure non sarà mai raggiunta. Si vuole invece riaprire il tema di
Salò. Si vuole rimettere in discussione un punto fondamentale e cioè la base di
legittimità su cui è nata la Repubblica e la Costituzione repubblicana. Si vuole
metter mano, appena sarà politicamente possibile con la scadenza del settennato
di Ciampi, ai principi enunciati nella prima parte della Costituzione, fondati
sui valori della democrazia e dell´antifascismo.
Il primo passo su quella strada si chiama Salò. A chiudere quella questione
l´amnistia del 47 non basta più. Si vuole il riconoscimento dello "status"
di combattenti per le milizie fasciste e la loro completa equiparazione morale e
materiale alle formazioni partigiane. Con il che non si cambia soltanto lo stato
giuridico degli individui che militarono nella parte sbagliata e in difesa di
valori negativi, ma (questo è il vero obiettivo) si vogliono cambiare i
fondamenti dello Stato repubblicano, la sua identità e la sua legittimazione
storica.
Temo (ma spero di sbagliarmi) che il sapiente montaggio dell´"horror" di
Primavalle sia strumentalizzato (o strumentalizzabile) a questo fine, ben più
gravido di conseguenze politiche e morali. Ma confido che la saggezza della
pubblica opinione non cada nelle trappole del "trash" a tutti i costi e
preferisca semmai gli "horror" di Dario Argento a quelli di Lollo e dei suoi
compagni di crimine, più o meno ravveduti.