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Sesso e casinò, arrestato Vittorio Emanuele
Coinvolto in un'inchiesta su riciclaggio, videopoker e prostitute


 

dal Corriere - 17 giugno 2006  

Vittorio Emanuele di Savoia, 69 anni, è stato arrestato ieri pomeriggio nel Lecchese su richiesta della Procura di Potenza. L'indagine coinvolge 17 persone per i reati di associazione a delinquere, corruzione e sfruttamento della prostituzione.
L'inchiesta, coordinata dal pm di Potenza, Henry John Woodcock, è partita dall'attività di una famiglia potentina che gestiva il mercato dei videogiochi e ha portato gli inquirenti fino a Campione d'Italia e al riciclaggio di denaro.
Agli arresti domiciliari anche Salvatore Sottile (portavoce dell'ex ministro Gianfranco Fini, estraneo all'inchiesta) e il sindaco di Campione d'Italia, Roberto Salmoiraghi.
«Sono esterrefatto» è stata la reazione alla notizia del figlio del principe, Emanuele Filiberto.


«Corruzione e falso» Vittorio Emanuele in cella a Potenza
Inchiesta su truffe, videogiochi e prostituzione Arrestato sul lago di Lecco, poi trasferito al Sud
Fulvio Bufi

Un viaggio attraverso l'Italia, da nord a sud, con una scorta tutta per lui che non lo perde mai d'occhio forse Vittorio Emanuele di Savoia se l'era immaginato tante volte quando era in esilio. Ma non un viaggio come quello che ha fatto ieri e stanotte dal Lago di Como fino a Potenza, con la scorta che effettivamente non lo ha mai perso d'occhio. Perché il viaggio, il principe lo ha cominciato con le manette ai polsi e lo ha concluso nel cortile del carcere, e la scorta erano gli agenti che nel pomeriggio lo avevano arrestato con una accusa pesante che gli muove la Procura del capoluogo lucano: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e allo sfruttamento della prostituzione.
Il nome di Vittorio Emanuele è in cima a un elenco di tredici arrestati e altri undici indagati contenuti in un'ordinanza di oltre duemila pagine firmata dal gip di Potenza Alberto Iannuzzi che ha emesso i provvedimenti d'arresto su richiesta del pubblico ministero Henry John Woodcock. Da oltre due anni il pm sta conducendo un'inchiesta su una organizzazione di truffatori che è già sfociata in alcuni arresti poco più di un mese fa. Ma l'indagine si è sviluppata in più tronconi, e quello che ora vede coinvolto Vittorio Emanuele riguarda irregolarità nelle concessioni dei videogiochi utilizzati a Campione d'Italia. E sempre nella cittadina del casinò sarebbe stato organizzato il giro di prostituzione per il quale l'erede di casa Savoia è accusato.
GLI ALTRI — Con Vittorio Emanuele sono state arrestate altre 12 persone, sei delle quali hanno ottenuto i benefici della detenzione domiciliare. Tra loro il sindaco di Campione d'Italia, Roberto Salmoiraghi, e un altro nome di rilievo: quello del portavoce di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile, al quale sono stati concessi i domiciliari, come a Giuseppe Rizzani, delegato dei Savoia per la Lombardia, in compagnia di Vittorio Emanuele quando è stato avvicinato dagli agenti all'imbarcadero di Villa Cipressi a Varenna. Tra gli altri destinatari delle ordinanze del gip due faccendieri arrestati lo scorso mese di maggio: Massimo Pizza e Achille De Luca. Entrambi erano già accusati di aver truffato numerosi imprenditori promettendo investimenti esteri ma appropriandosi in realtà del denaro che veniva loro affidato. E dal materiale raccolto durante quell'inchiesta, il pm Woodcock è risalito a una famiglia di malavitosi siciliani (alcuni dei quali fanno parte dei 13 arrestati) e ha quindi ricavato gli elementi per avviare l'indagine sui videogiochi e sulla prostituzione giunta ieri alla clamorosa svolta.
PEDINATO E FOTOGRAFATO — Fino a notte i legali dei Savoia non sono riusciti a ottenere informazioni relative alla posizione di Vittorio Emanuele. Uno degli avvocati milanesi che curano gli interessi della famiglia, ha provato a contattare il pm, ma telefonicamente il magistrato non ha ritenuto di spiegare le accuse che vengono mosse al principe. Secondo quanto filtra dal riserbo delle indagini, sembra però che Vittorio Emanuele fosse da tempo nel mirino degli investigatori, che lo hanno pedinato e fotografato, soprattutto nei suoi frequenti spostamenti attraverso il traforo del Monte Bianco, dove, secondo i magistrati, poteva contare sulla compiacenza di un funzionario doganale finito anche lui sotto inchiesta. Molti di questi viaggi (da uno dei quali Vittorio Emanuele tornò portando con sé una carabina) sarebbero da ricollegare, sempre stando a quanto emerge dalle indagini, all'illecito giro di videogiochi e anche allo sfruttamento della prostituzione. Un aspetto, questo, che vedrebbe il principe con un duplice coinvolgimento: organizzatore a beneficio di facoltosi clienti che frequentavano il casinò, e lui stesso fruitore, con incontri che si sarebbero però svolti solitamente in Svizzera o in Francia.
DA VARENNA A POTENZA — L'arresto di Vittorio Emanuele è avvenuto senza grande clamore, nonostante la presenza di numerose persone. Gli agenti lo hanno avvicinato e lo hanno informato del provvedimento a suo carico. Poi il principe è stato portato via e poco dopo è cominciato il viaggio verso il carcere di Potenza. Vittorio Emanuele, senza giacca e con una camicia chiara, è stato fatto sedere sul sedile posteriore di un'autocivetta, una Punto grigia che sul tettuccio aveva il lampeggiatore lasciato però spento. Il poliziotto che lo accompagnava si è sistemato avanti, accanto all'autista. L'auto ha viaggiato scortata da una seconda vettura civile, una Fiat Bravo rossa, sulla quale c'erano altri due agenti. Solo a tarda notte l'arrivo a Potenza.


Lo choc e la rabbia dei Savoia
Il figlio: sciopero della fame

Emanuele Filiberto: preso come un bandito, un altro caso Tortora
Spero che il magistrato sia certo delle sue accuse, altrimenti sarà l'ultimo dei suoi blitz. Potevo convocarlo e lui non si sarebbe sottratto
Marisa Fumagalli

MILANO — Sconforto, rabbia, sconcerto. La famiglia Savoia è sotto choc. L'arresto e le gravissime accuse che un pm di Potenza ha rovesciato su Vittorio Emanuele sono da capogiro. Per chiunque, figurarsi per gli eredi della Reale Casa d'Italia. Che, tuttavia, non si piegano. Anzi, reagiscono con fierezza e parole durissime. «L'hanno preso come un bandito. Un delinquente da strada. Vergogna», s'indigna il figlio Emanuele Filiberto. «Sono all'estero, ma parto, parto subito. Voglio incontrarlo in carcere. Mi hanno già fatto sapere che dovrò aspettare. Quanti giorni? Non ci sto. Faccio lo sciopero della fame», incalza. «E' un altro caso Tortora», sibila, al telefono. «Mio marito è un uomo malandato di settant'anni, l'hanno trattato in modo ignobile», si rammarica Marina Doria, moglie di Vittorio. La principessa è a Milano, confortata dall'avvocato Ludovico Isolabella, intimo dei Savoia. Parliamo anche con il legale, che trattiene le lacrime a fatica. Ma poi si fa forza e va all'attacco: «Questa è un'operazione di denigrazione pubblica. Il principe è stato arrestato senza il difensore, e gettato in pasto ai media. Un fatto gravissimo. Un'aggressione alla persona». Amedeo di Savoia Aosta, il cugino/rivale nelle passate schermaglie per la riconquista di un improbabile trono, nell'ipotetico nuovo avvento in Italia della Monarchia, offre solidarietà incondizionata a Vittorio Emanuele. Lo raggiungiamo, mentre è in viaggio da Napoli verso la sua casa in Toscana. «Ho appena saputo dell'arresto — sillaba —. Sono incredulo, frastornato. E' vero, tra me e Vittorio Emanuele c'è stato qualche dissapore, ma in questo momento tutto è cancellato. Sappia che se ha bisogno di supporto, io ci sono. Nel rispetto della legge italiana, sarò il suo difensore più strenuo».
Le ore passano frenetiche, i telefoni sono roventi. Mezzo mondo chiama la famiglia del principe. Certo, in anni lontani, il figlio dell'ultimo re d'Italia era stato toccato da gravi disavventure giudiziarie. Ma ormai le sentenze e il tempo avevano fugato ogni ombra.
Anche le pene del lungo esilio erano state riscattate dal rientro in patria.
Lo ricorda Emanuele Filiberto: «Non ha sofferto abbastanza? Non è bastato mezzo secolo di emarginazione? — si sfoga — Vogliono infangarlo, umiliarlo con accuse assurde. Imputazioni che nulla hanno a che vedere con la personalità di mio padre. E' un uomo anziano, malato. Ha i polmoni che non funzionano, prende medicine.
Hanno esercitato su di lui inutili crudeltà».
Il figlio, l'unico figlio di Vittorio Emanuele, padre di una bimba e in attesa di un secondo bambino dalla moglie Clotilde, stava vivendo un momento felice, assieme alla sua bella famiglia. L'arresto del padre è arrivato come fulmine a ciel sereno. «Ancora non ci credo — dice Emanuele Filiberto —. E' un incubo. Un brutto sogno dal quale m'illudo di risvegliarmi». Poi, riflette: «Se il magistrato l'avesse convocato civilmente per chiedergli conto dei fatti, lui, certo, non si sarebbe sottratto». «Spero che il pm in cerca di pubblicità sia certo delle accuse che muove, sennò sarà l'ultimo dei suoi blitz». «Chiunque — afferma — può rendersi conto che mio papà non è persona da aver bisogno di gestire certi traffici. Sfruttamento della prostituzione? Non scherziamo. Una piccola cosa mi consola - confida il giovane Savoia - Ho ricevuto tantissime telefonate di solidarietà. Mi hanno chiamato anche molti politici, della passata e della presente maggioranza».
Abbiamo ricevuto tantissime telefonate di solidarietà.



MISERIE E NOBILTÀ. L'ESILIO E GLI AFFARI
La vita senza legge dell'uomo che si è creduto re
In Svizzera fa da intermediario per vendere elicotteri. Il suo nome nelle liste della P2


Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria; ma a lungo in famiglia l'hanno chiamato Totò.
Se è finito così, la colpa è anche un poco nostra: attendendo tanto a lungo che cadesse il veto al suo ritorno, Vittorio Emanuele si è convinto di essere sul serio l'erede di Carlo Alberto e del padre della patria di cui porta il nome. Il suo dramma è stato di sentirsi davvero il mancato re, possibilmente di prima del 1848 e della concessione dello Statuto; e quindi di comportarsi come un monarca, non impegnato dalle leggi, libero dai tediosi vincoli che regolano la vita dei sudditi. La Repubblica, come Vichy per de Gaulle: nulla e non avvenuta. Se doveva scrivere una lettera al presidente, la indirizzava al «sig. Pertini, palazzo del Quirinale»; come ci si rivolge a un inquilino moroso che ha occupato una casa altrui. Se gli chiedevano delle leggi razziali firmate dal nonno, rispondeva che «non erano poi così terribili», e insisteva fino a quando avvocati accorti gli facevano notare che così il ritorno si sarebbe allontanato. Se doveva annunciare il programma da principe, scriveva (nell'autobiografia
Lampi di vita): «Voglio fare qualcosa per la mia patria: aiuterò le piccole imprese». Ieri l'hanno arrestato per truffa ai danni di piccoli imprenditori, e sfruttamento della prostituzione.
La brutta storia di Potenza, fatta salva la presunzione di innocenza comune ai reali come ai cittadini qualunque, nasce anche così. Da quella leggerezza che accompagnata a un potere autentico può renderlo meno greve, ma che quando non si sono raggiunte molte cose — ad esempio la padronanza della lingua del Paese su cui si vorrebbe regnare — condanna a un'inconsistenza ai limiti della vacuità.
Da un'altra storia ancora più brutta — isola di Cavallo, 17 agosto 1978, il giovane tedesco Dirk Hamer ferito a morte da un colpo partito dalla barca del principe — Vittorio Emanuele uscì assolto, dopo essere entrato nel tribunale di Parigi in manette. Ma neppure allora seppe trovare le parole giuste: «I giudici francesi hanno stabilito che non ho fatto nulla, anzi, che non è successo nulla».
Aveva otto anni, quando deve lasciare prima il Quirinale, dove viveva, e poi Napoli, dov'è nato il 12 febbraio 1937, per l'esilio. La malinconia e la gravità del padre Umberto gli sono sconosciute. La principessa Maria Gabriella non lo invita a una festa campestre, e Vittorio Emanuele sale sull'aereo per bombardarla di pomodori (è lui stesso a raccontarlo nell'autobiografia). La madre Maria José gli parla della Ferrari del fratello Leopoldo del Belgio, e lui per impressionarla guida a 250 all'ora sull'autostrada per Reims. All'esilio austero in Portogallo preferisce quello mondano in Svizzera, lo chalet di Gstaad, la villa di Ginevra con 30 stanze e piscina coperta, l'amicizia con il conte Agusta e Reza Pahlevi. Lui fa da intermediario per vendere gli elicotteri. Dello scià è ospite per le

nozze con una campionessa di sci acquatico osteggiata dal padre («ho anche raccolto un dossier per dimostrare che Marina ha nobili origini, invano») e celebrate prima a Las Vegas e poi appunto a Teheran. Affari, mediazioni, traffici. D'armi, ipotizzò il giudice veneziano Mastelloni. L'incontro con Licio Gelli. C'era anche il suo nome nelle liste P2:
Vittorio Emanuele entrò in manette nel tribunale di Parigi quando fu processato, e assolto, per l'incidente avvenuto sull'isola di Cavallo il 17 agosto 1978: il giovane turista tedesco Dirk Hamer fu ferito a morte da un colpo di pistola esploso dalla barca del principe «Savoia Vittorio Emanuele, casella postale 842 Ginevra, tessera numero 1621».
L'amore per l'Italia è sincero: per tornarvi non si è risparmiato umiliazioni, alternate a scatti d'orgoglio che in un attimo gli costavano più di quanto aveva guadagnato in anni di umiltà. «Se incontrassi per strada Ciampi non gli chiederei nulla. Io e mio figlio non aspettiamo l'elemosina da nessuno! Gli direi buongiorno perché ho rispetto per la carica, non per la persona». Poi però a Ciampi scrisse una lettera dignitosa, così come a Cossiga — «Vittorio Emanuele è un uomo semplice» fu il definitivo giudizio del presidente emerito —, a Scalfaro, a Wojtyla e al vescovo di Susa. Si è anche appellato alla convenzione di Schengen e alla Corte europea di Strasburgo. Grato per il sostegno ricevuto, alle scorse politiche ha annunciato il voto a Berlusconi.
Tutto per un rientro che sarebbe generoso definire trionfale. Davanti al Duomo di Napoli lo accolgono con le bandiere dei Borboni: il principe è contestato da destra; ai nostalgici di Franceschiello si uniscono i missini della Fiamma tricolore e i disoccupati organizzati; al grido «traditori, jatevenne» i Savoia guadagnano la cappella di San Gennaro da un ingresso secondario, tra fumogeni e getti d'acqua. Ugo D'Atri presidente della guardia d'onore del Pantheon tenta di reagire e innalza le insegne sabaude; gliele strappano e le bruciano sul sagrato. Lo stile dei principi è quello di Antonio Fazio, l'inviato delle Iene Enrico Lucci viene malmenato dalla scorta.
Eppure qualcuno cominciava a prenderlo sul serio, il re mancato. La sera di quello stesso rocambolesco 15 marzo 2003, a Napoli, trecento aristocratici lo attendevano in piedi al San Carlo. Il lungo applauso commosse il principe, che si portò poi a Torino con quaranta medaglie da assegnare ai sostenitori (scese ovviamente al Principi di Piemonte, dove aveva riservato la suite da 70 metri quadrati con vista su Mole e Superga, più 25 stanze per i dignitari al seguito).
C'era un'Italia cui Vittorio Emanuele non dispiaceva, che anzi se lo contendeva, agitandosi per una foto, un invito, un party, badando a dividerlo dal cugino Amedeo (l'ultima volta che si erano incontrati in società, alle nozze del principe Felipe di Borbone, era finita a pugni). Ora che è in carcere, sarebbe ingeneroso prendersela con lui. L'Italia a lungo ha coperto di contumelie i suoi gloriosi avi, che pure l'avevano fatta. Ma il mondo invecchia, e nell'infinita vertigine dei possibili tutto è dato; anche che il successore di Vittorio Emanuele II attenda in un carcere di Potenza che il tribunale della libertà esamini il suo ricorso.