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Francesca Paci, Fare carriera con l'islam
Dalla STAMPA del 29 gennaio
2007:
Marco De Martino è nato a
Napoli nel 1964. All’inizio degli anni ‘80 frequenta gli ambienti dell’estrema
destra partenopea e i campi hobbit, i raduni dei giovani neofascisti. Nel 1985,
dopo il diploma alla scuola alberghiera, parte per Londra per andare ad imparare
l’inglese. Trova invece lavoro nella moda e non torna più in Italia. Nel 1987 si
converte all’islam sciita, prende il nome di Amir e sposa una ragazza iraniana.
E’ la nuova vita: si laurea in lingua persiana e studi islamici, ottiene una
docenza all’Islamic College for Advanced Studies e nel 1996 comincia a
collaborare con l’Islamic Centre of England, dove, in breve, fa carriera. Oggi
occupa uno dei ruoli chiave del centro, è il responsabile delle relazioni
interreligiose, tiene conferenze e, all’occorrenza, guida anche la preghiera del
venerdì. Salam aleikum, sorella», saluta Amir portandosi al petto la mano destra
che l’ortodossia gli impedisce di porgere a una donna. Una ragazza sulla
trentina avvolta nel chador sorride e abbassa lo sguardo: sebbene Amir sia stato
il suo maestro di esercizi spirituali non si è ancora abituata a sentir parlare
in italiano qui, nella sala di preghiera dell’Islamic Centre of England. Questo
è il tempio dello sciitismo londinese, tenuto d’occhio da Scotland Yard dopo le
bombe del 2005 come alcune altre moschee cittadine, la casa-madre dove 5 mila
fedeli di ogni nazionalità dialogano in inglese, ripetono le sura del Corano in
arabo, leggono «Ettela’at», la rivista in lingua farsi.
Marco Amir De Martino ha 43 anni, ma la «umma», la famiglia del Profeta, lo
considera un veterano, rispettato dalla diaspora khomeinista e dai convertiti
come lui. Un italiano che ha fatto fortuna all’estero: è il responsabile delle
relazioni interreligiose dell’Islamic Centre e insegna all’Islamic College for
Advanced Studies, quello finito nella bufera nel 2006 dopo l’inchiesta del «Times»
sugli studenti educati a odiare gli infedeli. Un curriculum interessante, anche
per i servizi segreti: «Mi conoscono, è capitato che chiedessero di me,
“l’italiano”. A casa mia però, non sono mai venuti: io non nascondo nulla».
Croci celtiche e Corano
«Arrivai a Londra per studiare. A Napoli avevo fatto l’alberghiero e dovevo
imparare l’inglese. Era l’85, mio padre si era appena convertito, ma a me
l’Islam non interessava. In casa c’erano i libri di Evola, Guenon, la filosofia
neopagana, tomi e tomi sul sionismo... Io però volevo capire il mondo più che il
rapporto tra uomo e Dio. A Londra trovai lavoro nella moda, prima da Burberrys e
poi nel made in Italy».
Sembra una vita fa. Quando al posto dell’anello con l’ambra amata da Maometto,
Marco sfoggiava la celtica e frequentava i campi hobbit, i raduni dei giovani
missini cresciuti con «Il signore degli anelli» e «Mein Kampf». Il padre, Luigi
Ammar De Martino, militante nell’estrema destra partenopea negli anni Settanta e
predicatore evangelico porta-a-porta, è il leader del gruppo sciita «Il puro
Islam», alcune decine d’italiani passati in tarda età dal neofascismo al Corano.
La rivelazione
«Un giorno papà mi chiese di riportargli un tappetino per pregare quando tornavo
a Napoli». Nel 1987 Londra era già un’avanguardia islamica: oggi, con 700 mila
musulmani e 133 centri tra moschee e scuole coraniche, sobborghi compresi, è una
delle capitali della mezzaluna globale. «Al centro islamico di Regent’s Park
comprai un tappetino e un libro, “L’uomo nel Corano”. Fu una vera
illuminazione». Amir, camicia e pantaloni neri, piedi scalzi, siede sui talloni
in un angolo della sala di preghiera adorna solo dei drappi verdi con i versetti
sacri. Una sorella porta un vassoio di plastica con il tè e un piattino di
biscotti Leibniz, essenziali e secchi tipo gli Oro Saiwa.
«Mi convertii quasi subito, presi il nome di Amir e lasciai la moda, troppo
vacua, immorale, una lobby omosessuale...». Nella «umma» c’è posto per tutti,
figurarsi per un «pentito» come Marco: anglosassone d’adozione ma nemico giurato
del «grande Satana americano», innamorato della rivoluzione degli ayatollah e
devoto all’eredità religiosa di Khomeini quanto il presidente iraniano
Ahmadinejad, «un uomo pio».
La comunità sciita londinese lo accoglie da fratello e gli procura un lavoro
all’agenzia petrolifera iraniana, l’iscrizione all’Università Orientale e poi
all’Islamic College, una moglie originaria di Teheran, impiegata all’Iran Air e
molto religiosa («d’estate a Ischia faccio il bagno al mare solo la mattina
presto, se non c’è nessuno. Lei no. Va in spiaggia solo in Iran dove ci sono le
stazioni balneari riservate alle donne»).
La City delle moschee
Nel 1995, all’apertura dell’Islamic Centre of England in Maida Vale, un ex
cinema ristrutturato, Amir De Martino ha le carte in regola: è sposato («un
musulmano single è un controsenso»), doppiamente laureato in studi islamici e
lingua persiana, svelto abbastanza da gestire corsi, conti e i sit-in degli
studenti iraniani anti-regime che periodicamente protestano davanti al Centro.
Un perfetto manager religioso: «Farsi valere non è difficile, gli orientali sono
disorganizzati e si sentono sempre un po’ inferiori rispetto a noi occidentali.
In più io, da napoletano, so muovermi...».
Da allora a Maida Vale comandano l’ayatollah Khamenei, cui il Centro fa
riferimento, il presidente Abdolhossein Moezi, un team di amministratori
(l’attività è finanziata da Teheran ma, in teoria, si mantiene col «qums»,
l’elemosina), e mister De Martino, che in Italia avrebbe gestito un’agenzia
turistica e qui guadagna 18 mila sterline l’anno.
La paura del terrorismo e la tentazione islamofobica hanno intensificato il suo
lavoro. Oltre alle celebrazioni di questi giorni per l’Ashura, la festa sciita
per il martirio dell’imam Husseyn, Amir cura i convegni internazionali come
quello con i rabbini Neturei Karta, gli ebrei ultraortodossi antisionisti
«special guest» alla conferenza sull’Olocausto di Teheran. Nulla di nuovo per
l’ex neofascista («l’ultima volta però ho votato comunista»), che ignora il
dibattito italiano sul negazionismo: «La Shoah mi lasciava scettico sin da
giovane».
E’ la forza dei convertiti, gli «imam dagli occhi azzurri», più devoti dei
devoti, orfani d’ideologie, disciplinati. La nuova frontiera dell’islamismo che
tanto preoccupa l’intelligence inglese: ultimamente ce n’è sempre uno nei
commando kamikaze. Scotland Yard tiene le orecchie aperte. Ma da Amir l’italiano
neppure una parola: ama Londra. Qui in fondo ha trovato la sua Mecca.