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Umberto Eco

Un Tam – tam ci salverà, 2003

Il ruolo di Internet per scambiare informazioni

Si prova sempre qualche imbarazzo quando si viene invitati a prefigurare eventi futuri, specialità in cui eccellono i futurologi, quasi sempre poi smentiti dal corso delle cose, e gli indovini, che possono permettersi di tutto in quanto i loro responsi sono così ambigui che i clienti creduloni riusciranno sempre ad adattarli per il verso più conveniente. Tuttavia, nella nostra vita di tutti i giorni, noi ci muoviamo sempre secondo tentativi di previsione, basati su ragionamenti prudenti del tipo «se le cose andassero avanti come stanno andando oggi, domani potrebbe succedere che... ».

 Così facciamo quando ci mettiamo in viaggio con l ' impermeabile perché se domani continuasse a piovere come piove oggi sarebbe conveniente averlo sottomano. Ma così facciamo anche quando riflettiamo che se il tasso di motorizzazione continuasse a crescere col ritmo attuale (senza che intervengano crisi petrolifere, guerre mondiali, rovinose cadute del reddito pro capite), tra non molti anni i centri storici e le autostrade si intaserebbero definitivamente, e l ' inquinamento atmosferico crescerebbe esponenzialmente.

Questo tipo di previsioni prudenti possono persino servire, delineando scenari preoccupanti, a modificare il corso delle cose. Vale a dire che si fa la previsione proprio perché il prevedibile non si avveri. Oppure, al contrario, proprio perché si avveri. In tal caso si passa dalla profezia al suggerimento. Pertanto non mi pare impossibile prevedere alcuni scenari politici futuri, e forse imminenti, a condizione che certi fenomeni attuali non subiscano inversioni di rotta. 

Il primo è il crollo definitivo della democrazia rappresentativa. Basta considerare la situazione americana. Mi pare che nelle ultime elezioni abbia votato meno del 30 per cento dei cittadini, ma attestiamoci pure su una base del 50 per cento. Siccome nello scontro tra Bush e Gore abbiamo assistito a una vittoria per lo scarto di pochi voti, questo vuole dire che l ' attuale presidente degli Stati Uniti rappresenta soltanto il 25 per cento degli americani (e lo stesso sarebbe accaduto se avesse vinto Gore). 

Se poi si riflette sul fatto che la scelta della minoranza che votava era praticamente limitata a due individui nominati, sì, dalle convenzioni dei partiti (ma anche qui si trattava di una minoranza attiva), però dopo essersi imposti grazie all ' aiuto di potenze economiche che ne sostenevano la campagna, si vede che l ' elettore americano sceglie di fatto tra due individui designati da una ristretta nomenklatura. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi quale differenza ci sia col vecchio sistema sovietico, in cui una ristretta nomenklatura sceglieva tra due o più candidati e poi ne proponeva uno alla ratifica formale da parte di una cosiddetta maggioranza bulgara. 

Invece una differenza c ' è, e consiste nel fatto che è sbagliato identificare la democrazia con la rappresentatività - specie se si pensa che per lungo tempo sono stati considerati democrazie rappresentative regimi in cui l ' elettorato era selezionato per censo, o per sesso. Quello che caratterizza una democrazia non è (o per lo meno non è soltanto) la rappresentatività, bensì la libertà di espressione e di pressione. Gli Stati Uniti rimarrebbero una democrazia anche se il presidente venisse tirato a sorte, perché sono un Paese in cui vige un ' ampia libertà di espressione e sulla base di questa libertà gruppi diversissimi tra loro si costituisco-no, rispetto al governo, in agenti di critica o sostegno e in ogni caso di influenza.

 L ' istituzionalizzazione delle "lobbies", che possono rappresentare tanto i produttori di tabacco quanto le leghe antifumo, la presenza costante di confessioni religiose, gruppi di vigilanza e sostegno di minoranze, pacifisti o ecologisti, centri culturali e comunità scientifiche, tutta questa circolazione di istanze non censurabili, conferisce al sistema una patente di democraticità. Ma, se cosi è, possiamo prevedere un futuro in cui, non solo negli Stati Uniti, la macchina elettorale diventi meno importante e decisiva, e invece la partecipazione politica dei cittadini si manifesti in altre forme, tra l ' altro evitando una singola convocazione quadriennale, sostituita da una azione costante di orientamento dell ' opinione pubblica e delle stesse decisioni governative.

 Come a dire, tanto per parlare di casa nostra, che un girotondo potrebbe diventare più importante di una andata alle urne, o un pullulare di piccole televisioni locali, su base di volontariato, potrebbe incidere sull ' andamento della cosa pubblica e sulla formazione dell ' opinione più della macchina di un partito. Questa possibilità va tenuta presente - e qui veniamo a parlare eminentemente di casa nostra - proprio per far fronte a un altro fenomeno preoccupante. Aristotele diceva che tutto quello che si è verificato anche solo una volta è dunque possibile (anche se non è detto che debba verificarsi ancora ne-cessariamente).

 Dunque nel nostro Paese si è verificato che un solo individuo, manovrando con accortezza una propria fortuna personale, non solo è diventato presidente del Consiglio, ma è arrivato a controllare la totalità delle catene televisive, alcune grandi case editrici, alcuni quotidiani e (mentre scrivo si sta consumando tra molte incertezze la tragedia Fiat) potrebbe entro breve tempo ottenere il controllo di due fra i tre più diffusi e autorevoli quotidiani nazionali. A quel punto si realizzerebbe un regime di controllo quasi totale dei canali di informazione, il che potrebbe anche permettere (lo si sta proponendo mentre scrivo) di arrivare ad altre forme di censura, come quella esercitata da un ministero, per definizione organo politico, sulla produzione dei libri di testo per le scuole. Quale sarebbe uno scenario possibile?

 Da un punto di vista pessimistico si potrebbe prefigurare l ' acquiescenza di gran parte della popolazione che non troverebbe disturbante una tranquillizzante informazione di regime. Tuttavia, e sta già succedendo, potrebbero anche realizzarsi interessanti alternative generazionali. Già adesso i giovani leggono assai poco i quotidiani e si dice (non posso esibire statistiche) che si mostrano poco interessati ai telegiornali. Sta crescendo una generazione che trova molto più eccitante andare a cercarsi le notizie su Internet, che comunica a ritmo di tam tam attraverso la posta elettronica (non calcolerei le "chat" che sono una forma di intossicazione per sottosviluppati virtuali), che stabilisce contatti attraverso messaggi fatti in casa, lungo canali associati vi non manovrabili dai centri nazionali di comunicazione. 

Ed ecco che, cosi come la rappresentatività elettorale potrebbe essere sostituita da una presenza reticolare di gruppi di pressione, si potrebbe avere una circolazione di informazioni non controllabili e non controllate che gradatamente occuperebbero lo spazio di persuasione una volta occupato dai giornali e dalle televisioni. Cambierebbe il modo di fare informazione e dunque quello di intervenire politicamente e potrebbe darsi che i grandi dinosauri della comunicazione di massa si dimostrassero un bei giorno armi spuntate, enormi e costosi dirigibili disertati dai viaggiatori che avrebbero appreso a muoversi grazie ad alianti e ad aerei di piccole dimensioni.

 Come a dire: il quotidiano e la televisione per le nonne, che per definizione sono clientela ad esaurimento, ed altri strumenti per i più giovani. E anche da parte delle nonne, lo stesso atteggiamento di diffidenza che la maggioranza della popolazione italiana aveva elaborato verso i quotidiani e la radio controllati dal regime fascista. Si usava il giornale per leggere gli annunci economici e i necrologi, la radio per ascoltare canzoni, ma le notizie non venivano credute, e si dava maggior credito alle informazioni mormorate bocca a bocca.

 Non dico che non valga la pena di preoccuparsi se qualcuno cerca di impadronirsi del "Corriere della Sera", ma non sarebbe male anche prepararsi allo scenario alternativo. Al nuovo totalitarismo non ci si oppone andando in montagna ma inserendosi "on line". Che è poi quello che sta accadendo in Cina. Quando le cose vanno male, i modelli si prendono dove si può.

Umberto Eco, scrittore e semiologo.

(fonte: L ' Espresso - n°01/03)