L´ultima res gesta del padrone comincia tre settimane fa. Respinta dal
Quirinale l´impudente l. Gasparri, l´agenzia governativa Mediaset non ci
pensa due volte. L´idea scatta come un riflesso, condivisa da colombe,
oppositori benevoli, opinanti più o meno neutrali: «in casi straordinari»
d´«urgenza» e «necessità» l´art. 77. Cost. contempla «provvedimenti
provvisori» adottati dal governo «sotto la sua responsabilità», «con
forza di legge», da presentare nello stesso giorno alle Camere
(riconvocate, se fossero sciolte); decreti caduchi; se le Camere non li
convertono nei 60 giorni, perdono effetto ex tunc (come non fossero mai
esistiti). L´urgenza sta nel fatto che la Consulta avesse imposto un
termine all´abusivo assetto televisivo: mercoledì 31 dicembre 2003; dall´indomani
è stabilito che Rete4 passi sul satellite, perdendo la pubblicità; e la
perda anche Rai3. Che iattura sarebbe l´eclissi d´un astro così
necessario al metabolismo intellettuale italiano; e colpito da improvviso
sindacalismo, l´oracolo Cdl s´intenerisce sui dipendenti che finirebbero
sulla strada (li riassorba Mediaset, i cui profitti sappiamo dalla
convention monegasca quanto rigogliosamente crescano). Bisogna difendere l´azienda
e l´espediente c´è: una proroga mediante decreto; 60 giorni guadagnati;
nel frattempo qualcosa capita. Ovvio nell´Italia berlusconiana,
inintelligibile dal resto del mondo evoluto.
Il decreto esce sotto Natale eludendo una decisione costituzionale 20
novembre 2002 n. 466: la Corte dichiara invalido l´art. 3, c. 7, l. 31
luglio 1997 n. 249, recante norme sul medium televisivo, perché vi manca
"un termine finale certo", improrogabile, non post 31 dicembre
2003; scaduto il quale, siano trasmissibili solo "via satellite o via
cavo" i programmi irradiati da chi eccede i limiti imposti nel
predetto articolo, c. 6 (lo stesso imprenditore, comunque camuffato, non
può irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze
terrestri). L´affare ha una lunga storia, lunga quanto l´irresistibile
ascesa e dominio del signor B.
Vediamola nelle parole della Consulta, tra virgolette. Mi concedo solo le
glosse. I segnali televisivi procedono su "frequenze terrestri con
tecnica analogica». Temporibus illis operava la sola Rai, molto
discretamente, sviluppando una meritoria funzione didattica (documentari,
fiction dal repertorio serio, teatro, sport, dibattiti, svago pulito,
ecc.). Adesso lo spazio risulta saturo. Quel che la Rai lasciava libero,
se l´è preso un tale: la Corte lo definisce "occupante di
fatto"; esercita impianti che nessuno gli aveva concesso, "fuori
d´ogni logica" pluralistica; al diavolo l´equità distributiva, né
esistono piani. Ecco l´attuale "sistema televisivo italiano
privato" (Berlusconi, Fininvest, Mediaset, Publitalia), come se
qualcuno s´impadronisse del sottosuolo o dell´aria che respiriamo,
imponendo gabelle dirette o dissimulate: «guardate gratis i miei
programmi»; gli utenti ignari guardano e li pagano nei prezzi al consumo,
rincarati dalla spesa pubblicitaria che i venditori scaricano sugli
acquirenti. Lasciamo da parte l´inquinamento psichico, la cui analisi
richiede interi in-folio.
Insomma, siamo sudditi d´un impero nato dalla pirateria. Immagino l´obiezione
spiritosa: non nascono così gl´imperi e le proprietà, dall´atto d´un
occupante lesto, fortunato, violento o furbo? Sì, nei tempi lunghissimi:
la vita sociale sarebbe precaria se i titoli d´acquisto fossero
contestabili all´infinito (con intuibile brulichìo d´avvocati,
faccendieri, scorridori); perciò i romani inventano una longi temporis
praescriptio. Qui i tempi sono brevi. Come sia avvenuto, lo racconta la
Corte enumerando 14 favori legislativi, più un decreto ministeriale,
lucrati dall´occupante in 15 anni. L´allora protettore Bettino Craxi gli
salva le reti, oscurate da pretori delittuosamente convinti che, se
esistono norme, valgano anche rispetto all´eclettico barzellettiere,
canterino da crociera, impresario edile, piduista, ora stregone della tv
commerciale: le emittenti attive al 1 ottobre 1984 seguitino tranquille;
lapidariamente lo dispone un dl 6 dicembre 1984 n. 807, convertito nella
l. 4 febbraio. La data dell´ultimo favore marchia il secondo dei quattro
governi nella XIII legislatura, l´ultima, da segnare in nero perché la
sinistra vittoriosa alle urne commette uno sbalorditivo suicidio, e la
rubrica offende i lettori: norme «urgenti» intese allo «sviluppo
equilibrato dell´emittenza televisiva» (c´era solo lui nell´etere,
oltre la Rai contagiata dal verbo d´Arcore), nonché a evitare che siano
costituite o mantenute «posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo»;
non sto citando Molière; Tartuffe è un governo del centrosinistra
pasticheur nel peggiore stile prima Repubblica.
La Consulta lancia vari allarmi: rastrellando risorse pubblicitarie, i
monopoli televisivi strangolano la stampa (231/1985); non bastano due
poli, pubblico e privato (826/1988); gli artt. 3 ("tutti i cittadini
... sono eguali davanti alla legge") e 21 (diritto a manifestare
liberamente il pensiero) richiedono "voci diverse", quante più
possibile (112/1993); l´assetto duopolistico nega libertà del mercato e
concorrenza nei processi formativi dell´opinione (420/1994). Otto anni
dopo la Corte vede un sistema ancora più malato: le 12 reti previste
diventano 11; sono finte le 7 concessioni a privati (28 luglio 1999) perché
i concessionari non vedono nemmeno l´ombra d´una frequenza, mentre B. se
le tracanna tutte; ha gola tripla il lupo delle "tre reti nazionali
riconducibili a unico soggetto". Nota ancora come non sia «tollerabile»
questo dominio piratesco nell´attesa d´uno sviluppo satellitare. Ad
abundantiam cita quattro direttive comunitarie 2002 (seguiamo rotte
pericolosamente eccentriche). Su tali premesse dichiara invalido l´art.
3, comma 7, l. 31 luglio 1997 nella parte in cui omette d´imporre un «termine
certo», «non prorogabile», «che non oltrepassi il 31 dicembre 2003».
Dispositivo chiarissimo ma al Sire d´Arcore non fa né caldo né freddo:
lo sapevamo organicamente alieno dal rispettare le norme; se le torce
sulla misura dei privati interessi (falso in bilancio, rogatorie,
conflitto d´interessi, rimessione, immunità processuale ad personam). Su
due piedi ordina una 15esima proroga. Lo scherno supremo sta nell´assenza
virtuosa quando i colleghi deliberano: non vuol destare sospetti d´interesse
personale; bastano 15 minuti; indi firma, come atto d´ufficio. Lo status
quo ante dura 5 mesi: l´Autorità delle comunicazioni accerti la
diffusione della tv digitale; e se quel limite del 20% risulta superato,
mandi Rete4 sul satellite. Riappare Monsieur Tartuffe: notoriamente, B.
gode del 51%; altrettanto notorio che l´alternativa digitale richieda
vari anni; e la leonina parte berlusconiana possa soltanto crescere. Né
vuol amputarsi d´una rete, piuttosto scatena l´inferno: sappiamo chi
sia; come concepisca l´Ego e gli altri, Stato incluso; con che toupet
neghi quel politicamente mortale conflitto d´interessi («fiaba
metropolitana», «il Gatto degli stivali» e simili sguaiate boutades).
Cosa vedremo nella commedia italiana da qui al 60? giorno? Le scommesse
sulla 16esima proroga non hanno quota, tanto prevedibile è l´evento.
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