Angelo Ghidotti
God bless the trio.
Keith Jarrett Trio in piazza Loggia, Brescia, 13 luglio 2007
Ero stato contento per mesi, dal giorno in cui avevano annunciato il concerto del trio in Piazza Loggia. Dopo aver arrancato per Europa e America a seguirlo, non ci potevo credere, veniva nella mia città, nella più bella piazza di Brescia. Potevo prendere la moto e in venti minuti arrivare lì, tranquillo, e godermi il concerto. E invece, a Perugia, qualche giorno prima, il fattaccio. I flash, gli insulti al pubblico e alla città, i bis negati, i fischi, gli articoli sui giornali, i forum, tutti durissimi, pagine e pagine con il post ‘Keith Jarrett the asshole’ pieno di repliche, una discussione già fatta mille volte ma stavolta ancora più accesa. Come fan assoluto di Jarrrett mi sentivo stretto in un angolo.
E Brescia non promette bene. Innanzitutto, i bresciani, lo dico per esperienza diretta, non è che siano tutti del gentlemen. Poi Piazza Loggia, da controllare non è facile. Vie che entrano da tutte le parti, case, palazzi, tetti, balconi affacciati, chi può impedire di usare il flash o registrare o fare un video da casa propria? Chi può evitare che intorno, dai bar, dalle viuzze, dagli stretti passaggi dietro la loggia, qualcuno non si metta a rumoreggiare, a fischiare, a gridare, a smanettare motorini? E quindi, Keith Jarrett a Brescia da un’attesa si trasforma in un’ansia.
Quando arrivo alle cinque nella piazza, parcheggio la moto e tolgo il casco, sento suonare dietro l’angolo. Corro. Jarrett con i soliti jeans azzurri la t shirt bianca e il cappellino, la sua tenuta estiva da prove. Prova i due steinway sul palco, parla con Peacock e De Johnette, con il suo manager, con il tecnico del suono. Sembra rilassato, nessuna traccia di Perugia: c’è pieno di gente ai lati del palco, che chiacchiera, fotografa, lecca gelati e cerca di avvicinarsi, ma lui niente. Suona, Never let me go, As time goes by, accenna un blues. Tutto fila liscio.
E’ un pomeriggio di sole feroce. Il palco è sistemato a ridosso della Loggia rinascimentale, al lato opposto dei portici, quelli della strage del 78. Ci saranno 1500-2000 posti. Il colpo d’occhio è notevole. Su un camper aprono la biglietteria, ci sono ancora posti disponibili. Mai visto.
Il sole inizia a calare, passeggiamo per il centro di Brescia, mentre il gruppo dei fedelissimi si ingrossa. Alle otto e mezzo entriamo nel recinto, nel frattempo hanno davvero chiuso meticolosamente ogni accesso alla piazza, e ci sistemiamo nei nostri posti.
La serata è bellissima, calda, dalle finestre, dai balconi, dai tetti la gente si affaccia. Due signore di una finestra tra le più vicine hanno anche messo il vestito buono e sono andate a farsi i capelli. Cominciano gli annunci, e questa volta ci vanno giù pesante. Li ripetono due o tre volte, in diverse lingue. Niente foto, né flash né senza flash, niente video, niente registrazioni fino a concerto finito. Qualche fischio alla ennesima ripetizione.
Intanto, si è riempito tutto. L’attesa cresce. Forse per Perugia, o perché qui non è mai stato, o è la sera così bella, o la piazza così stupenda, ma dopo tanti concerti mi sento emozionato come da tempo non ero. Speriamo in bene. Un piccolo incidente fa crescere la preoccupazione. Timothy prende il microfono: ‘Non possiamo iniziare finchè le persone sul tetto di fronte non smontano la telecamera’. Mi volto, si voltano tutti.
Ma i bresciani sono proprio così gnorancc? In piedi sul tetto, proprio a fianco dell’orologio dei Macc de le Ure (I matti delle ore, gli orologi meccanici con le statuette che picchiano sulla campana, molto in voga nel ‘500), un paio di persone hanno montato una telecamera sul treppiede. Ma come potevano pensare di non essere visti? Dopo un paio di richiami smontano, e secondo me nascondono tutto dietro un camino. Ma così possiamo cominciare.
Quando, alle nove e dieci, calano finalmente le luci, e Jarrett, Peacock e De Johnette entrano, e scatta l’applauso, trattengo il fiato e prego che non ci siano flash. E non ci sono. E poi qui comincia uno dei più bei concerti in assoluto del trio. Il primo pezzo è You go to my head, uno standard molto conosciuto, scritto alla fine degli anni 30 da Coots e Gillespie, esistente in decine di versioni (l’ha cantato anche Mina). Si sente che Jarrett è in forma, e anche gli altri due sono in serata. Si guardano, sorridono, Gary ogni tanto chiude gli occhi e ascolta il piano, poi si lancia in vibranti giri di basso. Proseguono con un pezzo molto bello, una ballad, nessuno ricorda il titolo.
Poi cambia ritmo e passa alla veloce e brillante One for Majid, quindi una deliziosa versione di Little man you have had a busy day, di Wayne, Hoffman e Sigler. Applausi, grande fluidità e perfetto interplay con basso e batteria – Jack particolarmente preciso e elegante nei suoi interventi. Ma si sta preparando il vertice del primo tempo: Somewhere, dalla celeberrima West Side Story di Bernstein. L’esecuzione è splendida, e i tre sono così concentrati e intensi, che quando Jarrett trova uno spunto finale si inventano una coda memorabile di cinque minuti, che scatena una vera ovazione. E ancora nessun flash.
L’intervallo è il momento dei primi commenti. Tutti entusiasti, si profila il grande concerto. Lo stesso trio sembra molto carico, mentre escono sorridono visibilmente. Merito anche del pubblico, corretto ma caldo e pronto all’applauso. Una prima conferma viene subito: lo speaker, nel ripetere gli inviti al pubblico, dice che ‘gli artisti hanno molto apprezzato il concerto finora’, che tradotto vuol dire che qualcuno è andato da Jarrett il quale avrà detto ok, very good in un sussurro.
Si riprende verso le 10 e mezza, ed è ancora West Side Story: Tonight, in una versione veloce e piena di ritmo, che non sentivo da parecchio. Poi un altro standard che potrebbe essere Lament, di Jay Jay Johnson, e quindi Bye Bye Blackbird, un pezzo di Ray Henderson del 1926, che il trio suona spesso. Quindi, un pezzo che adoro, Last night when we where young, scritto negli anni 60 da Harald Arlen. Dal momento del primo attacco del tema, che mi fa sciogliere, alla strepitosa coda, il trio suona con una contagiosa energia. Negli ultimi minuti il pubblico non riesce a trattenersi e batte i piedi, per poi finire in un’ovazione. I tre si alzano per salutare, ma devono uscire una, due, tre volte, per gli applausi scroscianti, le urla, un signore dietro di me si sgola per dieci minuti nel gridare an-co-ra, an-co-ra. E quindi, suonano ancora.
When I fall in love, che come in una liturgia appare in ogni concerto per segnare la fine. Ed è un altro trionfo. E così non può finire: si risiede – mentre incredibilmene ancora non sono scattati che un paio di lontani flash. E attacca God Bless the child, un altro pezzo bellissimo, ipnotico, di dieci minuti. Quasi mezzanotte quando escono per un’ultima volta, e allora tutti in piedi, alle finestre, sui balconi, sui tetti, poi mi diranno nei vicoli intorno, ad acclamare quello che era stato tre giorni prima il mostro di Perugia. La gente non si tiene più, adesso davvero i flash sono molti, e il pubblico si accalca proprio sotto il palco. Anche per una serata di grazia, è troppo. Jarrett non dice niente, saluta, si volta e se ne va, si vedono i tre salire gli scalini della Loggia dandosi pacche sulle spalle.
Esco dal concerto commosso, quasi stremato. Sapere che non è stato registrato e che non sarà mai un disco mi strugge. Ma andiamo a cena, Brescia è in tiro, sexy come non mai, e alla Porta Bruciata, tra i tavoli dei ristorantini all’una di notte c’è la folla. Troviamo posto a fatica, ceniamo con grande piacere, con i racconti di Beppe e Enzo sulla tournee giapponese, i microbagni degli hotel di Tokyo dove si sbatte la testa dapperutto, la mitica camicia con l’autografo regalata da Jarrett a Enzo, che per metterla ha dovuto calare di dieci chili, e via così.
Poi ognuno riprende la strada di casa. Chi va a Milano, chi a Napoli, chi a Trento. Beppe deve andare a Padova, ma non ha la minima idea di dove abbia parcheggiato la sua auto. Per noi la serata finisce così: in una Brescia deserta, alle tre di notte, con in giro, come diceva mio nonno, apena i lader e le putane, mentre gli operai smontano il palco, a chiederci dove sarà finita l’auto di Beppe, finchè non lo carico in moto, che scricchiola e soffre, ma così dopo un po’ la troviamo. Nemmeno si ricordava il modello, solo il colore. Blu.
Serata da ricordare anche per questo. Quindici giorni dopo, a Juan les Pins, dopo un concerto bello la metà, con Jarrett che ci fa entrare nel backstage per dirci che ha sofferto di mal di schiena e ha pensato di annullare la serata, Steve ci confida: Brescia? Beautiful night. One of the best five in the last twenty years of the Trio.
Nei newsgroups su internet rimbalzano ancora le discussioni su Perugia. Il giorno dopo scrivo qualche riga: Jarett, beautiful concert in Brescia. Nessuno risponde, non fa notizia. In fondo meglio così. Cosa importa quello che si dice in giro. Cosa importa quello che pensa chi non c’era.
Noi c’eravamo.