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Oriana Fallaci
venerdì, 15 settembre 2006
La
radio del mattino mi sveglia e in questi attimi fra l'ancora sonno e il
"io sono vivo" mi giunge la notizia della morte di Oriana Fallaci
(1929-2006, 77 anni).
I pensieri corrono, si aggrovigliano e ora ne seleziono tre.
In primo luogo affiora alla mia mente il ricordo del racconto mitologico
di Cassandra, la più bella fra le figlie di Priamo ed Ecuba, sovrani di
Troia al tempo della famosa guerra. Il dio Apollo era carico di
desiderio per lei e avrebbe soddisfatto ogni suo desiderio per una notte
d'amore. Cassandra, in cambio, chiese ed ottenne il dono della profezia.
Ma poi non volle mantenere il patto. E così, con un bacio di addio,
Apollo si vendicò gettandole addosso un maleficio: le sue profezie si
sarebbero sempre avverate, ma nessuno avrebbe mai creduto alle sue
previsioni. Anzi: tutto quanto avrebbe detto sarebbe stato accolto come
falso. Fu così che i Troiani non le credettero quando intravvide il
cavallo di legno e predisse l'incendio di Troia.
Il secondo ricordo che affiora nella mia mente è l'idea centrale di un
aureo libro di James Hillman ("Il codice dell'anima. Carattere,
vocazione, destino", mirabilmente tradotto da Adriana Bottini). Il
grande psicanalista americano insegue con gusto letterario per 400
pagine quella che chiama la "teoria della ghianda". Come in un seme di
quercia c'è già il progetto ed il risultato di quello che sarà la pianta
("Vedi, lei è piccola, ma sa già che sarà una quercia" diceva ad un
bambino la mia indimenticabile amica
Laura Conti), così "io e voi e
chiunque altro siamo venuti al mondo con una immagine che ci definisce"
(pag. 27). Il nostro compito esistenziale è di ricercare una "biografia
soddisfacente" che metta assieme i pezzi della nostra vita terrena e sia
capace di intrecciare la trama profonda della nostra storia (pag. 19)
Ecco, l'immagine che mi si presentifica: Oriana Fallaci come Cassandra.
La sua ghianda, il suo progetto, il suo destino sono stati quelli di
predire, fra il non-ascolto e il disprezzo, il vero, senza essere
creduta. E' per me tristissimo sentire i suoi amici di una vita (per
esempio Furio Colombo) distinguere l'Oriana di prima degli anni novanta
e quella di dopo.
Gli ultimi suoi tre libri ( "La rabbia e l'orgoglio", "La forza della
ragione", "Oriana Fallaci intervista se stessa - L'Apocalisse") sono un
urlo che condenso in una parola sola:
ATTENZIONE !!! ..., ce n'è per almeno altri 100 anni.
Il terzo e ultimo pensiero che affiora alla mia mente è quello di
ricordarla non per il suo avvertimento sui pericoli che corre la nostra
civiltà, ma per il suo straordinario, energetico e magmatico linguaggio,
come in questo testo da tenere accanto ai manuali di diritto
costituzionale comparato:
"Il fatto è
che l'America è un paese speciale, caro mio. Un paese da invidiare, di
cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la
ricchezza eccetera. E sai perché? Perché è nata da un bisogno
dell'anima, il bisogno d'avere una patria, e dall'idea più sublime che
l'Uomo abbia mai concepito: l'idea della Libertà anzi della libertà
sposata all'idea di uguaglianza. Lo è anche perché, quando ciò accadde,
l'idea di libertà non era di moda. L'idea di uguaglianza, nemmeno. Non
ne parlavano che certi filosofi detti Illuministi, di queste cose. Non
li trovavi che in un costoso librone di diciassette volumi più diciotto
illustrati detto Encyclopédie ed edito da un certo Diderot e da
un certo D'Alembert, questi concetti. E a parte gli scrittori e gli
altri intellettuali, a parte i prìncipi e i signori che avevano i soldi
per comprare il librone o i libri che avevano ispirato il librone, chi
ne sapeva nulla dell'Illuminismo? Non era mica roba da mangiare,
l'Illuminismo! Non ne parlavan neppure i rivoluzionari francesi, visto
che la Rivoluzione Francese sarebbe incominciata nel 1789 ossia quindici
anni dopo la Rivoluzione Americana che scoppiò nel 1776 però era
sbocciata nel 1774. (Dettaglio che gli antiamericani del
bene-agli-americani-gli-sta-bene ignorano o fingono di ignorare). Ma,
soprattutto, l'America è un paese speciale, un paese da invidiare,
perché quell'idea venne capita da contadini spesso analfabeti o comunque
ineducati: i contadini delle tredici colonie americane. E perché venne
materializzata da un piccolo gruppo di leader straordinari, da uomini di
grande cultura e di grande qualità: the Founding Fathers, i Padri
Fondatori. Ma hai idea di chi fossero i Padri Fondatori, i Benjamin
Franklin e i Thomas Jefferson e i Thomas Paine e i John Adams e i George
Washington eccetera?!? Altro che gli avvocaticchi (come giustamente li
chiamava Vittorio Alfieri) della Rivoluzione Francese! Altro che i cupi
e isterici boia del Terrore, i Marat e i Danton e i Desmoulins e i
Saint-Just e i Robespierre! Erano tipi, i Padri Fondatori, che il greco
e il latino lo conoscevano come gli insegnanti italiani di greco e di
latino (ammesso che ne esistano ancora) non lo conosceranno mai. Tipi
che in greco s'eran letti Archimede e Aristotele e Platone, che in
latino s'eran letti Seneca e Cicerone, Virgilio e Ovidio, e che i
principii della democrazia greca se l'eran studiati come nemmeno i
marxisti del mio tempo studiavano la teoria del plusvalore. (Ammesso che
la studiassero davvero). Jefferson conosceva anche l'italiano. Lui
diceva «toscano». In italiano parlava e leggeva con gran speditezza.
Infatti con le duemila piantine di vite e le mille piantine di olivo e
la carta da musica che in Virginia scarseggiava, nel 1774 il medico
fiorentino Filippo Mazzei gli aveva portato varie copie d'un libro
scritto da un certo Cesare Beccaria e intitolato Dei Delitti e delle
Pene. Quanto all'autodidatta Franklin, era un genio. Scienziato,
stampatore, editore, scrittore, giornalista, politico, inventore. Nel
1752 aveva scoperto la natura elettrica del fulmine e inventato il
parafulmine, ad esempio. Aveva inventato anche la stufa con la canna
fumaria di metallo per riscaldare le stanze senza caminetto. Infatti
Pietro Leopoldo, il granduca di Toscana, se n'era comprate due da
installare nel suo studio di Palazzo Pitti poi gli aveva scritto
un'estasiata lettera di ringraziamento. E fu con questi leader
straordinari, questi uomini di grande cultura e di grande qualità, che
nel 1776 anzi nel 1774 i contadini spesso analfabeti e comunque
ineducati si ribellarono all'Inghilterra. Fecero la guerra
d'Indipendenza, la Rivoluzione Americana.
La fecero, nonostante i fucili e la polvere da sparo, nonostante i morti
che ogni guerra costa, senza i fiumi di sangue e gli abominii della
futura Rivoluzione Francese. Senza la ghigliottina, insomma, senza le
migliaia e migliaia di decapitati, senza i massacri della Vandea e di
Lione e di Tolone e di Bordeaux. La fecero con un foglio che insieme al
bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, concretizzava la
sublime idea della libertà anzi della libertà sposata all'uguaglianza:
la Dichiarazione d'Indipendenza. «We hold these Truths to be
self-evident... Noi riteniamo evidenti queste verità. Che tutti gli
Uomini sono creati uguali. Che sono dotati dal Creatore di certi
inalienabili Diritti. Che tra questi Diritti v'è il Diritto alla Vita,
alla Libertà, alla Ricerca della Felicità. Che per assicurare questi
Diritti gli Uomini devono istituire i governi...». E quel foglio che
dalla Rivoluzione Francese in poi tutti gli abbiamo bene o male
copiato, o al quale ci siamo ispirati, costituisce ancora la spina
dorsale dell'America. La linfa vitale di questa nazione. Sai perché?
Perché trasforma i sudditi in cittadini. Perché trasforma la plebe in
Popolo. Perché la invita anzi le ordina di ribellarsi alla tirannia, di
governarsi, d'esprimere le proprie individualità, di cercare la propria
felicità. (Cosa che per un povero, anzi per un plebeo, significa
anzitutto arricchirsi). Tutto il contrario di ciò che il comunismo
faceva proibendo alla gente di ribellarsi, governarsi, esprimersi,
arricchirsi, e mettendo Sua Maestà lo Stato al posto dei soliti re. «Il
comunismo è un regime monarchico, una monarchia di vecchio stampo. In
quanto tale taglia le palle, agli uomini. E quando a un uomo gli tagli
le palle, non è più un uomo» diceva mio padre. Diceva anche che invece
di riscattare la plebe il comunismo trasformava tutti in plebe. Rendeva
tutti morti di fame, quindi impediva alla plebe di riscattarsi.
Bè, secondo me l'America riscatta la plebe. Sono tutti plebei, in
America. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola. Stupidi, intelligenti,
poveri, ricchi. Anzi i più plebei sono proprio i ricchi. Nella
maggioranza dei casi, certi piercoli! Rozzi, maleducati. Lo vedi subito
che non hanno mai letto Monsignor della Casa, che non hanno mai avuto
nulla a che fare con la raffinatezza e il buon gusto e la sophistication.
Nonostante i soldi che sprecano nel vestirsi son così ineleganti che, in
paragone, la regina d'Inghilterra sembra chic. Però sono riscattati,
perdio. E a questo mondo non c'è nulla di più forte, di più potente, di
più inesorabile, della plebe riscattata. Ti rompi sempre le corna, con
la Plebe Riscattata. E, in un modo o nell'altro, con l'America le corna
se le sono sempre rotte tutti. Inglesi, tedeschi, messicani, russi,
nazisti, fascisti, comunisti... Da ultimo se le son rotte perfino i
vietnamiti di Ho Chi Minh. Dopo la vittoria son dovuti scendere a patti,
con gli americani, e quando l'ex-presidente Clinton è andato a fargli
una visitina hanno toccato il cielo con un dito.
«Bienvenu, Monsieur le Président,
bienvenu! Facciamo business con America, oui?
Boku money, tanti soldi, oui?». Il guaio è
che i figli di Allah non sono vietnamiti. E con loro la faccenda sarà
dura. Molto lunga, molto difficile, molto dura. Ammenoché il resto
dell'Occidente non smetta di farsela addosso. E ragioni un po' e dia una
mano. Papa compreso."
in La rabbia e
l'orgoglio, Rizzoli, 2001, p. 72-77
postato da:
AMALTEO alle ore settembre 15, 2006 18:32 |
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