Formazione | Biblioteca e Cineteca | Politiche e Leggi | Tracce e Sentieri |
torna a Anni abbastanza crudeli
Tutti i Bossi delle nostre osterie
di PIETRO CITATI
NELLA mia vita, ho conosciuto molti Umberto Bossi. Non è
difficile. Basta allontanarsi dalle grandi strade della Padania, risalire le
incantevoli valli intorno a Bergamo, disseminate di angeli di Lotto rosa e
celesti, o le valli minori della Valtellina, o in Piemonte la valle di Stura
fino a Pian della Mussa, o spostarsi in Veneto verso Pieve di Soligo, dove vive
un grande poeta. Troverete ancor oggi delle piccole osterie-trattorie. Vi si
mangia benissimo: polenta coi funghi, polenta col capriolo, polenta col più
raro stambecco, come se la polenta fosse il cibo dei cibi e il rimedio di tutti
i mali.
In un angolo della trattoria, c'è (o c'era) un tavolo coperto di macchie di
vino, quasi viola. Vi siede un uomo sui quarant'anni. Ha la barba lunga, gli
occhi allucinati dall'insonnia, e beve senza arrestarsi mai. Parla, parla,
parla. Incomincia con le sue (improbabili) avventure erotiche, nelle quali ha
dimostrato una valentia sovrumana: come Ercole o Ulisse. Poi diventa più
interessante. Nella sua vita di vagabondo, deve aver letto qualche libro, e
sfogliato un'enciclopedia. Costruisce cosmogonie, partendo dal basso. Comincia a
parlare male del sindaco: poi del prefetto; poi del governo. Mentre la sua voce
si gonfia, si arrochisce, stride, ridacchia, sale sopra se stessa, rivela cosa
farebbe "se fossi al governo": niente più tasse, gli omosessuali
castrati, i figli adottivi proibiti.
ALLA fine, la sua fantasia sovrana non ha più limiti. Racconta il Big-Bang (con
una sua ipotesi personale), parla dei dinosauri travolti da un meteorite,
discorre facetamente della Unità e Trinità di Dio, dell'incarnazione di Cristo
("una stranezza"); dell'impero romano, che detesta ("Tutta roba
da omosessuali"), esalta Vercingetorige e i Galli che saccheggiano Roma, e
poi giù, spinto da grandi, impetuose folate di vento e di genio, fino al
Medioevo e alla Rivoluzione francese. Non ama i preti, ma nemmeno i giacobini
("erano tutti dei letterati"). Vi infilza aneddoti, possibilmente
contro gli ebrei.
I pochi o molti frequentatori dell'osteria-trattoria lo ascoltano volentieri.
Quella voce roca, euforica, smargiassa li diverte: amano la sua cialtroneria,
compatiscono la sua miseria. E poi rivela loro cose che non sospettavano. Ma
presto giunge la mezzanotte: domattina ci sono i lavori dei campi. I padroni
vanno in cucina, trovano qualche fetta di polenta avanzata, persino un pezzo di
capriolo, e li ficcano nella bisaccia del vagabondo, che si perde nella notte,
chissà dove, cantando una canzone che ha inventato. Come i padroni delle
osterie, anch'io amo gli Umberto Bossi. Mi piace la loro inarrestabile loquela
lombarda, e la mescolanza di candore, fantasia e un lievissimo profumo di
follia. Non sono solo. Piacevano anche ad Alessandro Manzoni, che agli Umberto
Bossi dedicò un mirabile capitolo dei Promessi Sposi, quando raccontò di Renzo
a Milano, durante i disordini per la penuria del pane, seduto ad un tavolo di
osteria.
L'anno scorso ho ritrovato uno dei miei Umberto Bossi - i giornali assicurano
che è quello vero, io non ne sono tanto sicuro - alla televisione, in una
piccola rete lombarda. Era uno spettacolo divertentissimo. A destra dello
schermo, c'era un intervistatore adorante, un angiolotto lombardo grasso e
sudato, che aveva per il Maestro una venerazione maggiore che un giovane
discepolo di Kant nel 1797, o di Hegel nel 1827, o di Croce nel 1911. Bossi
pensava pubblicamente: si avvertiva la fatica, il movimento e la roteazione del
suo pensiero, sebbene ogni tanto i passaggi fossero oscuri o, come si diceva una
volta, pindarici.
Questa volta la cosmogonia aveva fondamenta politiche. Bossi raccontava la
storia del mondo moderno. Sullo sfondo stavano venti banchieri: naturalmente
americani; naturalmente ebrei. Questi banchieri avevano, chissà perché, ordito
un complotto contro l'Europa: l'Europa onesta delle valli lombarde, venete e
piemontesi. La cosa, ormai, durava da più di cinquant' anni: esattamente dal
1945. Solo, lui, Umberto Bossi, se ne era accorto in tempo. I banchieri ebrei
avevano invaso l'Europa di prostitute di ogni razza, scelte una per una: avevano
diffuso le droghe: avevano inviato, in crociera pagata, plotoni di omosessuali e
pedofili, perché corrompessero i bambini; avevano diffuso i cattivi libri.
Tutto, ormai, era degradato. Solo lui, Bossi, era rimasto (e in quel momento
Bossi si alzava, protendeva il braccio in un gesto scurrile, poi si grattava
furiosamente la testa) a difendere l'Europa corrotta e crollante. Ho parlato di
uno spettacolo divertente: farei meglio a dire sinistro..
Noi abbiamo un'idea riduttiva dei folli. Quando non li investe la mania divina,
possono essere astuti, furbi, ingannevoli, persino ragionevoli, dotati di mille
trovate ingegnose e spettacolari. Forse Bossi è uno di questi. Peccato che
nessuno psicologo gli dedichi qualche anno di studi: ne verrebbe una storia
interessantissima, degna dei Casi clinici di Freud.
Tutta questa vicenda, che dura da anni, rivela ancora una volta quanto sia
grande la sciocchezza degli uomini politici italiani. In Francia, Le Pen fu
isolato (almeno in parte), frenato da opportune leggi elettorali, e a poco a
poco messo ai mergini. In Italia, nel 1994 Berlusconi si è alleato con Bossi,
credendo di utilizzarlo: dopo pochi mesi, Bossi lo tradì in modo ignominioso:
allora venne corteggiato dalla sinistra, che scoprì in lui "un vero figlio
del popolo"; ora Berlusconi, si è alleato di nuovo con lui per vincere le
elezioni. Forse, Berlusconi vincerà le elezioni. Ma credo che i suoi moltissimi
denti cesseranno presto di ridere tanto. Alla fine del 2001, o al principio del
2002, Bossi ritroverà la sua vecchia ispirazione. Riscoprirà di essere un
Celta: ritroverà in se stesso l'odio contro i Romani: tradirà di nuovo
Berlusconi; e tornerà a blaterare, davanti a un bicchiere di vino e a un tavolo
sporco, come i suoi sosia, nelle osterie del Bergamasco e della Valtellina.