Molti se l´aspettavano, che l´uomo dai mille affari, signore delle
televisioni commerciali, incongruo capo del governo, venisse ai
ferri corti con la fisiologia costituzionale: non sa cosa sia; ha
troppe mani, cervello selvatico, viscere d´autocrate e una storia
che parla. Ricapitoliamo i dati visibili: era un impresario edile
piduista, inginocchiatosi davanti al Venerabile Licio Gelli; salta
nel business televisivo grazie alle concessioni sull´etere
benevolmente octroyées da Bettino Craxi, del quale diventa un
enorme parassita, bravissimo nel moltiplicare i soldi; dagli schermi
disintegra le teste abbassando l´età mentale media a 11 anni;
persi i protettori, converte l´azienda in partito, cava un
elettorato dalle masse contemplanti, arruola la schiuma; vince,
governa sei mesi, cade; sopravvive benissimo abbindolando un
avversario mandatogli dal Cielo. Da 3 anni è padrone d´Italia ma
trascina vecchie pendenze, sotto accuse molto gravi: siccome teme la
decisione, scatena pandemoni criminaloidi intesi al dissesto del
sistema legale; nella filosofia d´Arcore le norme valgono o no
secondo le persone, sicché traffica impunito chi stia dalla parte
dominante. Al governo accumula performances negative lasciando
allibiti quelli che, senza illusioni sulle qualità morali, gli
accreditavano abilità pragmatiche.
Dell´uomo sappiamo tutto. Figura, stile, maniere, loquela,
conclamano un´incoercibile volgarità. Ha due visi: bagalùn d´l lüster,
barzellettiere logorroico, istrione (quel contratto elettorale
firmato dallo schermo); ma che boss duro sia sotto maschere allegre,
lo dicono i gesti. L´enciclica televisiva mattutina 29 gennaio con
cui infamava le Sezioni unite, colpevoli d´avergli negato la
rimessione, impallidisce davanti alla lettera 30 aprile, dove l´iperbole
assume cariche virulente da guerra civile messicana. Il Tribunale
milanese condanna lo stretto suo sodale a 11 anni, come
intermediario delle baratterie romane, una delle quali vale l´impero
editoriale mondadoriano: e lui, mandante (era uscito ignobilmente
dal processo, approfittando d´una svista nell´art. 321 c.p.),
ulula a tre gole: «sinistra forcaiola», «barbarie giustizialista»,
«logica golpista»; qualifica «ipocriti» i consigli d´«abbassare
i toni» (vengono dal Quirinale); nient´affatto, bisogna «alzarli»
a tutela del popolo sovrano, due volte derubato; risuscitando l´immunità
parlamentare, vuol riconvertire le Camere in luogo d´asilo. Immune
dallo scrupolo estetico-morale lo è già. Come umorista
involontario ogni tanto riesce irresistibile. Ad esempio, inalbera l´insegna
«libertà e decenza»: i tedeschi lo chiamano Galgenhumor; "Galgen"
significa forca. Ovvie proteste dal Csm, verosimilmente condivise al
Quirinale, e lui ribatte l´invettiva: erano riflessioni su una
decade politica italiana; qualche norma vieta le analisi storiche?
«Criminalità giudiziaria», sibila venerdì mattina 2 maggio,
uscendo dal consiglio dei ministri. Ai vertici dello Stato non erano
mai corse maledizioni simili, nemmeno nel gennaio 1925: parla come
un capo-gangster abituato a comprarsi le sentenze o estorcerle;
fallito il colpo, sfrena i molossi sperando d´avere avversari
equivoci, fragili, codardi.
Non sono i soprassalti d´un sensitivo: ha consiglieri anche
spirituali, ghost-writers, archivisti, sondatori, astrologhi,
oniromanti, pensatori; suppongo calcolata ogni mossa. L´urlo
epistolare ricorda Polifemo ubriaco, è vero, ma vi era costretto:
tacendo sulla condanna milanese, come qualunque cittadino rispettoso
delle regole, perde quota nell´opinione canagliesca (componente
sine qua non del fenomeno B., in forma cruda o santimoniosa); non può
sconfessare P., suo agente, e meno che mai gli convengono pose
contrite. Forse la politica non era il suo mestiere. Vedeva chiaro
quel fedelissimo alter ego contrario all´avventura. Dal notaio
romano Cola di Rienzo al maestro elementare romagnolo Benito
Mussolini, è vecchia storia che i predatori della psiche collettiva
abbiano carriere rischiose: giocano sul carisma; e i carismi
subiscono improvvisi squagliamenti. Il suo era legato alla fama d´imprenditore
infallibile, creativo, insonne: un self-made man che suscita
aziende, soverchia i concorrenti, sprigiona talenti; e se risultasse
che il talento era baratteria? Poco male, purché sgomini Dike, dea
minore la cui spada ogni tanto manca i bersagli: le voci morali
risuonano fioche dopo vent´anni d´uno stregonesco diluvio
mediatico; e se le piccole frodi sono perseguibili solo a querela, l´enorme
incute rispetto. Perciò emette fuoco e fumo: padrone delle Camere,
governa a imboscate e razzie, nello stile dell´oppositore ribaldo;
e chiama «il popolo» alla crociata (lo notava Ezio Mauro qui, 1°
maggio). Le sue bestie nere sono Stato, legalità, valori morali,
decoro. Naturale: è come se Capitan Kidd diventasse ministro con
pieni poteri sul commercio marittimo; vi stupite degli effetti
dissonanti?
Che il berlusconismo sia religione (d´un gusto infimo, quindi
rigogliosa), lo dicono sante icone: vuol anche essere taumaturgo;
diventando presidente d´una sua repubblica, magari restaura la
benedizione degli scrofolosi («le Roi te touche, Dieu te guérisse»).
Sinora il culto gli portava lauti profitti. Ma i fedeli esigono
molto dal nume, pronti a ripudiarlo se li delude: mormoravano
vedendo come l´unico ad arricchirsi sia lui, mentre l´Italia va in
bolletta e le promesse restano sulla carta del contratto elettorale;
l´aveva firmato a inchiostro simpatico. Col fiato sospeso seguivano
l´ordalia milanese, aspettando vittorie, meglio se inique. Al primo
assalto, invece, stramazza dopo soperchierie d´ogni colore, dalle
incursioni ministeriali alle leggi truccate, senza contare un passo
falso attribuibile alla logorrea: vizio pericoloso; pagherà cara la
sbalorditiva confessione d´avere speso 500 miliardi negli avvocati
(F. Verderami, «Corriere della Sera», 30 aprile). Il disincanto è
micidiale, signor B. Non teme che i disillusi Le diano del
"pirla"? Ogni spettatore sveglio La confronta alle persone
contro cui inveisce: non hanno reti televisive né giornali né
schiavi, liberti, sicari; non militano in partiti, sette, logge;
vivono dello stipendio acquisito con un concorso (quel concorso
schernito dal partito soi-disant parlamentare, la cui idea del
Parlamento tradisce compiacimenti malavitosi); lavorano impassibili
sotto continue provocazioni, nell´aula e fuori; sventano furiosi
assalti opponendo argomenti agl´imbrogli; l´essai de patience dura
3 anni; e alla fine decidono, perché esiste una legge. Persino l´indurito
sente qualche brivido. Ecco cosa significa "moralità".
L´anno scorso, quando gli strapagati difensori discutevano sul «legittimo
sospetto» davanti alle Sezioni unite, rievocavo un episodio dalla
storia criminale francese anni Trenta (qui, 28 maggio 2002): era
enchanteur anche Serge Alexandre Stavisky, alias Sacha, immigrato
russo, artista d´affari osés, con sponde nel mondo
politico-giudiziario (sullo schermo lo interpretava Jean-Paul
Belmondo e c´era anche il vecchio Charles Boyer); ma è vulnerabile
nel processo che gli striscia dietro; schiva il dibattimento
attraverso 19 rinvii, guadagnando 7 anni grassi, finché a Bayonne
incappa nella disavventura finale; collocava cedole false. Dicono
che s´ammazzi al momento dell´arresto. Pochi lo credono. Sacha era
un povero diavolo rispetto al Sire d´Arcore, editore dominante,
monopolista degli schermi, uomo politico più ricco del mondo,
presidente del consiglio, ecc.: nel suo piccolo aveva talento però;
e qualche pulsione mortuaria ogni tanto trapela dalle gesta
berlusconiane. Nella favola italiana il Joker va sul velluto:
incassato un colpo, raddoppia la posta; comunque finisca, uscirà
ancora più ricco. Vero. Tuttavia, al suo posto mi guarderei dalla
pleonexia. È parola greca, signor B.: l´eccesso arrogante,
malvisto dagli dèi; a gioco lungo, talvolta lunghissimo, lo
puniscono. Il suo futuro politico dipende dagli oppositori.
Supponiamoli seri, e serietà significa precedenti limpidi, disegno
politico condivisibile, ugole sobrie, teste che connettano: allora
soccombe; ma povera Italia se gli regalano una seconda Bicamerale.
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