ESISTE un regime (almeno incipiente) in Italia? L´equivoco sta nel
retroscena semiotico. I negatori motivano così: abbiamo norme
costituzionali; giostrano partiti variopinti; chi voglia parla al pubblico
o, se ha i soldi, fonda giornali; non incombono Tribunale speciale né
Volksgerichtshof o Andrej Januarevic Vysinskij, perfido pubblico ministero
moscovita. Allarmismo falsario o allucinatorio, dunque. L´argomento tiene
finché «regime» significhi Stato fascista, nazista, staliniano, ma solo
qualche cartomante crede nella storia ciclica, dai puntuali bis in idem:
fasci, labari, pugnali, Sturm-Abteilungen, Schutz-Staffeln, commissari del
popolo, ecc.; Kronos li ha inghiottiti e non tornano più, sebbene nell´Es
tutto resti come allora, perché gli istinti non hanno tempo né modelli
morali.
Gli animali umani sfogano diversamente le stesse pulsioni, secondo gli
ambienti: e cade l´illusione d´un continuo Excelsior; che nel futuribile
prossimo non vi siano Lager, né genocidi o popoli schiavi, è ipotesi
compatibile con regressioni terribilmente costose. Ad esempio, i vecchi
arnesi coattivi diventano ferri da buttare quando tecniche pulite regolino
umori, sentimenti, pensieri allo stato nascente, e la vita morale cade al
grado zero, mentre sotto l´oppressione esterna seguita sommersa; l´Italia
fascista era ipocrita, mormorante, nicodemita; quanto dissenso occulto
contenesse il terzo Reich, nonostante la Gestapo, lo dicono teste cadute a
migliaia post 20 luglio 1944.
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Quando
è possibile parlare di regime
Alcuni
connotati: dominio mediatico; liberismo ambiguo; mano governativa sulla
leva giudiziaria
L´equivoco sta nel termine, nel far credere che si parli di un ritorno
allo Stato fascista o staliniano
Mutano i valori, una
partita senza fine, né siamo sicuri delle parole che li nominano («civiltà»,
«Kultur», «civilisation», discusse ai ferri corti dai fratelli Mann,
Thomas e Heinrich, in una congiuntura europea agonica). Insomma, quel
magma italiano 1922-25 o tedesco 1927-33 assumerebbe aspetti nuovi. Le
costanti storiche sono un effetto ottico. Qualcosa cambia nella sequela
dalla Destra alla Sinistra, 1876, sotto immobili forme statutarie. Idem
con l´ultimo Crispi, poi tra Rudini e Pelloux, quando Sonnino predica il
ritorno allo Statuto, ossia un re che governi. Giolitti, infine, aborrito
dai conservatori, elabora come può una democrazia parlamentare, tagliando
l´abito sull´Italia gobba. Ora, non capisco cos´abbia d´empio o
malsano chiamare «regime» l´assetto che B. sta laboriosamente
imponendo. O tutto rimane nei vecchi termini? Nessuno l´ammetterebbe a
destra.
Eccome esiste un regime berlusconiano, talmente vistoso da riempire lo
sguardo. Enumeriamo alcuni connotati: dominio mediatico e relative
stregonerie; «cultura d´impresa» (sintagma da bisbigliare, tenendo d´occhio
un sub-capitalismo dozzinale, parassitario, anarcoide: altro che etica
calvinista; Max Weber inorridirebbe); liberismo ambiguo (liberista fin
dove gli conviene, l´Unico non rinuncerà mai ai privilegi acquisiti col
favore politico): mano governativa sulla leva giudiziaria; fuga dall´Europa.
Le cronache svelano che aria spiri nel serraglio. Se le Brigate rosse
trucidano un consulente del governo su questioni del lavoro, in vista
dello sciopero generale, a tre giorni dal molto atteso rendez-vous
sindacale, ne rispondono gli oppositori: «menzogna e odio», esclama
dalle viscere B.; le parole diventano piombo, ulula un ex capo dello
Stato; «vedevo chiaro», biascica il guardasigilli, attribuendosi un
inverosimile acume prognostico. Due ministri e un sottosegretario
rincarano l´invettiva: rispetto alle istituzioni democratiche sono un «enorme
pericolo» i 3 milioni manifestanti nel raduno romano (700 mila, rettifica
impavido l´esorcista governativo); il terrorismo nasce dalla protesta
sindacale, ecc.
Nemmeno rivivessimo l´affare Damiens, Parigi 1757. Rievochiamolo in
quattro battute. La nobiltà togata teneva discorsi ostili sul re dalla
cui politica dissente, e quel lacchè mattoide, avendoli sentiti, se li
cova fino a convincersi che occorra qualche avvertimento: allora, munitosi
d´un piccolo coltello, tocca Sua Maestà: la ferita somiglia alle punture
d´ape, ma chiunque lo sfiori è regicida; condannato dagli ex-padroni,
finisce in quarti su place de Grève, lunedì 28 marzo, uno spettacolo così
orribile che dalla finestra affittata nell´occasione Casanova distoglie
gli occhi vergognandosi, mentre le dame se lo godono. Niente d´analogo.
Questo delitto nasce dalla microgalassia terroristica, i cui emissari
avevano colpito un consulente del vecchio governo (20 maggio 1999): l´intento
presumibile non è impedire o causare immediati eventi politici, come
quando dei sicari liquidano il negoziatore affinché l´accordo fallisca
(capita due volte nel Medio Oriente), o, ipotesi inversa, sparano sul
refrattario (Jean Jaurés pacifista, luglio 1914); forse cercano solo
visibilità (i colpi riusciti reclutano adepti).
Hanno cattiva fama gli argomenti «cui prodest» o «cui nocet» ma, usati
bene, sono i meno fallibili. Auguste Dupin, investigatore nel Double
assassinat de la rue Morgue, partirebbe da lì. Le offensive sanguinarie
condotte da mano più o meno misteriosa stimolano l´union sacrée, dove i
dissensi sfumano: lievita l´ibrido consociativo; inibito dalla paura d´avere
parenti infami, l´antigovernativo abbassa i livelli d´azione, con un
profitto netto dei dominanti. Ciò non li qualifica colpevoli presunti,
sebbene cose ignobili fossero avvenute negli anni tenebrosi, ma libera l´antagonista
da ogni ragionevole sospetto: quando mai l´establishment ha sofferto l´assalto
terroristico; usciva consolidato da atmosfere patriotticamente solidali, e
avverrebbe ancora, se prevalessero linee timide. Secondo l´ipotesi più
verosimile, i terroristi puntano sul disordine convulso: obiettivo non
conseguibile subito né presto; infatti, è oratoria da due soldi dire che
attacchino il governo. Vogliono alienare la Sinistra dalle sue basi:
quanto meno ascendente abbia, tanto più dissenso capteranno: la sognano
avvilita in commerci servili. Poi assaliranno i governi. Teoremi
maniacali, tale essendo l´universo terroristico (Dostoevskij insegna), ma
coerenti alle premesse. C´è meno logica nelle fandonie dai pulpiti
governativi o dintorni.
Non pigliamole alla lettera, salvo qualche caso clinicamente dubbio: suona
troppo idiota l´accusa d´avere armato mani sicarie, ma nel virtuale
negromantico rende; fredda malafede, direi, se formule così obsolete
fossero tollerabili nel clima d´antimoralismo spavaldo. Certo, danno
spettacoli poco edificanti questi signori. Ha l´aria d´una finta
paranoia anche il fabulario sul complotto antiberlusconiano: «comunisti»
infiltrati nei tribunali, «malagiustizia» e simili gagliofferie; le
ripetono ugole ubbidienti, dal dignitario all´ultimo yes-man.
Non chiameremo «regime»
quel lo i cui adepti salmodiano tale roba, anno Domini 2002? A parte gli
aspetti esteticamente disputabili, balli intorno all´albero della libertà
(Italia 1796) e moderni girotondi manifestano idee politiche: illusione d´un
mondo senza oppressori: protesta contro visibili soperchierie. Le maschere
salmodianti, invece, mimano commedie losche. Senza contare l´imperversante
stile canaille: a ore fisse, turpiloquio truculento; né mancano sgherri
libellisti quali erano nel ventennio nero Telesio Interlandi, Asvero
Gravelli, Giovanni Preziosi.
I pulpiti soi-disants indipendenti lavorano in varie chiavi: didattica
aneddotica, affabile, pseudo-equanime, intimidatoria, profetica;
somministrano consigli, smorfie, scherno, anatemi. Musica vecchia, teneva
banco nelle chiese, e vi passerebbe almeno l´ombra d´un taglio critico
se l´oratore fosse interessato a capire cos´avviene, ma non gl´importa,
né rispetta le procedure del sapere: ha mire pratiche; perciò declama,
depreca, loda, ghigna, vitupera.
Fin dove può, non vede i fatti scomodi, ad esempio scandali berlusconiani.
Quando glieli sbattono sul muso, riascoltiamo vecchi trucchi: evade dal
tema, simula vittorie, sferra colpi bassi alla persona, mistifica le
parole, ecc. (Schopenahauer enumerava 38 imbrogli); e non essendo
Protagora o Gorgia, ogni tanto balbetta. Qualche sermone merita un posto
nel museo del ridicolo dialettico. Ad esempio, sul conflitto d´interessi,
filosoficamente visto: era sempre esistito, dappertutto, e nessuno se ne
doleva, salvo scoprirlo quando è apparso B.; insigne malafede! Vogliamo
selezioni politiche ristrette ai nullatenenti? E i valori della società
operosa? Naturale che i ricchi abbiano qualche chance in più: B. potrebbe
influire sulla partita standone fuori; se è così leale da condurla coram
populo, gliene siano grati. Suona come una parodia ma lui si crede logico.
Altro sintomo il mimetismo sotto falsa insegna. I cantori del nascente New
World posano a liberali, anzi «liberal», sbandierando l´insegna ogni
due o tre passi, senza domandarsi quanto valga nell´universo
berlusconiano. L´autentico liberale non squassa i titoli: che lo sia,
risulta da come pensa, parla, agisce, mentre costoro difendono monopolio,
assolutismo d´impresa, culto immoralistico del successo, controllo
ipnotico dei circuiti mentali, nichilismo d´affari e, en passant,
tecniche manigolde; peggio che negli anni Trenta filosofanti idealisti
avessero scoperto in Achille Starace l´archetipo dell´«atto puro». Non
succedeva perché hanno limiti anche le antifrasi. Troppo impegnato nel
business, B. non ha letto niente e se avesse un autore sarebbe Hobbes,
meno l´acume intellettuale, non Locke o Tocqueville. L´imprenditore
della sua specie è «lupus», senza i costumi sociali lupeschi. L´analisi
potrebbe continuare, senonché eravamo partiti da una questione verbale:
se gli eventi italiani configurino un poco lodevole regime; sì, stando ai
fatti.
Dunque, non è formula da salotto, spendibile tra due drink, come assevera
l´infallibile leader perdente, senza domandarsi come mai gli arrivino
tante lodi ex adverso. A proposito d´opinioni indipendenti, siccome
Plutarco non aveva lasciato una storia parallela de Gaulle-Berlusconi,
qualcuno la compone: nell´autunno 1958 l´opinione democratica italiana,
sbagliando, s´indignava contro l´uomo al quale 8 francesi su 10 avevano
conferito pieni poteri; ora i transalpini sbagliano sul taumaturgo
italiano. Siamo paesi quasi gemelli.
Quanto tempo passerà prima che ciascuno impari dagli errori altrui? (S.
Romano, «Corriere della Sera», 23 marzo). Senza una piega, come se il
sepolto a Colombey-Deux-Eglises, studioso ante eventa dell´arma
corazzata, condottiero d´una Francia ribelle alla sconfitta, eremita,
statista solitario, così diritto da tagliare i nodi d´Algeria
attirandosi odi furiosi, fosse paragonabile al mercante barzellettiere d´Arcore.
Il quale recita dagli schermi nel giorno del funerale bolognese, sotto
maschera eroica: vilipendono l´uomo delle riforme (lui, B., crocifisso
dagli oppositori) e sparano anche; congiunzione maligna «e» imparenta
gli oppositori ai terroristi. Che pastiche: El Cid trasposto da Corneille
a Molière; Tartufo traffica, piagnucola, azzanna.
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