Sabato 21 settembre B. chiede aiuto. Dunque, siamo prossimi al naufragio
economico: la colpa era dei buchi lasciati dagli attuali catastrofisti, ma
«ghe pensi mi», ripeteva sorridendo dallo yacht; e il mago trimontano
modulava diagnosi rosa. Sono finiti i bei tempi, quando governi allegri
accumulavano debiti fingendo che fossimo la quinta potenza industriale al
mondo, mentre la lira languente ingrassava gli scorridori delle valute.
Chi sta nellŽEuropa subisce molesti controlli. Il primo Dpef
berlusconiano, luglio 2001, postula una crescita impetuosa del pil: 2002,
3,1%; 2003, 3,2. Fantasie da libro dei sogni, obietta chiunque abbia testa
sul collo e occhi aperti, ma i nuovi signori ribadiscono lŽimpegno: ipsi
dicunt; i miracoli sono affare quotidiano sotto il sole dŽArcore. Nel
settembre 2001 lŽUe calcola meno della metà, 1,3, e gli astrologhi sŽattestano
sul 2,3, vituperando i disfattisti. Dopo 9 mesi postulano ancora lŽ1,3,
col solito anatema aglŽincreduli. Infine calano allo 0,6. Vacche pellŽe
ossa, come nel sogno faraonico interpretato da Giuseppe.
Lievita invece il debito pubblico. GlŽindovini forzaitalioti
pronosticavano (luglio 2001) un rapporto quasi virtuoso tra deficit e
prodotto interno lordo, 0,5%. Idem a settembre. Senonché 9 mesi dopo, il
dividendo sŽimpenna sul divisore: affoghiamo nel rosso; il quoziente dà
1,1, ed era pio imbroglio; il penultimo dato ufficiale, settembre 2002,
segnalava una caduta tra 1,8 e 1,9; lŽultimo è 2,1 e speriamo dŽaver
toccato il fondo.
Era prevedibile che, smaltita la sbornia, agli italiani sarebbero rimasti
gli occhi con cui piangere (due mesi fa mŽero permesso la metafora),
mentre sŽarricchiva lŽUnico in persone multiple: impresario televisivo
monopolista, editore, finanziere, assicuratore, re del football, ecc.,
nonché statista supremo, gestore fiduciario della res publica, unto dal
popolo, quindi insindacabile; legibus solutus, al punto da riscriversele e
rimuovere probabili delitti impedendo che i tribunali li giudichino; il
tutto senza lŽombra dŽun conflitto dŽinteressi. Come succeda, non lo
capisce nemmeno un intellectus angelicus, a casa sua nei misteri della
Trinità, ma col ddl governativo votato da Montecitorio, ora pendente a
Palazzo Madama, il ministro della Funzione pubblica (glŽinformati lo
vedono prossimo alla Farnesina) svela ai fedeli dŽavere quadrato il
cerchio. A proposito dŽesteri, i numero infausti dellŽeconomia non
tolgono lŽestro ai panegiristi. Sentiamone uno (S. Folli, Corriere della
Sera, 22 settembre); il governo arranca; Lui però combina meraviglie
sullo scacchiere mondiale; eh sì, "la Realpolitik berlusconiana ha
cambiato qualcosa nel modo in cui lŽItalia è percepita a Washington,
Mosca, Londra"; il nocchiero italiano viene "due passi dietro
Blair, nella scala dei preferiti, ma davanti a molti", come in quelle
tristi sfilate dei re davanti a Napoleone imperatore. Sciolti i nodi
planetari, manda un proconsole ubbidiente alla Farnesina, affinché non vi
nascano contropoteri, e da Palazzo Chigi "stende lŽala vagamente
minacciosa sui ministri". Rivediamo Napoleone condottiero, demiurgo,
codificatore, genialmente despota. Mentre officiava tra i continenti,
affascinando i partner (lŽomelia anglobrianzola da Camp David?), qualcosa
strideva nelle ruote interne, ma poi torna: sia lode al Signore; appena
afferri i timoni, siamo salvi. I ministri gli fanno da segretari.
"Guida la Finanziaria e affianca Lunardi sulle grandi opere",
recita un titolo epico-mussoliniano sulla stessa pagina (i soldi dove
diavolo li piglia?). LŽagenda reca: economia, lavori pubblici, sanità;
dopo il legittimo sospetto, inutile dirlo, senza contare conflitto dŽinteressi,
immunità parlamentare e varie botte al sistema penale. Ha tutto il tempo
che vuole, 4 anni "senza apparenti rischi". Solo i dominatori
entrano così: "Diamoci una mano"; con tre parole svelena lŽatmosfera,
disarma gli oppositori, rassicura il Quirinale. Orizzonte nuovo "sul
piano dei simboli". Soffia "uno spirito diverso". Siamogli
grati del sacrificio che consuma tornando nellŽaria caliginosa degli
affari interni: volava alto; e lascia il cuore alla Farnesina.
Le cose mutano
secondo chi ne parla. QuestŽàugure appartiene alla famiglia Callino,
Tirteo, Pindaro. Meno liricamente, dovendo tentare un tableau, lo
disegnerei così. Taumaturgo? No, i suoi miracoli sono molto spiegabili
sul terreno empirico. Certo non è statista e nemmeno uomo politico, se la
politica seria nasce dalla riflessione su idee, fatti, serie causali: non
li degna; e lì sta la sua potenza finché calchi le scene elettorali,
forte dellŽordigno televisivo col quale sŽera allevato masse pronte a
bere. Il berlusconismo straripa dalle vecchie mappe, allignando
dappertutto in varia misura: operai, artigiani, commercianti, piccoli
padroni, Grub Street (era la via londinese dei libellisti), pensionati, lŽuniverso
deglŽimpieghi, partite Iva, sommerso, borghesia dŽaffari, industriali,
massaie, microredditieri, professionisti, clientele orfane o vedove,
disoccupati, ecc,; è una festosa epidemia, dove lŽorigine sociale conta
meno dei segni antropo-culturali. Semplifichiamo lŽanalisi distinguendo
due classi. Il forzaitaliota militante sŽarruola in una compagnia
corsara, come nelle Antille tre secoli fa: verosimilmente i quadri
contengono pochi hommes dŽesprit o sofisticati gentiluomini; conta lŽefficienza
ubbidente. Qualcosa dŽanalogo avveniva sotto Achille Starace, Anni
Trenta: nomine dallŽalto, gerarchia, vertice monocratico; i criteri
selettivi scattano inesorabili, scovando ogni ombra dŽautentico pensiero;
pensare è sintomo dŽuna lue. Visi, mimiche, giaculatorie, contumelie,
proclami, referti, chiose, ricalcano stereotipi Mediaset, quotidianamente
rielaborati: nessuno improvvisa o spende del suo; le battute scattano
uniformi (a esempio, volendo sminuire qualcuno, gli danno del vecchio).
Nella seconda classe mettiamo i comuni elettori. Segnalerei, pescando a
caso, ultras del moderatismo, clerical-vandeani, liberisti (disattenti,
visto che contribuiscono al peggiore monopolio), tecnocrati veri o
convinti dŽesserlo, troupes fobiche, cultori delle cose facili e allegre,
qualche anti-filosofo (lŽarchetipo è Millàn Astray, generale franchista
ridotto a moncone umano da vecchie gloriose ferite, inventore dello slogan
«Viva la Muerte»: lo sbraita nellŽUniversità, Salamanca 15 settembre
1936; Miguel de Unamuno, rettore, protesta disgustato; e lui ribatte «Abajo
la Inteligencia!»). Ma votavano blu anche persone molto diverse dai
predetti modelli: alcuni non sŽilludono sullŽuomo; lŽhanno scelto faute
de mieux, malvolentieri, in odio alla parte opposta; e credono dŽusarlo
come ariete o dissolvente.
Nessuno gli contesta
lŽabilità: a esempio, divora i seduti al tavolo dove simula negoziati, o
moltiplica il denaro senza idiosincrasie etiche, ma i suoi mirabilia sono
dŽuna specie estranea alla cultura capitalistica seria; lŽimpresario
edile deve le fortune televisive a un privilegio; glielo concedono (non
gratis, suppongo) consorterie politiche da prendere con le molle nellŽItalia
del malaffare; senza i quali favori, non sarebbe lŽattuale satanasso.
Batteva le fiere sullŽonda ipnotica televisiva: persi i protettori, sŽinventa
condottiero perché teme assalti allŽimpero privato; vuol salvarlo o,
meglio ancora, proiettare gli affari su scala siderale. Il resto sono
slogan permutabili, dal comico allarme anticomunista al libero mercato che
aborre come la peste, essendo parassita dei monopoli. Convertita la
bottega in partito, arruola ignoti, naufraghi, cercatori dŽoccasioni. Ha
limiti molto visibili. Uno, gravissimo, è non percepire gli aspetti
morali: forse qualche cortigiano gli racconta che siano bigottismi démodés,
e sbaglia: contano ancora nella partita, eccome. Pagherà le inverecondie.
I modi del suo successo, poi, implicano un contrappasso. SŽera imposto
abbassando i livelli mentali. Il pubblico ha teste da seconda media,
ultimi banchi, ripete categorico: e non è rilievo statistico ma comando
ai manovratori; se un cervello supera la misura, lo riducano. Imparino da
Procuste. Le lobectomie gli riescono a meraviglia. Infatti, detta le mode:
gusti, fobie, stilemi suoi contagiano aree più o meno lontane; fioriscono
dappertutto volgarità istrionesca, narcisismo, dialettica barzellettiera,
fuga dal discorso pensato.
Ma lŽarnese colpisce anche chi lo impugna. Infatti, nemmeno lui distingue
i mondi virtuali dallŽunico reale. Il deficit critico spiega perché
navighi male: il mestiere dello statista è molto più arduo delle
stregonerie televisive che lŽarricchivano grazie ai signori del Caf;
raccoglieva voti dai quattro punti cardinali con promesse incompatibili,
semi dŽaltrettante delusioni; e rinviava il rendiconto postulando
congiunture talmente grasse da soddisfare tutti, nemmeno vivessimo
"Beautiful". Nella storia italiana recente era avvenuto due
volte che un capo del governo subisse terribili castighi, essendosi
avventurato senza discernimento: Crispi 1896 (1° marzo, giornata dŽAdua),
Mussolini 1940-3; ma lŽautistica spavalderia berlusconiana non ha eguali.
La squadra ministeriale gli viene dietro nel disinvolto chemin de fer su
pelle italiana: il primo governo del Centrosinistra aveva portato lŽItalia
nel club europeo; governati da costoro, rischiamo dŽuscirne. Visti i mala
tempora, B. sfodera lŽennesima furberia invitando gli oppositori allŽunion
sacrée: se rispondono picche, li bolla disfattisti-eversori antitaliani,
la cui malvagità glŽimpedisce i miracoli; e se mordono lŽamo, che
trionfo. Gli ottimisti ventilano già una seconda Bicamerale: Berlusco
felix, come Silla, ogni impresa del quale andava bene; e stavolta, oltre a
risolvere le sue rogne attraverso riforme ad personam la cui assoluta
priorità resta fuori discussione (lŽhanno detto i corifei), gioca
grosso; è ora dŽintavolare una metamorfosi della Repubblica. LŽaveva
annunciata due mesi fa, con lŽabituale modestia, pronto a servire purché
gli conferiscano adeguati poteri: altrimenti vada chi vuole sul Quirinale;
lui resta a Palazzo Chigi.
Poveri noi se lŽappello fosse raccolto da qualche jack in the box (i
fantocci a molla che scattano dalla scatola). Stringe lo stomaco lŽincubo
dŽuna seconda Bicamerale. Siccome esistono metafore più istruttive della
migliore analisi politica, chiedendo venia cito ancora La Fontaine, dalla
satira dŽun tal Florentin: ha tre gole quel lupo; guai a chi lo
frequenta, gli finisce nelle fauci; persino il re stenterebbe a saziarlo.
Non è animale da ménages dialoganti: la mano tesa agli oppositori era
una mossa fugace; e subito ritrova gli spiriti ferini. Li segnala lŽinvettiva
da trivio allŽex presidente Scalfaro, colpevole dŽavere rilevato quanto
poco elegante fosse voltargli la schiena, confabulando con un senatore,
mentre lui parlava nel dibattito sulla politica estera. Palazzo Madama non
aveva mai visto manierismi simili. Altro che la Versailles raccontata da
Saint-Simon, qui imperversa lo stile dŽArcore.
|