MEGLIO dirsi evasore fiscale e chiudere così la partita, che affrontare
le circostanze che ti indicano corruttore di giudici e manipolatore di
sentenze. Cesare Previti ha indicato la strada e gli altri imputati, che
siedono con lui allo scranno del processo di Milano, muovono nella stessa
direzione. In attesa di Renato Squillante, avanza al proscenio Filippo
Verde (è stato presidente di sezione del tribunale civile di Roma, decide
un risarcimento a favore della famiglia Rovelli nell´affare Imi/Sir).
Corrotto? No, spiega, è sempre stato ricco fin dall´infanzia. Cresce in
quattordici stanze a Napoli tra pezzi di antiquariato e quadri di valore
(Guido Reni, Mancini, Fattori).
Vende questi beni a mercanti che, purtroppo, non si lasciano rintracciare
ma un fatto, dice, non deve essere messo in discussione: quel conto
svizzero «Master 811», di cui è beneficiario, è stato - non si può
negare - aperto da Attilio Pacifico con 500 milioni di vecchie lire, ma
non è l´esito di un malaffare leguleio. È soltanto una manovra per non
pagare più le tasse dopo aver raggranellato 700 milioni con un arbitrato.
Di questo si trattava, dunque: non di corruzione in atti giudiziari, ma di
evasione fiscale. Decine e decine di conti bancari.
L'ultima
trincea dell'evasore Previti
Migliaia di bonifici
in partenza e in arrivo da paradisi fiscali, come se fosse il gioco dei
quattro cantoni. Parcelle professionali pagate estero su estero.
Compensazioni. «Esterovestizioni». «Spalloni» con centinaia di milioni
di lire in contanti in viaggio dalla frontiera alla Capitale. Una
ragnatela di cointeressenze che stringe, in un solo nodo, amici che si
fidano degli altri come di se stessi, e poco importa se alcuni fanno gli
avvocati e altri i magistrati nello stesso Palazzo perché, tra di loro,
non si parla mai di lavoro, al più si organizzano coriacee tenzoni
pedatorie.
È questa la «linea del Piave» che Cesare Previti scava a Milano per
salvare la faccia. Non è un atto virtuoso, è una scelta obbligata. «Pizzicato»
il suo conto «Mercier», nella sola occasione in cui prende la parola,
Previti svela che i soldi che lo alimentano dai conti Fininvest sono di
passaggio nelle sue mani. Egli ha avuto il mandato di trasferirli alle
Bahamas a professionisti «non italiani» di cui non intende fare il nome.
Purtroppo (per l´avvocato), si scopre che il conto alle Bahamas nasconde
non un professionista «non italiano», ma Previti stesso. È costretto
così a riprendere la parola. Ho parlato di mandato, dice, perché sono
stato mal consigliato dai miei avvocati, in realtà si trattava di
compensi in nero della Fininvest. Decine di miliardi per un´imponente
attività professionale.
L´affare lo si potrebbe chiudere così (Angelo
Panebianco, dalla colonne del Corriere della Sera, sembra volerlo
chiudere così): Cesare Previti ammette di essere un evasore fiscale. Non
corre alcun pericolo penale. Non è imputato per quello anche perché per
quel reato, come da accordi con la Svizzera, non può essere imputato. Non
è l´esito penale che interessa qui, ma l´aspetto civile e politico. Per
la dimensione pubblica delle sue responsabilità, la confessione di
Previti non può che diventare, appunto, un caso politico. Il governo che
Previti sostiene (e da cui è sostenuto) si prepara al varo di un
concordato fiscale e allora paghi Previti almeno il prezzo minimo: si
dimetta, si autoescluda dalla vita pubblica e, se resiste, venga dimesso
dai suoi.
L´escursione tra i fatti è un jeu de cartes molto più pericoloso per i
protagonisti. Vediamo. «Mercier» di Cesare Previti viene alimentato da
un conto chiamato «Ferrido». Da qui, per fare un caso, si muovono i
434.404 dollari che, dopo una sosta di un paio d´ore nelle mani di
Previti, approdano al conto «Rowena» del giudice Renato Squillante. A
chi appartiene «Ferrido»? Domanda chiave.
Per quasi sette anni, Previti non ha trovato la risposta. Oggi ammette: è
della Fininvest. Da qui, da Ferrido, pagavano «in nero» i miei conti,
non c´era fattura, non c´erano voci iscritte a bilancio, non c´era
prelievo fiscale. Previti confessa quel che non può più tacere e che
tutti conoscono da più di cinque anni: l´atto di apertura del conto «Ferrido»
è firmato da Giuseppino Scabini, dirigente della tesoreria del gruppo
Fininvest.
Interrogato nel marzo ' 97, Scabini dichiara: «Effettivamente i conti
Ferrido e Polifemo a Chiasso sono stati da me aperti su richiesta di
Gironi, che era il mio capo». Capo della tesoreria di Fininvest,
presieduta da Silvio Berlusconi.
Se il gergo non si fa sgrammaticato, allevando qualche confusione e
tartuferia, l´affare va declinato in altro modo, dunque. Se si vuole
contenere nel recinto dell´evasione fiscale la responsabilità di Previti,
non si può distogliere lo sguardo dai falsi bilanci della Fininvest di
Silvio Berlusconi che l´hanno prodotta. Se si vuole ricordare al primo (Previti)
la sua «dimensione pubblica», non si possono dimenticare le gravose
responsabilità di governo del secondo (Berlusconi). Se si vuole ammonire
il primo (Previti) per il concordato fiscale prossimo venturo, non si
possono gettare in un canto le leggi di un passato recentissimo come il
falso bilancio e lo scudo fiscale voluto dalla maggioranza guidata dal
secondo (Berlusconi). Se Previti deve togliere il disturbo uscendo dalla
comune, che dovrebbe fare l´altro che veste i panni del presidente del
Consiglio? Tutti a casa, allora? Naturalmente tutti resteranno al loro
posto e dunque conviene attendere l´accertamento dei fatti che il
processo di Milano promette. Si tratta davvero soltanto di evasione
fiscale? Quell´intreccio di relazioni finanziarie tra avvocati (Previti,
Pacifico e Acampora) e magistrati (Squillante, Verde, Metta) era soltanto
un modo complice per proteggersi dal fisco, come vanno ora ammettendo gli
imputati, o in quell´intreccio si muoveva il prezzo miliardario con cui
si barattavano le sentenze, come sostiene la ricostruzione dei pubblici
ministeri?
È un interrogativo che dovrebbe appassionare più del destino politico di
Cesare Previti, trasfigurato inaspettatamente in capro espiatorio. La
sensibilità alla dimensione civile e politica dell´affare (finalmente
liberato dall´accusa d´essere soltanto una «persecuzione politica»)
impone oggi una sola ed essenziale mossa: si chieda che il processo non
venga soffocato, il 10 di ottobre, dall´approvazione della legge Cirami.
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