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Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972. Inviato dal
Gran Kan, Marco Polo ha visitato e raccontato al Sovrano infinite città. Ma
ecco che il Kan gli chiede:
-Ti è mai accaduto di vedere una città che assomigli a questa? - chiedeva Kublai a Marco Polo sporgendo la mano inanellata fuori dal baldacchino di seta del bucintoro imperiale, a indicare i ponti che s'incurvano sui canali, i palazzi principeschi le cui soglie di marmo s'immergono nell'acqua, l'andirivieni di battell leggeri che volteggiano a zigzag spinti da lunghi remi, le chiatte che scaricano ceste di ortaggi sulle piazze, dei mercati, i balconi, le altane, le cupole, i campanili, i giardini delle isole che verdeggiano nel grigio della laguna.
L'imperatore,
accompagnato dal suo dignitario forestiero, visitava Quinsai, antica capitale di
spodestate dinastie, ultima perla incastonata nella corona de Gran Kan.
-
No, sire, - rispose Marco, - mai avrei immaginato che potesse esistere una città
simile a questa. L'imperatore cercò di scrutarlo negli occhi. Lo straniero
abbassò lo sguardo. Kublai restò silenzioso per tutto il giorno.
Dopo
il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le
risultanze delle su, ambascerie. D'abitudine il Gran Kan terminava le sue sere
assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non
dava il segnale al corteo dei paggi d'accendere le fiaccole per guidare il
sovrano al Padiglione dell'Augusto Sonno. Ma stavolta,
Kublai
non sembrava disposto a cedere alla stanchezza. - Dimmi ancora un'altra città,
- insisteva.
-
... Di là l'uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante... -
riprendeva a dire Marco, e a enumerare nomi e costumi e commerci d'un gran
numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a
lui d'arrendersi. Era l'alba quando disse: -Sire, ormai ti ho parlato di tutte
le città che conosco. - Ne resta una di cui non parli mai.
Marco
Polo chinò il capo. - Venezia, - disse il Kan.
Marco
sorrise. - E di che altro credevi che ti parlassi?
L'imperatore
non batté ciglio. - Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.
E
Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.
-
Quando ti chiedo d'altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia,
quando ti chiedo di Venezia. - Per distinguere le qualità delle altre, devo
partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.
-
Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza,
descrivendo Venezia così com'è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò
che ricordi di lei.
L'acqua
del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell'antica reggia dei Sung
si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano.
-
Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, -
disse Polo. - Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne
parlo. O forse, parlando d'altre città, l'ho già perduta a poco a poco.