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Irving, Calderoli e il libero pensiero
MASSIMO L. SALVADORI
Devo dire che prima vedere lo storico inglese David Irving arrestato,
processato, indotto dalla paura della pena a pronunciare un´autocritica e
condannato dal tribunale di uno Stato democratico come l´Austria per le sue tesi
sulla Shoah e poi leggere le dichiarazioni di piena approvazione dell´azione
penale rilasciate da tante persone stimabili mi ha gettato nel più profondo
sconcerto. Credo che la vicenda sia tale da suscitare un forte campanello di
allarme.
Irving fa parte di un gruppo di intellettuali che, con diramazioni in varie
parti del mondo, hanno fatto della negazione dello sterminio degli ebrei il loro
mestiere. Le loro tesi, che costituiscono uno dei maggiori capitoli del libro
delle grandi menzogne della storia, sono state confutate da schiere di storici
con incontestabili documentazioni a partire da quelle indimenticabili fornite
dai cineoperatori che alla fine della guerra filmarono i campi di sterminio, i
resti delle vittime e i pochi sopravvissuti. A credere il contrario sono
unicamente quanti dominati da un acritico e spregevole antisemitismo, il quale
si esprime nella convinzione che l´olocausto sia stato un´invenzione delle
potenze vincitrici alimentata strumentalmente dal vittimismo ebraico e che gli
ebrei caduti sotto la falce dei loro persecutori abbiano pagato il fio delle
loro colpe storiche. I negazionisti con le loro falsità erano stati isolati dal
dibattito pubblico e nell´opinione di tutti gli uomini civili. Sennonché, in
forza dell´applicazione di una legge in vigore anche in Germania che considera
un crimine la negazione della Shoah, lo Stato austriaco ha ritenuto proprio
dovere condannare Irving alla prigione per le sue opinioni.
Io penso che si tratti di un grave passo falso, gravido di implicazioni, per due
principali motivi: l´uno di natura pratica e l´altro di carattere ideale. Il
primo è che esso fornirà argomenti propagandistici alle correnti
dell´antisemitismo islamico, oggi capeggiate dal presidente della repubblica
iraniana, le quali potranno asserire che la "verità" viene soffocata dallo Stato
e additare quali "martiri della causa" i vari Irving. Il secondo è che
condannare alla prigione un individuo per le sue opinioni, siano esse come in
effetti sono anche le più squallide, costituisce una palese contraddizione dei
fondamenti delle libertà civili e politiche.
La libertà di pensiero e di espressione si è fatta strada nel mondo moderno
contraddicendo frontalmente l´idea che sia compito dello Stato di tutelare le
buone opinioni contro quelle cattive e affermando l´idea opposta che spetti alle
prime scacciare le seconde in un confronto aperto, poiché solo questo è in grado
di creare intorno ad esse un consenso convinto e durevole nell´intimità delle
menti; che la verità imposta per legge induca di per sé quel corrompimento il
quale consiste nel tarpare le ali alla verifica delle tesi in contrasto.
Credevamo che certi argomenti nelle nostre democrazie liberali avessero posto le
più salde radici, ma chi si guarda intorno non può non vedere che la volontà del
potere pubblico di ricorrere alla forza dello Stato anziché alla forza della
democrazia e della libera opinione a difesa dei propri principi e valori va
diffondendosi.
In proposito vale la pena di rileggere le seguenti parole di J.S. Mill, tratte
da quel suo saggio Sulla libertà che costituisce una delle pietre miliari del
pensiero liberale: «Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione,
non avrebbero più diritto di far tacere quell´unico individuo di quanto ne
avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l´umanità. (...) Impedire
l´espressione di un´opinione è un crimine particolare, perché significa derubare
la razza umana, i posteri altrettanto che i vivi, coloro che dall´opinione
dissentono ancor più di chi la condivide: se l´opinione è giusta, sono privati
dell´opportunità di passare dall´errore alla verità, se è sbagliata, perdono un
beneficio quasi altrettanto grande, la percezione più chiara e viva della
verità, fatta risaltare dal contrasto con l´errore». E ancora: «Se si vietasse
di dubitare della filosofia di Newton, gli uomini non potrebbero sentirsi così
certi della sua verità come lo sono. Le nostre convinzioni più giustificate non
riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a
dimostrarle infondate». Mill poi sottopone alla nostra attenzione un altro
argomento di valore decisivo, su cui occorre adeguatamente riflettere: che la
verità deve trovare la propria protezione nella sua forza intrinseca, che quando
invece essa la ricerca e la trova in una imposizione esterna, allora «finirà per
essere creduta un freddo dogma, non una verità attuale»; che «se l´opinione
comunemente accettata è non solo vera ma costituisce l´intera verità, se non si
permette che sia, e se in effetti non è, vigorosamente e accanitamente
contestata, la maggior parte dei suoi seguaci l´accetterà come se fosse un
pregiudizio, con scarsa comprensione e percezione dei suoi fondamenti
razionali».
Lo spettacolo di un Irving che, per paura della pena, protesta di aver cambiato
opinione e dei giudici che dicono di non credergli lancia un brutto messaggio:
brutto per la viltà dello storico inglese che, guarda caso, non aveva creduto di
pronunciare la sua autocritica prima di essere arrestato (e qui la macchia
attiene alla moralità dell´individuo); ma brutto, a mio giudizio assai più
brutto, per l´esempio di uno Stato che si erige a giudice delle opinioni e della
verità (e qui la macchia colpisce le istituzioni). Irving era uno studioso
screditato. Nulla di più sbagliato e insidioso che farne uno studioso
perseguitato, perché, quando si attiva un meccanismo di tutela per via
istituzionale della verità, si sa come si comincia ma non come si finisce. La
condanna di un Irving può trovare l´appoggio di una prevalente opinione pubblica
che considera giustamente scandalosa la negazione della Shoah. Ma un´opinione
pubblica che si predispone ad affidare allo Stato la repressione di ciò che
considera scandaloso, compie un passo terribilmente pericoloso, che semina germi
potenti di illiberalismo. Prendiamo il caso della religione, più che mai attuale
e scottante. L´ex ministro Calderoli – la cui statura intellettuale e morale è
al pari di quella di Irving quello che è – viene ora indagato per vilipendio
della religione. Non vi è dubbio che nell´opinione pubblica vi sia una parte
consistente che ritiene scandalosa (e in effetti anche qui di uno scandalo si
tratta) la sua volgare provocazione nei confronti dell´Islam e quindi giusta
un´azione giudiziaria nei suoi confronti. Ma siamo sicuri che, una volta
imboccata questa via, questa stessa opinione pubblica o un´altra diversamente
composta non troverebbe altrettanto giusto punire, ad esempio, uno studioso il
quale conducesse una critica distruttiva delle religioni con argomenti giudicati
offensivi per la coscienza dei credenti, e, in quanto blasfema, censurabile e
perseguibile dalla legge?
Stiamo attenti: la minaccia che non solo gli Stati autoritari ma anche gli Stati
democratici recidano il legame con le libertà politiche e civili è sempre
incombente. Affidiamo la difesa delle verità in cui crediamo alla sfera della
coscienza e del libero confronto e non alla falsa illusione che esse possano
trovare il loro scudo in qualsivoglia braccio secolare. Le esperienze del
passato dovrebbero averci insegnato abbastanza; ma non sembra che così sia.