Gino De Marchi era un regista cinematografico e lavorava per la
Mostechfilm di Mosca. Era uno dei tanti italiani, comunisti, che negli
anni Venti avevano scelto di lasciare l´Italia e di vivere nel paese del
socialismo. De Marchi era andato in Russia nel 1921, quindi un anno prima
dell´avvento del fascismo, e nella piena consapevolezza di aver preso una
giusta decisione. Era un attivo militante del partito comunista d´Italia,
fondato proprio quell´anno, e aveva rapporti con Gramsci e con Terracini.
Fu quest´ultimo ad aiutarlo a trovare un lavoro a Mosca. Qui sposò una
ragazza russa e nel 1933 prese la cittadinanza sovietica.
A quel tempo, italiani come lui, motivati o no politicamente, ce n´erano
molti in Russia. Alcuni si trovavano lì dai tempi dell´impero zarista,
ma i più giovani ed entusiasti vi erano arrivati al tempo della NEP (cioè
di un comunismo lievemente liberale) sia per sfuggire al fascismo sia per
partecipare a quella che appariva come l´avventura esaltante della «costruzione»
del comunismo. Con il primo piano quinquennale, varato nel 1929, e con il
progressivo affermarsi del potere personale di Stalin, questi italiani
entrarono tranquillamente nella routine sovietica senza preoccuparsi della
lotta in corso tra Stalin, Trockij, Bucharin e probabilmente senza
percepire il pericolo di trovarsi in una grande trappola nella quale
moltissimi sarebbero caduti e ne sarebbero stati stritolati.
Gino De Marchi fu uno di questi. Il 2 ottobre 1937 fu arrestato a Mosca
dal Nkvd con l´accusa di appartenere a una associazione trockista al
soldo dell´Ambasciata italiana per attività di spionaggio. Era stato
denunciato da quattro suoi «compagni» sovietici della cui testimonianza
(che riportiamo in parte qui sotto) si servirono i funzionari del
ministero dell´Interno sovietico per sottoporlo a stringenti
interrogatori. De Marchi negò sempre di avere avuto contatti con i nemici
dell´Urss, di avere compiuto atti di spionaggio, di avere «svolto
attività controrivoluzionaria».
Negò fino all´8 febbraio 1938, giorno dell´ultima trappola. Qualcuno
forse lo aveva consigliato di «confessare», per sfuggire a una
inevitabile condanna a morte. Alla prima domanda del suo inquisitore
dichiarò: «Sì, mi sono convinto che ormai sono completamente
smascherato e che continuare a negare è insensato. Ho deciso di dare agli
inquirenti una deposizione sulla mia attività controrivoluzionaria». Il
3 giugno 1938 fu fucilato a Butovo, nel distretto di Mosca. Aveva
trentasei anni. Ai familiari venne comunicata la morte per peritonite. Fu
riabilitato il 14 luglio 1956, tre mesi dopo la denuncia di Krusciov dei
crimini dello stalinismo.
Farsesca l´accusa a De Marchi (in nome di un comunismo «di sinistra»
essere spia dell´Italia fascista), farsesco il suo processo (condotto
senza alcuna, per quanto inutile, formalità giuridica), farsesche le
testimonianze dei suoi accusatori e la sua confessione, falsa la
dichiarazione ufficiale della morte. L´unica verità, la tragedia di
milioni di persone come De Marchi e la irrealtà politica di quel
comunismo che per De Marchi era stata una scelta di vita. Di fronte a
questo groviglio, concreto e surreale, si può solo opporre una memoria
storica più complessa e più pensata di quanto non sia il pur necessario
ricordo di altre violenze e stermini che hanno segnato una parte del
Novecento.
Un percorso storiografico e conoscitivo del genere è stato compiuto in
ricerche, romanzi, film, biografie dedicati allo stalinismo e al libro
nero del comunismo. Comunque, anche se ancora dell´utopia comunista
sopravvivono sparuti eredi e orfani, i conti con la storia sono stati già
fatti. Ma nuovi documenti di quella storia cominciano a affiorare e
ripropongono a noi, senza filtri e mediazioni, l´angoscia, il fastidio,
la nausea di quanto è accaduto. Stati d´animo che non possono però
impedirne l´esatta e fredda conoscenza.
E´ quanto accade con l´ultimo volume degli Annali della Fondazione
Feltrinelli dedicati ai Gulag e agli italiani vittime della repressione
staliniana. L´apertura, a partire dal 1992, degli archivi sovietici e l´utilizzazione
incrociata di documenti archivistici italiani ha permesso a Elena
Dundovich, Francesca Gori e Emanuele Guercetti di coordinare una
ricognizione e una analisi storica più compiute del «Grande Terrore»
stalinista, della complicità del comunismo internazionale, della
repressione pianificata di moltissimi stranieri che si trovavano in quegli
anni in Unione Sovietica, anche di quelli apparentemente più fidati e
fedeli. La destinazione internazionale degli Annali comporta che gli otto
saggi dedicati al Gulag (ne sono autori storici russi e italiani) siano in
lingua inglese. Come il titolo: Reflections on the Gulag. With a
documentary appendix on the Italian victims of repression in the USSR.
Per
quanto ampie siano le ricerche e disponibili le fonti documentarie è però
impossibile ricostruire la storia di 18 milioni di persone che sono
entrate nei Gulag e nei campi di lavoro forzato tra il 1934 e il 1952. E
anche questa cifra è approssimativa. Sull´argomento vi è nel volume una
bibliografia completa (dai primi scritti degli anni Venti sui prigionieri
politici alle indagini più recenti di storici russi) curata da Hélène
Kaplan. Ma ai lettori italiani interesserà scoprire quale sia stato il
dramma degli italiani che come il regista Gino De Marchi (la cui vicenda
sembra riassumere quella di tutti i nostri connazionali) sono stati
annientati dalla repressione di Stato in Russia. Metà del volume ne fa
minuziosamente la storia, tra verbali di interrogatori, sentenze e
disperate lettere ai familiari degli imprigionati e dei condannati,
integrate da testimonianze orali e memorie. Le sei parole di una lettera
di un italiano fucilato nel 1937, poste come epigrafe al saggio delle
curatrici sulla repressione degli italiani, dice tutto: «Difendete la mia
memoria: io sono innocente».
Da questo saggio si scopre che la prima repressione avvenne con l´arresto
di cinque italiani nel 1919. E il rosario continua fino alla seconda
guerra mondiale. E´ come entrare negli archivi della Santa Inquisizione
senza però neanche il barlume di una difesa della purezza della fede
cattolica dagli eretici come era nelle intenzioni degli Inquisitori. Nella
burocratica repressione staliniana l´eresia trockista appare invece più
che altro un espediente per sospettare di tutti e di tutto.
Le vittime italiane del Terrore di Stato comprendevano, secondo le
autrici, sia gli immigrati in Russia tra la fine del
'
700 e i
primi dell´800, sia gli immigrati «politici» degli anni Venti del
Novecento, sia quelli immigrati alla spicciolata tra Ottocento e
Novecento, disseminati in varie città russe e dediti esclusivamente a
commerci e all´esercizio di varie professioni (musicisti, artisti di
circo, tecnici, artigiani, lavoratori specializzati).
La conclusione amara del saggio è che il dramma di questi italiani si è
poi perso tra le pieghe della guerra fredda e nel colpevole silenzio dei
dirigenti del partito comunista italiano: da Togliatti in giù.
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