torna a: La memoria lunga
3 febbraio 1998
Zevi:
Salve, mi chiamo Tullia Zevi, di professione giornalista. Sono nata a
Milano. Nel 1939, con l'applicazione delle leggi razziali fasciste, mio
padre, provvido, intuì i segnali di pericolo gravissimo che correva la
minoranza ebraica in Italia e portò noi, i suoi quattro figli, in salvo
in America, dove svolsi una parte dei miei studi. Però, nel 1946, dopo
che erano cominciate a filtrare le notizie atroci di quello che era
successo in Europa, durante la guerra, tutti gli orrori della guerra, sei
milioni di ebrei, sterminati perché erano nati ebrei, allora è scattata
una molla: ho deciso di tornare in Italia, perché sapevo che la piccola
comunità da cui provenivo era stata praticamente annientata, distrutta,
dissolta nelle sue strutture. E ho pensato che fosse quasi mio dovere, io
sopravvissuta, tornare e dare una mano. Allora sono tornata, ho continuato
la mia professione di giornalista, in quanto tale, ho seguito i processi
di Norimberga nel mio primo impegno professionale in Europa, il processo a
Eichmann, il processo a Priebke. Di queste cose io vorrei parlare con voi
di ciò a cui ho dedicato la mia vita; sono poi entrata nel Consiglio
delle Comunità Ebraiche, di cui sono la Presidente da sedici anni. Io di
queste cose vorrei parlare con voi. Ma, per introdurre i temi di cui
parleremo insieme, vediamo una scheda. LEVI: Si è detto che Hitler
riversava sugli ebrei il suo odio contro l'intero genere umano, che
riconosceva negli ebrei alcuni suoi stessi difetti, e che, odiando gli
ebrei, odiava se stesso, che la violenza della sua avversione proveniva
dal timore di poter avere sangue ebreo nelle vene. Non mi sembra una
spiegazione adeguata. Non mi sembra lecito spiegare un fenomeno storico,
riversandone tutta la colpa su un individuo. Gli esecutori di ordini
orrendi non sono innocenti. E inoltre è sempre arduo interpretare le
motivazioni profonde di un individuo. Devo ammettere che preferisco
l'umiltà con cui alcuni storici, fra i più seri, confessano di non
comprendere l'antisemitismo furibondo di Hitler e della Germania dietro di
lui. Forse quanto avvenuto non si può comprendere, anzi non si deve
comprendere, perché comprendere è quasi giustificare. Mi spiego:
comprendere un proponimento o un comportamento umano, significa, anche
etimologicamente, contenerlo, contenerne l'autore, mettersi al suo posto,
identificarsi con lui. Ora, nessun uomo normale potrà mai identificarsi
con Hitler, Himmler, Goebbels, Eichmann, infiniti altri, questo ci
sgomenta e, insieme, ci porta sollievo, perché forse è desiderabile che
le loro parole ed anche, purtroppo, le loro opere, non ci riescano più
comprensibili. Sono parole ed opere non umane, anzi contro umane, senza
precedenti storici, a stento paragonabili alle vicende più crudeli della
lotta biologica per l'esistenza. A questa lotta può essere ricondotta la
guerra. Ma Auschwitz non ha nulla a che vedere con la guerra, non ne è un
episodio, non ne è una forma estrema. La guerra è un terribile fatto di
sempre. E' deprecabile, ma è in noi, ha una sua razionalità, la
comprendiamo. Ma nell'odio razzista non c'è razionalità, è un odio che
non è in noi, è fuori dell'uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco
funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non
possiamo capirlo, ma possiamo e dobbiamo capire da dove nasce e stare in
guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché
ciò che è accaduto può ritornare. Le coscienze possono nuovamente
essere sedotte ed oscurate, anche le nostre. STUDENTE: Quale crede che
siano le radici più profonde della discriminazione degli ebrei
nell'Europa cristiana e inoltre, in tale discriminazione, quale ruolo
giocano il razzismo culturale e il razzismo biologico. E' una storia di venti secoli: il
problema della nascita del Cristianesimo. STUDENTE: Secondo Lei, c'è
stata da parte della Comunità ebraica tedesca una incapacità di valutare
il pericolo antisemita che esisteva già in Germania all'inizio
degli anni Venti? Gli ebrei tedeschi erano molto
assimilati nella cultura tedesca, quindi alcuni non si sono resi conto del
pericolo incombente. Chi ha potuto si è messo in salvo, ma quando
il fascismo e il nazismo è dilagato in Europa, ad un certo punto era
troppo tardi per accorgersene. Quindi ci sono stati dei segni, sono stati
captati dei segnali di pericolo, sono stati anche denunciati. Ma la
tragedia della guerra e la Shoah hanno travolto la minoranza
ebraica. A un certo punto era impossibile mettersi in salvo. STUDENTE: Vorrei sapere come
la comunità ebraica si pone di fronte alle correnti neo naziste degli
ultimi anni. Il pericolo, secondo le comunità
ebraiche, ma non solo secondo le comunità ebraiche, è la perdita di
memoria. La nostra amica è la storia, la storia però raccontata come
deve essere raccontata. Il problema è della memoria, trasmettere la
memoria. Perché è vero che l'olocausto, o come noi diciamo la Shoah
che è una parola ebraica che significa distruzione totale, è vero
che la Shoah nelle sue dimensioni ha un'unicità atroce, perché
insomma è come se fossero stati sterminati venti milioni di italiani. Sei
milioni di ebrei nell'Europa del periodo degli anni Quaranta è come dire
venti milioni di Italiani. Quindi datevi un'idea delle proporzioni.
Bisogna opporsi alla negazione di questi eventi, perché in queste
proporzioni io spero e penso che non si possa più ripetere. Però il
meccanismo della distruzione di una minoranza da parte di una maggioranza
è ancora possibile. Se noi analizziamo la pulizia etnica della vicina
Iugoslavia e la soluzione finale del problema ebraico, c'è un'atroce
analogia. Il ventre che ha partorito la Shoah è ancora
fecondo. Questa volontà di rafforzare un'identità nazionale,
distruggendo le minoranze, è ancora possibile. Quindi, secondo me, è
soprattutto verso i giovani, verso le nuove generazioni che noi abbiamo la
responsabilità di trasmettere la memoria di queste cose. Queste immagini
atroci che voi avete visto vanno ricordate. Non è per masochismo, non è
per vivere con la testa voltata indietro. E' che noi sentiamo il dovere di
trasmettere la memoria, perché ai nostri figli, ai nostri nipoti possa
forse essere risparmiata la tragedia che la mia generazione ha conosciuto. STUDENTE: Si parla di
revisionismo storico. Quali pensa possano essere le cause profonde di
questo interesse? Ci possono essere sostanzialmente due
motivi. Uno, diciamo perverso , è quello di dire: "Eliminiamo il
ricordo di queste cose, in modo che possa ancora essere possibile la
ricerca di soluzioni autoritarie, per esempio. Si esagera, i campi erano,
le camere a gas servivano per spidocchiare, non esageriamo, queste cose
non sono mai successe, l'identità nazionale va difesa, al di sopra delle
differenze che sono necessarie in una struttura democratica". Quindi questo può essere il
motivo perverso e, diciamo, anche eversivo, della cancellazione della
memoria. E poi c'è un meccanismo, più semplice e più diffuso, che è
dire: "Le cose che sono troppo difficili da sostenere, che sono
troppo terribili da ricordare, cerchiamo di attenuarle". Io penso che
noi dobbiamo difenderci da tutte e due queste cose, sia dall'oblio.
Terza colpa che non bisogna commettere è l'indifferenza, perché se il
nazismo ha potuto prendere il potere, è stato a causa dell'indifferenza.
Certo c'era una minoranza che voleva un sistema come il nazismo - la
frustrazione di Versailles, le spaventose difficoltà economiche,
l'inflazione che distruggeva la ricchezza del paese; la nascita del
nazismo ha tante radici -, ma uno degli elementi che ha permesso l'avvento
del nazismo, è stata l'indifferenza. Una vasta parte della popolazione è
stata indifferente, ha guardato dall'altra parte, quando succedevano delle
cose, anche se le trovava moralmente discutibili. E questo è, se posso
dare, diciamo, un messaggio, con i miei capelli bianchi, è: non
dimenticare, ma anche, non essere indifferente, avere il coraggio di
reagire, di pensare, di rifiutare. STUDENTE: Mi scusi, secondo
Lei, questo senso di colpa sentito dagli ebrei ha all'origine una colpa
individuale oppure una colpa che è originale, diciamo, di tutta la
collettività ebraica? Scusa, senso di colpa per che cosa? STUDENTE: Di questo senso che
provano gli ebrei, come estraniati dal mondo, Ma questo lo dici tu. Noi non ci
sentiamo estraniati dal mondo. Se esaminare se stessi, porsi delle
domande, tu lo chiami senso di colpa, allora sì, ci chiamano il popolo
del libro, cioè abbiamo questo bisogno incessante di interrogarci, di
indagarci, ma questa è la condizione umana. Mi ricordo Arthur Koestler,
lo scrittore ungherese, che ha scritto Buio a mezzogiorno, un
autore, vissuto in Inghilterra. Diceva che l'ebreo è come una versione
condensata dell'umanità. Siccome abbiamo una storia di minoranza, le
minoranze hanno una naturale insicurezza, come è proprio del la loro
condizione, che li porta a interrogare e a interrogarsi. Se tu
intendi per senso di colpa questo. Altri devono sentire questo senso di
colpa, ma non noi. Noi abbiamo il dovere della memoria e della
testimonianza, proprio perché la colpa non è stata nostra. Non esiste un
senso di colpa collettiva. Vedi, questa è una domanda che potrebbe
trovare le sue radici proprio in quello che dicevamo prima nella
predicazione cristiana, del popolo deicida. Cioè è una colpevolezza
indotta, non è la nostra. Noi non abbiamo ammazzato Dio. Quindi se tu mi
parli di questo senso di colpa è una cosa che viene vista dagli altri.
Noi non abbiamo un senso di colpa collettivo, perché non sappiamo per che
cosa dovremmo averlo. Non so se ho risposto alla domanda. STUDENTE: Il ricordo voluto
di certi episodi non comporta un sentimento di vendetta e non si rischia,
un domani, di invertire le parti che si sono stabilite cinquant'anni fa? Il ricordo non è voluto, è
necessario e inevitabile, secondo me. Quello che cercavo di dire prima:
bisogna ricordare. Quelle fotografie che avete visto sono vere. E non sono
finiti solo gli ebrei così, sei milioni di ebrei, ma ricordiamoci le
centinaia di migliaia di zingari, e ricordiamoci anche le centinaia di
migliaia di oppositori politici e religiosi del nazismo. Quindi è una
tragedia collettiva. Noi abbiamo una certa unicità nelle dimensioni di
questa cosa nella mancanza di una reale motivazione. STUDENTE: Il concetto di
colpa, legato a quello di vergogna, è rimasto non solo negli oppressori,
ma anche negli oppressi. Cosa ne pensa? Io non provo nessuna vergogna. Questo
è un concetto che vedo che continua a tornare, di questo senso di colpa
degli ebrei. E' un cosa che io voglio cercare di capire. Ma perché
dobbiamo sentirci colpevoli per essere stati massacrati, per un tentativo
di distruzione nei nostri confronti? Non esiste questo, non esiste. Noi
abbiamo subito una cosa atroce, che deve servire come testimonianza e
come, come ricordo, proprio per cercare di rompere questa ... E' che
purtroppo questa catena di violenza da parte di una maggioranza verso le
minoranze continua. E bisogna essere sull'avviso. E' successo e può
ancora succedere. Io non mi stanco di ripetere queste cose, proprio perché
vedo che è necessario. Queste continue domande, la maggioranza di queste
domande, oggi, è sul nostro senso di colpa. Ma vogliamo scherzare? Non è,
non esiste questo senso di colpa per quello che abbiamo subito. E' come se
noi riconoscessimo la legittimità di quello che ci è stato inferto. Non
è vero. STUDENTE: Io facevo
riferimento ad alcuni ebrei suicidi per il senso di colpa di essere
sopravvissuti, per non essere riusciti ad aiutare chi è morto. Non parlerei di senso di colpa quanto
di senso del dovere. Dicevo prima nell'introduzione, io ho sentito
questo impulso. Potevo vivere in America, continuare a vivere in America,
ho studiato lì insomma, sono arrivata giovanissima in America. Ho sentito
come se io sono sopravvissuta, passando attraverso la tragedia dei campi.
Sono sopravvissuta. Mi sono ritrovata ebrea viva nell'Europa del
dopoguerra. Gli ebrei in Italia vivevano da duemila anni. Da un giorno
all'altro ci è stato detto: non siete nessuno, non siete più nessuno,
voi non avete più diritto. STUDENTE: Noi abbiamo
condotto un ricerca attraverso Internet sull'argomento e abbiamo trovato
alcuni siti abbastanza interessanti, come, ad esempio, questo qui che
documenta con alcune immagini i campi di concentramento di Auschwitz e
Birkenau; adesso però, nel '79, dopo l'olocausto, e riguardo questo sito
abbiamo trovato alcune immagini, che riguardano alcuni fatti abbastanza
interessanti, come ad esempio l'uso delle scarpe di legno all'interno dei
campi che provocavano delle infezioni che molte volte potevano portare
addirittura alla morte. http://remember.org/camps/ Abbiamo visto una fotografia
presa da un bunker, nel campo di Auschwitz, per il quale il fotografo che
l'ha fatta che è Alan Jacobs, riporta una frase molto importante di un
sopravvissuto, che disse: " Lì fuori una volta non c'era l'erba, se
ci fosse stata ce la saremmo mangiata". http://remember.org/jacobs/index.html. Oltre a questi siti abbiamo
trovato un sito molto importante che è una Banca Dati, riguarda
l'olocausto. E di questa Banca Dati abbiamo fatto una cernita di alcuni
dei siti più importanti a cui era collegata, come ad esempio, il sito di
Simon Wiesenthal, uno dei pochi ebrei che riuscirono ad uscire vivi dai
campi di concentramento, che, invece di tornare alla professione di
architetto, divenne, qui lo chiama così, il più famoso cacciatore di
nazisti del mondo.
Inoltre
abbiamo trovato un sito sulla casa di Anna Frank, che è stata aperta alla
visita, e nella quale è ospitato un piccolo museo sulla ragazza che ha
scritto praticamente il Diario più famoso di tutti i tempi sulla
tragedia dello sterminio suo e della sua famiglia.
Poi
abbiamo un sito sul Museo degli Stati Uniti, sull'olocausto e penultimo un
sito, creato da Spielberg, dopo avere registrato Shindler's List,
che praticamente è una Banca Dati non profit, che raccoglie tutta la
documentazione visuale sull'olocausto. Per ultimo abbiamo scelto un
argomento, che a Lei è molto caro, che è quello della memoria storica,
cioè Per non dimenticare. E' un sito che fa parte di Golem e
praticamente questo sito contiene una lettera molto importante di un
utente di Internet, che, navigando, si è trovato davanti a un sito, in
cui veniva negata la possibilità che concretamente si fosse potuto
attuare uno sterminio di proporzioni talmente grandi, dato che in quegli
anni era assolutamente inadeguata la tecnica e la struttura. Giustamente
lui è molto turbato, anche perché, a sostegno di quella tesi veniva
riportata una grande documentazione, ed anche perché quella tesi partiva
da persone di sinistra. Che cosa possiamo dire a questo utente? In generale vorrei dire, dopo aver
visto questo montaggio molto interessante, che ci parla dei tempi di
allora e del dopo non ci sono più scuse per non sapere, non ci sono più
scuse, perché con Internet veramente se uno vuole sa e ricorda. Secondo
me è talmente documentata l'esistenza dei campi con queste cifre, che io
penso che i revisionisti di questo tipo si trovino in difficoltà. Quindi
una volta stabilito il principio che oggi non si può non sapere, si deve
sapere, quindi che la responsabilità di chi pone dei siti è quella di
cercare di documentare al meglio, perché certamente ci saranno le
controversie in Internet, tutto ci sarà, quindi si deve stimolare il
proprio spirito di giudizio, il proprio senso della coscienza storica.
Comunque questo è un fatto importantissimo, che io invidio molto.
Ecco di poter oggi studiare, vedere il mondo attraverso Internet richiederà
delle capacità selettive molto raffinate, però ci arriverete e beati
voi, ecco. Io vorrei però tornare al discorso
di prima. Si è parlato molto di colpa, sia senso di colpa dei
sopravvissuti ebrei sia della colpa dei nazisti. Io vorrei, se permettete,
spostare un po' il discorso. E allora questa volta la domanda la vorrei
fare io a voi: è giusto ubbidire? Fino a che punto, se esistono degli
ordini che ripugnano alla propria coscienza morale, è lecito ubbidire ed
è lecito disubbidire? Insomma io vorrei chiedervi il vostro giudizio
sull'ubbidienza e sulla disubbidienza, sull'ubbidienza collettiva e colpa
collettiva e il diritto alla disubbidienza individuale. Se voi foste
stati... Ecco, vediamo, c'è una cosa da vedere sul processo Priebke.
Questa è una cosa che si è svolta in Italia. Ora vediamo questo breve
filmato. Poi parliamo del problema della colpa, della responsabilità e
dell'ubbidienza. -Si visiona un'ulteriore scheda: PRESENTATORE: Lei Priebke, che si
presenta sorpreso in aula e prende la parola. La versione di sempre: ha
solo obbedito agli ordini, che gli venivano dati da Kappler, e conferma:
ho ucciso due volte. PRIEBKE: Ho dovuto sparare la
prima volta, all'inizio, e la seconda volta quando Kappler è entrato con
il capitano nella cava. PRESENTATORE: Parla per tre quarti
d'ora. Dice di avere vissuto tranquillamente in Argentina. Tutti sapevano
chi era. Non si era mai nascosto. Si presentava con il suo nome. E' venuto
due volte in Italia con regolare passaporto. Nega di essere stato un
torturatore, un assassino. Lo smentiscono documenti conservati negli
archivi americani, lo smentiscono molte testimonianze.
-Fine della scheda, ricomincia la
discussione. Zevi:
Ecco, con Priebke, giochiamo in casa. Il processo - io ero lì, perché
una delle comunità si è costituita parte civile -, il processo si è
svolto a Roma. Dunque lui dice: "Io ubbidivo agli ordini. Quindi sono
innocente. Io ho ammazzato, proprio perché m'hanno detto che dovevo
ammazzare". Siete d'accordo con questa risposta voi? Questa è una
domanda che per me è molto importante. Chi mi risponde? Una ragazza.
Hanno parlato solo gli uomini fino ad ora. Coraggio! No, allora passiamo
agli uomini. STUDENTE: Obiettivamente
penso di sì, perché se Priebke non avesse compiuto, diciamo, questo
omicidio, quest'ordine, se non l'avesse portato a termine, l'avrebbe
dovuto portare a termine qualcun'altro e lui sarebbe stato ucciso. Sotto
l'esempio della sua, mettiamo fucilazione, qualcun altro avrebbe avuto
paura, avrebbe commesso lo stesso... E allora avrebbero avuto dei
problemi. l'esercito tedesco avrebbe avuto dei problemi, sì. Le SS
avrebbero detto: "Qui c'è gente che non vuole ammazzare. Oh!".
Dico questo: viva questi problemi. STUDENTE: Avrebbero ucciso
Priebke, però dopo la paura, avrebbe... Un momento, questo fatto anche
dell'ubbidienza, assoluta e necessaria, è opinabile. Esiste un Codice
Militare Tedesco, che era in vigore durante la guerra, in piena guerra
nazista. Un articolo di questo Codice dice che il soldato ha non solo il
diritto, ma anche il dovere di disubbidire a uno degli ordini che sono
giudicati iniqui dalla sua coscienza. Esiste questo articolo del Codice
Militare vigente tedesco. Naturalmente gli ufficiali avevano ordine di
obliterare questa cosa. Gli ufficiali dicevano ai soldati, dicevano alle
SS, agli esecutori diciamo: "Sì, guarda che se tu non lo fai ti
ammazzo", ma non era vero. A un certo punto, è meglio ammazzare o
rifiutarsi di ammazzare? Oh, queste son domande gravi che ognuno di noi si
deve porre! Cosa avresti fatto tu, nei panni di..., avresti ubbidito di
sicuro? STUDENTE: Se non avessi
ubbidito io, l'avrebbe fatto qualcun altro dopo, dopo la mia morte. Beh, ma pensa alla tua coscienza. Non
ti preoccupare della coscienza degli altri. E' a quella lì che
dobbiamo rispondere, noi. STUDENTE: La guerra è tale
perché è selvaggia, perché non ci sono regole. Sì, ma qualcuno deve dire di no,
qualcuno deve avere il coraggio di dire di "no" e di non essere
indifferente. STUDENTESSA: Io volevo
contraddire il mio compagno perché naturalmente non sono d'accordo. Penso
che ognuno abbia una responsabilità individuale. Non posso obbedire a
qualcosa che per me non è giusto. Ma certo, certo. STUDENTESSA: Non è detto che
il tuo pensiero poi non continui a andare avanti. Così allora ci
chiudiamo in degli stereotipi o comunque in dei pensieri belli e formati.
Diciamo: "Tanto se non lo facevo io l'avrebbe fatto qualcun
altro". Comunque sarebbe dovuta morire quella persona, no? Così è
volersi adagiare su un pensiero già formato. Anche tutto il discorso
dell'antifascismo: "C'è il fascismo, governa, ha la maggioranza, è
il padrone!". Allora io non divento antifascista? A me questo
regime non mi piace, divento antifascista. Dico: la gente che è morta, i
partigiani, che cosa hanno fatto, hanno disubbidito? Evviva la
disubbidienza.Io saluto la disubbidienza in certe situazioni, la
disubbidienza morale, non che viene dalla pigrizia mentale, ma che viene
dalla protesta morale, questa ci vuole. Noi dobbiamo avere il coraggio di
dire di "no" alle cose inique, se no le cose inique ci
travolgono. Questo secondo me è il messaggio che deve venire dalla
memoria. Noi dobbiamo ricordare per avere la forza di dire di
"no", quando identifichiamo oggi i segnali di pericolo. Ecco,
questo è un messaggio che io non mi stanco di trasmettere, perché mi
pare di avere ragione insomma e sento il dovere di dirle queste cose. Sono
molto contenta della tua dichiarazione, perché dimostra che c'è un
ragionamento che ti porta a una conclusione, perché dare una risposta
come la tua, su cui varrebbe la pena elaborare ancora, ma la televisione
ha i suoi tempi, ecco proprio il ragionamento è questo: non ci si possono
scrollare le spalle e dire: "Tanto se non lo faccio io, lo fa un
altro!". Eh, no! Io non lo voglio fare. A me non va bene fare questa
cosa. La rappresaglia è una cosa infame e in più ne hanno ammazzati pure
cinque in più, gratuitamente. Poi, comunque, la rappresaglia è una cosa
infame. Ammazzare degli innocenti perché è stato commesso un atto di
guerra dei partigiani. Se non fossero successe queste cose, forse ci
saremmo tenuti il nazismo sul collo per quanti altri anni, se non
fossero intervenuti gli Alleati a distruggere questo sistema, dove saremmo
noi? Cosa sarebbe l'Europa oggi, dominata dal nazismo? Noi saremmo
schiavi, non solo gli ebrei, gli italiani. Eravamo destinati ad essere la
zona di vacanze dei nazisti. L'Italia quello doveva essere. E allora
vogliamo dire di "no" e cercare di avere il mondo che vogliamo
avere? STUDENTESSA: Se esiste un
collegamento tra responsabilità, individuali e responsabilità
collettive, qual'è il confine tra di esse? La tua coscienza. STUDENTE: Inoltre io volevo
accusare Priebke, anche perché, in generale, lui faceva parte delle SS
per sua scelta. L'esercito sa di combattere contro un altro esercito
armato. La Gestapo e le SS combattevano contro delle persone senza armi,
quindi vi era una scelta a priori, non fu una scelta eccessiva
di uccidere alle Fosse Ardeatine duecento o trecento persone, era
nell'impostazione di questi gruppi. Giusto. Io sono d'accordo perché le
SS, appunto, in questo c'è un equivoco spesso. Le SS non erano l'esercito
in quanto tale, non erano soldati. Per quanto appunto anche dei soldati si
sono resi colpevoli di crimini. Comunque le SS erano un corpo scelto per
uccidere, erano un corpo di massacratori che sapevano quello a cui
andavano incontro accettando di fare parte delle SS. Questo vale anche per
il signor Priebke. STUDENTESSA: Sergio Romano
sostiene che la politica israeliana abbia in un certo senso un rapporto
con le tragedie che l'antisemitismo ha provocato e inoltre scrive che
"il genocidio non è più un episodio storico da studiare nelle
particolari vicende in cui ebbe luogo. E' diventato il peccato del mondo
contro gli ebrei, una colpa incancellabile di cui ogni cristiano deve
chiedere perdono, il nucleo centrale della storia del XX secolo". Che
cosa ne pensa al riguardo? Dunque io non sono d'accordo con
questa definizione della Shoah che dà Sergio Romano. Mi sembra,
un'analisi abbastanza superficiale, ma che... Ti dispiace rileggerla un
attimo, la seconda parte della frase? STUDENTESSA: Certo. "Il
genocidio non è più un episodio storico da studiare nelle particolari
vicende in cui ebbe luogo. E' diventato il peccato del mondo contro gli
ebrei". Questa è una sua valutazione. Io non
penso che sia stata una cosa ingigantita. E' un grosso fatto, gravissimo,
che è avvenuto nel cuore dell'Europa, che ha travolto l'Europa.
Come dicevo prima, gli ebrei non sono state le uniche vittime. E' stato
terribile il sistema che ha reso possibile, che ha provocato questa cosa.
Ma di questo bisogna rendere testimonianza, bisogna ricordare. Io non sono
d'accordo con questa generalizzazione che fa Romano, con questa
conclusione, perché la trovo una conclusione molto superficiale. Del
resto basta leggere la bibliografia, che ha portato Romano a scrivere
questo libro, e si vede che è sotto il segno della fretta e della
superficialità . "Jumping conclusions" come dicono gli
inglesi, cioè "Salta delle conclusioni" che storicamente sono
difficilmente documentabili. Comunque io penso chel'analisi di quello che
è successo, in un contesto generale vada fatta e che lo Stato d'Israele -
la nascita dello Stato d'Israele - sia frutto di un rimorso collettivo per
quello che è potuto succedere. Io non so se non ci fosse stata la Shoah
se le Nazioni Unite avrebbero approvato la creazione dello Stato di
Israele con tanta prontezza. Penso che si siano liberati. In un certo
senso abbiano cercato, - l'Europa, le Nazioni Unite -, abbiano cercato di
liberarsi di un senso di colpa costituendo lo Stato di Israele. STUDENTE: Per ritornare
al caso Priebke e al rapporto tra giustizia e perdono, in alcuni casi si
nota che c'è una certa confusione tra il concetto di perdono e quello di
giustizia. Non crede invece che investano due sfere nettamente distinte? Il problema della giustizia è il
problema delle regole che gli uomini si danno per dare un ordine alla
società. La necessità di fare giustizia, di fare chiarezza e giustizia,
è una necessità, perché possa esistere una società, una società
civile. Il problema del perdono è una questione più individuale. Io sono
del parere di non avere il diritto - si parla molto di perdono di questi
tempi -, che non si abbia il diritto di chiedere perdono per conto terzi.
Per esempio, non so, siete implacabili perché non perdonate questo povero
vecchio. Io non posso perdonare Priebke per quello che lui ha fatto. Gli
unici che possono perdonare Priebke sono le vittime delle Fosse Ardeatine,
ma non lo possono fare, perché hanno la bocca piena di terra, perché
sono lì, ammazzati come cani. Quindi quello che io posso fare è onorare
le vittime. Toràh:
detto anche Pentateuco, i primi 5 libri della bibbia : Genesi,
Esodo, Levitico, Numeri e Deteuronomio (back)
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