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Lega,
l’assalto a «Roma ladrona» blocca la Camera
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dal Corriere - 1 aprile 2004 | |
«UNA
SCENA» - «È tutta una messa in scena per non votare un provvedimento a
cui erano contrari», dice Luciano Violante (Ds), per il capogruppo della
Margherita Pierluigi Castagnetti è stato un atto di «squadrismo». Il
leader dell’Udc Marco Follini parla di «spettacolo indegno»,
Gianfranco Fini esprime la solidarietà del partito a Fiori. Ferdinando
Adornato (FI) usa una metafora calcistica: «C’è stato un errore
arbitrale, il comportamento di Cè non meritava addirittura
un’espulsione».
«Senza
Bossi qualche difficoltà in più» ROMA - Lo
dice anche Silvio Berlusconi dopo aver parlato con Roberto Maroni e
Roberto Castelli, a fine giornata: «La Lega? E’ abbastanza chiaro che
in assenza del leader carismatico ci possono essere delle situazioni che
creano qualche difficoltà in più». Gli è toccato persino andare in
casa del Carroccio, al gruppo parlamentare, a dare la sua «solidarietà»
politica all’alleato dopo una giornata convulsa come poche altre nella
legislatura. Aveva telefonato per cercare Cè o Maroni, ma nessuno aveva
risposto. E così da Palazzo Chigi, il premier, temendo anche per il voto
di fiducia, sale di persona al primo piano di Montecitorio: soltanto
Stefano Stefani lo abbraccia, gli altri lo accolgono con la solita
freddezza. Ma nonostante i sospetti del gruppo dirigente leghista,
particolarmente sensibile in questo periodo in cui come ha sintetizzato il
leader socialista Enrico Boselli sembra «una ciurma senza capitano in
grado anche di far affondare la nave», Berlusconi ha ottenuto qualche
risultato. Oggi i leghisti per solidarietà con il capogruppo Alessandro Cè
e con Dario Galli, sospesi dai lavori della Camera, non saranno in Aula e
dunque non parteciperanno al voto sulle cartolarizzazioni degli immobili.
Una scelta che, rispetto all’annunciato voto contrario del Carroccio,
avvantaggia comunque la maggioranza. Maroni e Castelli hanno anche
rassicurato Berlusconi che fino alle Europee non c’è aria di crisi: si
seguirà la linea impostata da Bossi nei mesi scorsi. Certo oggi la
Padania titolerà «Prove di fascismo», trasformando l’episodio di ieri
in una prova di Aventino leghista. In realtà è stata una piccola
secessione in Aula: tutti a far quadrato intorno ai loro due colleghi «offesi»,
una piccola fortezza di uomini. Un gruppo apparentemente compatto, nel
difendere le battaglie padane e antiromane. «Se ci fosse stato Bossi
sarebbe stato lo stesso», si affretta a giustificarsi Roberto Calderoli,
vicepresidente leghista del Senato. Ma le difficoltà (sono passate
quattro ore) per convincere Cè e compagni a sgombrare l’Aula,
dimostrano anche l’impotenza dei capi. Per primo ci ha provato lo stesso
Calderoli: aveva stabilito con Casini che i due colleghi avrebbero potuto
partecipare al voto di fiducia, e sarebbero stati puniti subito dopo. Ma Cè
e Galli dicono no. Ci tenta Ignazio La Russa, il più filoleghista dei
deputati di An: niente. Si mettono all’opera anche Giulio Tremonti e
Aldo Brancher, compagni delle cene del lunedì ad Arcore. Ancora niente.
Arrivano Castelli e Maroni: qualcosa si muove. Poi arriva la telefonata
del premier a Cé. |
Scontro
nella maggioranza sulla vendita degli immobili, poi passa la fiducia. Cè,
espulso, si rifiuta per 4 ore di uscire |
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da Repubblica - 1 aprile 2004 | |
Rivolta
Lega, Camera occupata ROMA - «Roma
ladrona», e occupano la Camera. Per quattro ore una trentina di leghisti
tiene in scacco Montecitorio, nel bel mezzo del voto di fiducia sulla
vendita degli immobili: si sono trasformati in "scudi umani" per
proteggere il capogruppo Cè e il deputato Galli. I due, espulsi prima dal
vicepresidente di turno Fiori e poi dallo stesso presidente Casini - e che
si beccheranno cinque giorni di sospensione - se ne restano asserragliati
in aula, protetti fisicamente dal resto del gruppo. I commessi, di fronte
al muro leghista, non ce la fanno a raggiungerli e cacciarli. Clima
surreale. Spuntano persino i panini per rifocillare i rivoltosi. Padania
sventolata in aula, «Mai molè, tegn dur». Solo alle sei del pomeriggio,
dopo una delle più lunghe e nervose giornate del Parlamento, e una
convulsa trattativa fra Casini, Berlusconi (che si precipita a
Montecitorio), Maroni e Castelli, l´occupazione finisce. I leghisti
lasciano l´aula, precipitandosi in sala stampa per lanciare una valanga
di accuse contro «il fascista Fiori», Casini che «non rispetta il
nostro diritto di parola» e sparando a zero contro il «partito
trasversale degli affari» che starebbe dietro la vendita delle case a
Roma: «Dentro c´è An, l´Udc, Margherita e Ds». E Forza Italia? «Un
pochino». Voterete la fiducia al decreto? «Forse sì, forse no, ci
dobbiamo pensare...». Cè e gli altri si imbavagliano con i fazzoletti
verdi. Qualche minuto dopo però accorrono in aula quando scatta la conta
per la fiducia al governo sulla cartolarizzazione: alla fine la votano
anche loro (308 sì, 210 no), Berlusconi può tirare un sospiro di
sollievo, «è come un temporale estivo» dichiara. «Sono fibrillazioni
elettorali dovute alla proporzionale - aggiunge - anche nel Triciclo si
dibattono per il portavoce». Ma poi ammette: «per quanto riguarda la
Lega è chiaro che in assenza del leader carismatico ci possono essere
delle situazioni che creano qualche difficoltà». L´AULA ROMA -
Quasi quattro ore senza bussola, guidati solo dalla rabbia e dalla voglia
di rompere il gioco, totalmente impermeabili ai richiami, alle espulsioni,
alle regole, asserragliati come tupamaros nell´aula di Montecitorio, con
i colleghi a tentare di mediare: «Dai, smettetela, basta, datevi una
calmata». Storia di un partito, la Lega, privato giocoforza del suo lìder
maximo, un partito di governo che, in un giorno piovoso di marzo, invece
di votare la fiducia, tiene in sospeso i suoi alleati, fa accorrere con le
auto blu ministri, e persino il premier, tutti nel ruolo di improvvisati
mediatori. Chiusi dentro, abbarbicati agli scranni della Camera, e gli
altri a cercare la trattativa. Un po´ come quando la polizia intrattiene
i disperati: venite giù dal cornicione, non vi succederà niente... |
IL
COMIZIO A MONTECITORIO |
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da Repubblica - 1 aprile 2004 | |
Il comizio a Montecitorio Materia del
contendere? La vendita di edifici pubblici o cartolarizzazione come la
chiamano che fa parte dell´assalto allo Stato e ai suoi beni perseguito
con metodo e tenacia dall´attuale governo. Dicono bene i leghisti quando
definiscono questo un provvedimento pessimo, ma fanno della demagogia
nordista quando ne parlano come di «un regalo a Roma ladrona e sprecona,
un regalo alle lobby romane». |
Il
Carroccio furioso rompe gli argini. Torna la voglie di opposizione? |
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da l'Unità - 1 aprile 2004 | |
In tutto questo, naturalmente, l’assenza di Bossi conta, ma fino a un certo punto. Ieri pomeriggio ha funzionato molto bene il gioco delle parti tra i moderati (Maroni e Castelli) e la base leghista (i deputati di base). Quando Casini, in aula, ha dichiarato la sua solidarietà a Fiori, la base leghista ha iniziato a rumoreggiare contro Maroni. Gridavano (testualmente): “Col cazzo che gli votiamo la fiducia! È una vergogna! se la scordino la fiducia...”. Maroni, che era presente - e che aveva appena dichiarato che la Lega avrebbe votato la fiducia - ha fatto finta di niente e si è appartato col suo cellulare. Mentre i deputati di base decidevano di riunirsi al gruppo. Con chi parlava Maroni? Chissà, forse con Berlusconi. Che infatti poi si è precipitato al gruppo della Lega a calmare le acque, a pagare dazio, e a portare a casa il voto di fiducia. E ha dichiarato: “Sì, l’assenza di Bossi qualche problema lo crea”. Quale problema? Uno solo: finora il patto Lega-Berlusconi è passato per il rapporto particolare e personale tra i due. Con Bossi fuorigioco questo rapporto salta. Maroni e Castelli non hanno l’autorità di Bossi per decidere le mosse a prescindere dai pareri, dagli umori, dai maldipancia della base e dei deputati di base. Questo, in una situazione di fibrillazione e in una lunga marcia di ritorno all’opposizione, può essere un problema: può far saltare gli schemi, i tempi, le mosse previste. Un
vero premier lascerebbe Il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non conta più nulla per la sua
maggioranza. Sorride inutilmente, scambia battute, e i suoi o lo negano o
fanno finta che non abbia parlato. Non vanno neanche alle riunioni del
governo se non ne hanno voglia. E se ne hanno voglia si ribellano e si
barricano in Parlamento. In una normale democrazia, un normale presidente
del Consiglio ne prende atto, sale immediatamente al Quirinale e presenta
le dimissioni al capo dello Stato. Nella democrazia anomala, sgangherata e
a rischio di Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio fa finta di
niente e la sommossa dei leghisti nell’aula della Camera, con il
sequestro di fatto di un ramo del Parlamento, diventa meno grave
dell’interruzione dell’incontro Lazio-Roma. Con la differenza che
ieri, a Montecitorio, è stato Casini a ordinare il finale di partita. |
1 Aprile 2004
La Camera occupata
dai leghisti
Il centro-destra in crisi si avvia
alla campagna elettorale...
Violante:
La destra si sgretola
e travolge il Paese
di Ignazio Vacca
Mercoledì 31 marzo l’aula della Camera è stata teatro di un episodio che, se
non fosse umiliante per la democrazia, sarebbe grottesco.
Si votava il decreto sulla cartolarizzazione (la cessione) degli immobili di
Stato (...sempre la finanza creativa di Tremonti), il Governo aveva dovuto porre
la fiducia perché la Lega, nonostante la relazione speciale con Tremonti,
voleva ostacolare il provvedimento sostenendo che fosse un “regalo alle
clientele romane”, ossia che, essendo immobili prevalentemente situati a Roma,
la loro messa sul mercato avrebbe interessato venditori, mediatori e acquirenti
della Capitale.
Nel corso del suo intervento il capogruppo leghista Cè stava spiegando perché
non era d’accordo con il provvedimento, sul quale era stata posta la questione
di fiducia, ripetendo le giaculatorie su “Roma ladrona” eccetera.
Il Presidente d’Aula, il deputato romano di An Publio Fiori, lo interrompeva
censurando quelle espressioni e lo richiamava ripetutamente all’ordine; alle
proteste del capogruppo leghista, lo espellava dall’aula.
Proteste, insulti dai leghisti a Fiori (“fascista”, “deficiente”), tre
deputati della Lega espulsi dall’Aula che si rifiutano di uscire. Seduta
sospesa.
Qui succede che i deputati leghisti non escono dall’Aula e la occupano con
bavagli e cartelli per quattro ore, consumando un’offesa alle istituzioni di
dimensioni inaudite.
Nessuno provvede a sgomberarli perché nel frattempo la diplomazia sotterranea
della Casa delle libertà cerca di rimediare all’incidente e di non
pregiudicare il voto di fiducia.
Finisce con Casini che riprende i lavori censurando i leghisti e comminando
cinque giorni di sospensione dall’Aula per Cè e Galli della lega, i leghisti
che annunciano di autosospendersi tutti, ma poi si incamminano docilmente a
votare la fiducia.
Il decreto passa 308 a 210.
Cosa succede in questa maggioranza che da un lato incassa un voto di fiducia, ma
dall’altra appare ogni giorno più rissosa, divisa, senza bussola?
Succede in realtà che il governo si presenta ad una cruciale tornata elettorale
(le europee e le amministrative di giugno prossimo) con un bilancio deludente.
E’ un’esecutivo che non può scrollarsi di dosso un’immagine di
inaffidabilità e di incompetenza, di divisione e di attaccamento agli interessi
particolari dei suoi maggiorenti.
Di fronte all’aspettativa di una punizione da parte degli elettori, il suo
premier, con l’atteggiamento padronale che lo contraddistingue, non si prepara
a un bagno d’umiltà: correzione di rotta, nuovo programma e nuovo accordo
generale con i suoi alleati. Berlusconi intende invece blindarsi nel suo partito
e con i suoi alleati più fedeli, impostare una campagna elettorale, per
l’ennesima volta, come un’ordalia su sé stesso, convogliare i voti su Forza
Italia e far pagare pegno agli alleati, rimanendo in condizione così, pur
bastonato nelle urne, di continuare a “comandare” la coalizione, ignorando
le richieste degli alleati.
L’effetto di questa impostazione è quello di una coalizione disperata,
ostaggio del suo leader, che vota tutto ma non ha più freni inibitori nel
manifestare, anche nelle forme più distruttive, il malcontento che la pervade.
Non è difficile prevedere che questa situazione può produrre due effetti, o
una precipitazione della crisi politica dopo il voto, oppure una terribile
seconda fase di legislatura, tutta dominata dai fantasmi e dalle esigenze
propagandistiche di Berlusconi, un finale di partita capace di sfibrare in modo
serio le prospettive, già precarie, del nostro paese: della sua economia, del
suo tessuto sociale e istituzionale, della sua posizione internazionale e del
suo ruolo in Europa.
Anche per questo i democratici di sinistra affrontano la scadenza elettorale con
la lista “Uniti nell’Ulivo”, perché non ci si può attardare a fare la
conta tra i partiti del centro-sinistra, ma bisogna sin d’ora dimostrare agli
italiani che siamo pronti a prendere in mano le redini di un paese che la destra
sta logorando. Bisogna offrire ai cittadini una forte, unitaria, rinnovata
alternativa di governo.
Con questo spirito ci apprestiamo alla campagna elettorale e, avendo questo
scenario davanti agli occhi, abbiamo voluto intitolare la manifestazione del
prossimo 6 Aprile, a Roma, con Fassino e D’Alema: “dopo la destra, un futuro
sicuro”.