«NON rispondere a questi coglioni», è il consiglio che il vicepremier
Gianfranco Fini ha dato a microfoni aperti al ministro Tremonti, che s´affannava
a difendere una finanziaria vergognosa. I «coglioni» sarebbero i
deputati dell´opposizione, colpevoli di far il loro mestiere, e in senso
lato la metà degli italiani che li ha votati. È facile immaginare quale
scandalo sarebbe esploso se a pronunciare la pazzesca offesa fosse stato
un vicepremier di centrosinistra nei cinque anni dell´Ulivo o anche un
democristiano o un socialista nei quaranta della Prima Repubblica. Senz´altro
si sarebbe scusato e dimesso, a furor di popolo e di mass media. Come
sarebbe del resto ovvio in qualsiasi democrazia della terra. Fini s´è
scusato poco e male e naturalmente non ha nemmeno pensato a dimettersi. I
tg di regime, in testa il Tg1 dell´ex portaborse di Martelli ora in quota
"azzurra", hanno già minimizzato la "gaffe" e la
vibrata reazione in aula a «qualche brusio».
Politica a colpi d'insulti
I gruppi
parlamentari della maggioranza risolvono la questione con un comunicato
ufficiale che sembra scritto dagli autori del Bagaglino («Ha detto
Panattoni e Fioroni, non... »). Qualche servo cialtrone non mancherà di
fare l´elogio "malandrino" della schiettezza linguistica del
vicepremier, virile prova di un riformismo che dice pane al pane da
opporre all´ipocrita galateo istituzionale. Quasi si trattasse di
etichetta e non delle regole di rispetto sulle quali è fondata la vita
democratica. Altri professorini obietteranno che ieri sera anche Roberto
Benigni ha fatto un gioco di parole su quelli con gli "ini" (fra
i quali Fini) e quelli "co´ gli oni" (Formigoni, Maroni,
Berlusconi... ). Però dovrebbe esserci ancora qualche differenza fra un
comico e il vice presidente del Consiglio, o no? Certo non si può
pretendere troppo da una cultura di governo, si fa per dire, che si è già
segnalata nel definire «un rompicoglioni» una vittima del terrorismo. Ma
Scajola, purtroppo per lui, era un precursore. Oggi, dopo una dose
supplementare di berlusconismo, il Paese è maturo per quest´altra bella
riforma.
Se ne va così, giorno dopo giorno, un pezzo di normalità, di tolleranza
civile. Cose che non si mangiano, d´accordo. Ma, fra l´altro, in cambio
di che cosa? I miracoli economici non si sono visti. L´Italia è in
crisi, peggio: in declino. Avrebbe bisogno di unità, serietà e lucidità
per reagire. Al contrario non è mai parsa così divisa, annebbiata da un
grumo di rancori nel quale il populismo ha buon gioco. Bisogna essere
storditi dall´odio per non rendersi conto che non usciremo dalla crisi
lanciando ogni giorno una trovata da bar sport. L´esportazione crolla?
Niente paura: si trasformino le ambasciate italiane in uffici commerciali
(e perché non ipermercati?). La Fiat è in crisi? Semplice, s´applica il
cavallino Ferrari sulla Stilo ed è fatta. Il crimine si globalizza e
mette in crisi l´ordine pubblico nelle città? Ecco lo sceriffo di
quartiere che vigila sul vecchio caro bordello gestito da Sora Nina,
mentre alle sue spalle bande d´albanesi comunicano via Internet e
telefono satellitare con la mafia cecena.
Un modo di pensare volgare produce un linguaggio corrivo e viceversa, in
un circolo vizioso che soltanto un odio cieco può mantenere al potere.
Guai a discutere i temi concreti. Chi la pensa in maniera diversa merita
soltanto il disprezzo riservato ai fessi, ai perdenti, ai coglioni: tutti
sinonimi di "minoranza". La teoria per cui la democrazia non è
tanto il potere della maggioranza ma il rispetto delle minoranze è roba
da "consociativismo". La lobby che comanda invece di governare
considera ogni controllo, sia la Costituzione o l´Europa, la magistratura
o l´opposizione, come un intollerabile intralcio al libero dispiegarsi
degli affari (loro), che poi consistono in un sistematico legalizzare l´illegalità,
si tratti di rogatorie, falsi in bilancio, Cirami, condoni e così via. La
minoranze più "cogliona" d´Italia, gli onesti, si rassegni.
La cortina d´odio serve a nascondere una banale verità. La destra
populista sta fallendo perché è la meno adatta a governare i temi
complessi dell´economia globale. Per questo è già fallita ovunque in
Europa, nell´Austria di Haider come nell´Olanda di Fortuyn. Con la
differenza che Berlusconi, grazie al potere immenso, durerà più a lungo
e farà molti più danni. Però ci ha salvato dal comunismo. Non nel ´48,
nel Duemila. Che impresa eroica.
Il ministro Tremonti invece ci sta salvando dal consumismo. Avanti così e
ci rimarrà ben poco da spendere. Ormai quando annuncia una crescita del 3
per cento per i prossimi 5 anni, anche il fiducioso popolo della Padania
corre agli amuleti. Nelle interviste dice d´aver riscoperto la religione,
beato lui. Molti italiani purtroppo no e laicamente cominciano a farsi due
conti in tasca.
Ora, come osserva Schopenauer, quando non si hanno argomenti validi per
difendersi resta soltanto l´arte dell´insulto. Fini ha afferrato il
concetto ma non le sfumature. In questo clima di guerra civile simulata
anche il vice premier, con tutti i suoi sforzi passati per cucirsi il
doppiopetto sulla camicia nera, s´è abbandonato al linguaggio violento
degli ultras, s´è "schifanizzato".
Quando il bar sport non basta più, si passa alla curva, al "devi
morire" all´avversario e alle minacce all´arbitro. Poi, in genere,
si retrocede lo stesso.
PENSIERI E PAROLACCE
Quando il politico dimentica
il freno
Gian Antonio Stella
dal Corriere
- 24 dicembre 2002
Romano Prodi che
aveva bofonchiato qualcosa tipo «ma vaffan..» fu rosolato sulla
graticola da un Emilio Fede che mandò e rimandò la moviola della
scenetta al Tg4 per consentire ai telespettatori di leggere bene le labbra
dell'allora capo del governo, per passar poi la palla a Enrico La Loggia
che fece un'interrogazione al presidente del Consiglio: «Risponde a verità
che Ella mi abbia mandato affan...?». Né andò meglio a Lamberto Dini,
«beccato» lui pure alla Camera mentre sibilava «e bbasta! Caz...!».
Dini fu sottoposto da Striscia la notizia a un tormentone al rallentatore:
l'ha detto o non l'ha detto? Con la maschia schiettezza degli arditi d'un
tempo, Gianfranco Fini non ha dunque voluto lasciar margini di dubbio. E
ha tuonato stentoreo nel microfono, rivolgendosi a un Giulio Tremonti
asfissiato dalle sinistre: «Non rispondere a questi coglio...».
E’ solo un equivoco fonetico, «determinato dall'assonanza con i cognomi
di alcuni deputati», sono saltati subito su i deputati leghisti Ugo
Parolo, Guido Rossi e Dario Galli: «Abbiamo udito più o meno
distintamente, visto che l'acustica dell’Aula non è delle migliori,
nominare dal banco dal governo i colleghi Panattoni e Fioroni. Va da sé
che se per assonanza fonetica alcuni giornalisti hanno ritenuto di
associare ai sovracitati colleghi altri vocaboli, tale fatto non può
ovviamente essere attribuito a responsabilità di singoli membri del
governo». Una spiegazione in linea con un antico striscione steso al
Palatrussardi al congresso leghista del '95 in cui Bobo Maroni era,
diciamo così, un po’ in disgrazia: «La Lega ce l'ha duro e i maroni ce
li ha sotto».
Macché: neanche il tempo che Pierluigi Castagnetti chiedesse con fremente
solennità che il vicepresidente del Consiglio smentisse o si scusasse, e
il leader di An decideva di rinunciare sia alla testimonianza
generosamente bugiardona degli amici del Carroccio sia alla via d'uscita
della «smentita-non-smentita» usata da secoli dai politici nostrani ed
esaltata fino all'apoteosi da una vecchia precisazione in spagnolo
dell'allora braccio destro di Craxi, Gennaro Acquaviva. Il quale, non
potendo negare un’intervista registrata in cui aveva detto al Pais che
Bettino voleva far fuori i comunisti, se la cavò dettando due righe di
sublime ambiguità: « Me veo forzado a desmentir porque, de lo contrario,
me linchan ». No, no: troppo rischioso, ha pensato Fini, forzar la mano
su una gaffe ripresa dalle tivù in una giornata già incandescente per la
Finanziaria. Meglio un piccolo gesto di pace. Annunciato da Pier
Ferdinando Casini: il vicecapo del governo si scusava e sarebbe venuto a
ripetere le scuse in Aula. Non capita a tutti di lasciarsi scappare una
parola di troppo? Di «incidenti» simili, del resto, a parte i casi
ricordati di Dini e di Prodi, la storia recente della politica italiana è
stracolma. Basta supporre che i microfoni siano spenti e oplà, la
frittata è fatta.
Successe al futuro ministro degli esteri Franco Frattini che, senza
immaginare di essere intercettato da Striscia la notizia , sbuffò col
candidato del Polo alle comunali di Roma del 1997 Pierluigi Borghini: «Hai
sentito ieri quelli del Ccd? Ma quelli sono dei cialtroni. Quelli sono
pronti a tradire da domani». All’ex ministro della Giustizia Alfredo
Biondi che si lasciò scappare un catastrofico: «Non è poi che Silvio
sia una cima: ripete sempre le stesse cose!». Allo stesso Berlusconi che,
preso d'assalto dai giornalisti televisivi, reagì a un microfono un po'
troppo invadente urlando: «Cribbio! Cribbio! Me lo ha sbattuto sui denti!».
A Piero Fassino, che un giorno disse durante una direzione del partito,
senza sapere che il microfono era collegato con la sala stampa, che il
leader albanese Sali Berisha «se ne doveva andare» e fece scoppiare
intorno al governo Prodi una tempesta di polemiche interne e
internazionali. Insomma: può capitare a tutti.
Né l'uso delle parolacce è poi così anomalo nelle altre arene
politiche. Per citare solo la Germania o l'Austria, dove pure gli scambi
dialettici ci appaiono noiosissimi, il futuro leader dei Verdi tedeschi e
ministro degli Esteri Joschka Fischer, salutato dal grande scrittore
Heinrich Böll come «il migliore parlatore della Repubblica», si rivolse
un giorno al presidente del Bundestag così: «Con rispetto parlando,
signor presidente, lei è un buco di cu...». E l'attuale Cancelliere
austriaco, allora ministro degli Esteri, Wolfgang Schüssel, liquidò il
presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer così: «Quel Tietmeyer è una
vera tro...».
Nel confronto con la finezza dei politici italiani, però, non c'è
partita. I nostri archivi abbondano di citazioni su citazioni. «Francamente
mi sono rotto qualcosa che fa rima con Veltroni», sbuffa un bel dì
Francesco Storace. «La civiltà gay ha trasformato la Padania in un
ricettacolo di culat...», spiega con la consueta bonomia il
vicepresidente del Senato Roberto «Pota» Calderoli. «Qua pare che son
tutti gay... se non sei culo non sei politicamente corretto», discetta al
congresso di An l'onorevole Roberto Menia. «Sono stanco di farmi
sodomizzare da un governo amico», eccepisce contro Palazzo Chigi l’ulivista
Massimo Cacciari. «L'ex onorevole Paolo Cirino Pomicino nell'Udr non può
far correnti. Al massimo correnti d'aria», ride Francesco Cossiga. «C'e'
puzza di mer... in questo posto», sentenzia il leghista Enrico Cavaliere
a Montecitorio. «Ripa di Meana dice solo cazz...», precisa Massimo D'Alema
sul suo alleato Verde. «E' una vita che la Bindi dice cazz... che vengono
prese per cose serie, io una vita che dico cose serie che son prese per
cazz...", si lagna Ciriaco De Mita. «D'Alema tiene Berlusconi per i
cogl... e cerca di tenere anche me per le palle», spiega Umberto Bossi a
una intervistatrice. «Ma c'è una piccola differenza, cara figliola: le
mie non gli stanno in mano». «Il mio sogno», spiega Giorgio Rebuffa
dopo avere rotto col Polo, «è vedere finalmente sul Corriere un titolo
che dica la verità: Il Paese è in mano a delle teste di caz... ».
E meno male che questo linguaggio goliardico diventa di rado oggetto di
dibattito parlamentare. L'unica volta in cui fu dedicata una seduta alla
parola usata ieri da Fini, nell'ottobre 1997, la cosa andò per le lunghe.
Tema: urlare a una pattuglia di agenti «mi avete rotto i cogli..!» come
aveva fatto Vittorio Sgarbi, rientra nell'insindacabile esercizio delle
funzioni parlamentari? Discussione interminabile, seduta notturna, 56
interventi in Aula, battute da caserma come quella del leghista Cesare
Rizzi: «Sono ore che si parla dei cogl... di Sgarbi, sinceramente ne ho
pieni i cogl...». Unica chicca, il delizioso intervento di Filippo
Mancuso, che invitò lo sboccato collega, in futuro, a chiamare i
cosiddetti come Giacomo Leopardi. Che in odio all'autore del celebre
dizionario, li aveva ribattezzati i «tommasei».
Prenda nota, onorevole Fini. Almeno per le giornate difficili come quella
di ieri.
Gian Antonio Stella
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