«MACCHÉ razza Piave, cervello di gallina! La vera razza Piave teneva
sempre in casa una pignatta di polenta per i povareti!». Sole alto, caldo
boia; davanti al sagrato del Duomo la cattolica Treviso si sbrana sotto
gli occhi dei musulmani. «Prova, prova ti, mona, a occupar una moschea! I
arabi te taia la gola!». I marocchini sfrattati dalle ruspe guardano il
pandemonio ai loro piedi. Non avrebbero mai sperato tanto. Per strada non
si parla d´altro. La città che ha sempre cloroformizzato i conflitti si
abbandona a risse contradaiole, si estenua in incredibili autoanalisi a
cielo aperto. E la razza Piave resta nuda davanti a se stessa e alle sue
contraddizioni. Senza più la mediazione della politica. Piazza dei
Signori, ore tredici. «Che i vada via! I consuma el nostro gas, la nostra
acqua, i porta malattie!» ringhia un pensionato. «Si vergogni - replica
un camionista - le piaceva quando gli svizzeri dicevano le stesse cose di
noi?». Risposta: «Intanto mi no son più paròn a casa mia». L´altro,
imbestialito: «Qua bisogneria investir la tredicesima per comprar un
mitra». La temperatura sale, sopraggiungono tre leghisti doc. «La
tolleranza fa confusiòn!», sbotta uno.
IL RACCONTO
La gente litiga davanti alla chiesa occupata, tra le preoccupazioni degli
industriali e gli appelli della Curia
Il sindaco e la "razza
Piave"
sul sagrato la città si divide
E un
altro replica: "Prova tu a occupare una moschea, gli arabi ti
tagliano la gola"
"Qui una volta si teneva sempre in casa una pignatta di polenta per i
poveretti"
Quasi una autoanalisi a cielo aperto dopo le dichiarazioni dello
"sceriffo" Gentilini
E un altro: «Che se
li prenda la Curia questi signori. I preti sono pieni di case, perché non
offrono le loro, invece di predicare solidarietà ad altri?».
Nel suo ufficio, il sindaco Gentilini Gianfranco grida al telefono come
Capitan Fracassa. E´ incazzatissimo con tutti: col vescovo, gli
industriali, la prefettura. Sono loro che hanno aperto la strada al «complotto
comunista» che manda gli stranieri a costruire uno stato nello stato per
uccidere l´identità veneta. Ormai, è a fine mandato e lui delle
mediazioni se ne fotte. Il podestà-sceriffo ha un credo semplice,
elementare e rotondo. Si riassume in un bisillabo: «Fora», fuori. Chi?
La risposta è un altro bisillabo: «Lori». Loro. Cioè tutti quelli che
non sono «noialtri», la mitica razza Piave.
E´ gasato il sindaco che ha mandato le ruspe contro i marocchini. Non
gliene frega niente se Forza Italia e persino An chiedono prudenza. Il suo
telefono frigge di congratulazioni. La rocciosa segretaria biondo platino
impugna la cornetta come una «P 38». La Destra è in linea. Spara: «Gentilini
non mollare», «Sindaco sei un baluardo», «Se cali le braghe, l´Italia
è perduta». Interurbane da Cuneo, Milano, Bergamo, Piacenza. Telegrammi
da tutto il Nord. Lo sceriffo scintilla di soddisfazione e brillantina. A
Radio Padania ha appena cantato la stirpe del Nord, che ha portato «ideali
in tutto il mondo, ingoiando rospi e quarantene». Ora inneggia alla legge
Bossi-Fini, che metterà le cose a posto.
A settecento metri, a due passi dal ponte Garibaldi sul fiume Sile, anche
il presidente degli industriali Sergio Bellato risponde al telefono. Dev´essere
un «comunista», perché risponde a chiamate di tutt´altro tenore. In
linea ha industriali di tutt´Italia, preoccupatissimi. Dicono: la
Bossi-Fini «fa schifo». Hanno paura che saltino le mediazioni. Temono
che si consumi uno strappo che blocchi la locomotiva del Nord. Dicono: «Se
gli immigrati vanno via, si ferma tutto. Concerie, macelli, allevamenti,
tessile, ristorazione, pulitura strade, carrozzerie, servizi, turni di
notte». E gli industriali, confessa Bellato, sono stufi di essere sotto
processo. «Se facciamo le case per gli immigrati ci accusano di fare
ghetti criminali, se non gliele facciamo ci dicono di fare lo
scaricabarile».
Anche la Curia non ne può più delle accuse di Gentilini. Per Don
Giuliano Vallotto, che ha la delega del vescovo per gli immigrati, gli
uomini di Bossi hanno dimostrato di appartenere a «una cultura pagana e
fascista». E Lorenzo Biagi, portavoce della Diocesi: Treviso è stata
schiacciata dal «cliché» di Gentilini e dal «tappo» della Lega. «Questo
sindaco è stato un megafono dei mali di pancia della società e non delle
sue più nobili spinte al cambiamento. La realtà è diversa, la provincia
è piena di stranieri accettati e integrati. Soprattutto nelle scuole
viviamo una fase di grande sperimentazione».
Sul sagrato le donne marocchine spazzano il pavimento con acqua e
detersivo; un piccolo atto di rispetto alla città e alla chiesa. Il
signor Dafani Mohammed è autista di camion, è da 24 anni in Italia e da
15 anni ha regolare permesso di soggiorno. Spiega in perfetto italiano: «Non
vogliamo case gratis. Il problema è che se i datori di lavoro non ci
danno una mano, le case sul libero mercato sono inabbordabili per noi».
Ha mani grandi, piene di rughe, da spaccalegna. Sembra anche lui una razza
Piave. E, occupando il sagrato, non sa di avere rispettato una tradizione
locale. Nessuno gli ha mai detto che è dai tempi del Beato Enrico da
Bolzano che qui i senza casa vanno a dormire sotto il Portego del Vescovo.
«Fora!», tuona Gentilini dei parassiti. Poi, appena scavi, tutto si
rovescia. Sarà magari un caso, l´avranno magari studiata i comunisti, ma
l´unico dei 24 sfrattati che non lavora è... l´unico italiano del
gruppo. E´ un sardo, tristissimo. Con la barba non fatta, pare il più
extracomunitario di tutti. Che tempesta nell´identità di Treviso. «La
vera immigrazione che ha rubato l´anima alla città - racconta il giovane
storico Alex Casellato - è semmai quella recente dei campagnoli veneti
che hanno fatto saltare la leadership della nostra grande borghesia
urbana, laica e risorgimentale. Quella razza Piave è morta davvero. E´
stato Gentilini a celebrarle il funerale».
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