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Compromesso nel governo, tre ministri si astengono. Unione e sindacati all´attacco.
Amato: rubati due anni di vita ai giovani
Tfr, si cambia solo dal 2008
Epifani: è una presa in giro. Oggi sciopero generale di 4 ore
 
 
da Repubblica - 25 novembre 2005


ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma del trattamento di fine rapporto. Il provvedimento entrerà in vigore dall´1 gennaio 2008. Si sono astenuti dalla votazione i ministri dell´Interno, Beppe Pisanu, degli Affari regionali, Enrico La Loggia, e del Mezzogiorno, Gianfranco Miccichè. Al momento del voto il premier Berlusconi non era presente. Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, che ieri aveva lanciato un ultimatum, si è dichiarato soddisfatto: «Grazie alla mediazione di Tremonti siamo arrivati ad avere un risultato soddisfacente». Unione e sindacati all´attacco. Epifani: «È una presa in giro». Amato: «Rubati due anni di vita ai giovani». Oggi sciopero generale di 4 ore.
CILLIS, MANIA e PETRINI ALLE PAGINE 2, 3 e 7


Tfr, riforma solo dal 2008
Compromesso nel governo sulle pensioni integrative
Per le piccole imprese via nel 2009. L´ok di banche, Confindustria, assicurazioni
BARNARA ARDÙ

ROMA - Una riforma a scoppio ritardato. La previdenza complementare diventa legge, ma partirà solo nel 2008, insieme a quella delle pensioni. Con due anni di ritardo sulla tabella di marcia immaginata dal ministro del Welfare, Roberto Maroni. L´attesa sulle sorti della riforma, di cui Udc e Forza Italia chiedevano un rinvio, termina ieri mattina, a sorpresa. Il governo trova l´accordo. Breve la discussione in Consiglio dei ministri. I giochi sono fatti già dal giorno prima. C´è un vivace botta e risposta tra Maroni (che fino a ieri minacciava le dimissioni in caso di mancata approvazione) e il ministro della Funzione pubblica Baccini, che chiedeva a gran voce il rinvio. La riforma passa, con tre astensioni e nessun voto contrario. Si sfilano tre ministri, Pisanu (Interni), che è molto perplesso, Micciché (Mezzogiorno) e La Loggia (Affari regionali). Al momento del voto il premier Berlusconi si allontana. Evita così il conflitto di interessi: è azionista di maggioranza di Mediolanum. Il testo approvato, assicura il ministro del Welfare, non è cambiato di una virgola sui contenuti. E´ lo stesso entrato nel Consiglio dei ministri del 5 ottobre (dove venne bocciato), e che ha avuto l´approvazione di 23 organizzazioni sociali, dai sindacati alla Confindustria.
E´ salva, dunque, quella portabilità del contributo del datore di lavoro che resta esclusivo appannaggio dei fondi negoziali. E´ salvo il principio del silenzio assenso: se dopo sei mesi il lavoratore non si pronuncia, il suo Tfr maturando verrà versato in un fondo collettivo (ma in questo caso perderà il contributo del datore di lavoro). Slitta invece la data di avvio della riforma, che allontana così la previdenza integrativa per 12 milioni di lavoratori. Va bene alle piccole imprese, che hanno difficoltà di accesso al credito e che avranno il tempo di adeguarsi (anzi, per loro si partirà probabilmente dal 2009). Una vittoria dell´Udc, rivendica Baccini. «Una vittoria?...Contento lui», commenta Maroni.
E´ su questi due punti che è stato costruito quel compromesso che ha permesso il varo della riforma. A mediare ci hanno pensato il ministro dell´Economia Tremonti e il leader del Carroccio, Bossi. Roberto Maroni li ringrazia in conferenza stampa. Certo, ammette, «avrei preferito che la riforma entrasse in vigore già dal gennaio 2006, ma poi sono arrivate le complicazioni che sappiamo». Si sono messe di traverso le compagnie di assicurazione, che mal digeriscono l´idea che il contributo del datore di lavoro venga perso se si sceglie una polizza invece che un fondo negoziale. Si sentono escluse da un mercato che oggi vale 13 miliardi di euro. Le compagnie «ora avranno tutto il tempo di adeguarsi», ha detto Maroni, che incassa anche l´apprezzamento della Confindustria e dell´Abi.
La sfida con i «poteri forti» (così li aveva definiti il ministro quando la riforma venne bocciato a ottobre), è finita, o almeno accantonata. «Da oggi riprendo i contatti con l´Ania», l´associazione delle assicurazioni, ha detto il ministro.
Un´apertura che il mondo delle compagnie apprezza. «Confidiamo - ha scritto l´Ania in una nota - che il rinvio serva a risolvere i problemi che sono ancora aperti». Compresa proprio la portabilità del contributo del datore di lavoro, che aveva portato l´Ania a minacciare un ricorso alla Consulta. Il principio è rimasto, ma il pericolo, almeno per ora, è scampato. Che poi lo slittamento al 2008 possa preludere a un affossamento della riforma, è un´ipotesi che Maroni non vuole prendere in considerazione. «E´ legge, quindi entrerà in vigore. Per evitarlo serve un´altra legge del Parlamento». Sempre possibile.


IL RETROSCENA
"Giulio, la riforma non si tocca". "Allora slitta al 2009". Poi l´intesa
Bossi chiama Tremonti e così arriva l´accordo

ROMA - «Giulio, il testo di Maroni non si tocca». Umberto Bossi non ha più la voce stentorea di un tempo, ma mercoledì sera, al telefono con Tremonti, non ha avuto incertezze nel difendere la "linea del Piave" della Lega. Certo, non si poteva rompere l´alleanza sul Tfr, ma nemmeno cedere alla pressione delle assicurazioni, tanto più che il suo ministro del Welfare si era esposto fino a minacciare le dimissioni. L´allarme al vertice del Carroccio scatta praticamente nel dopo-partita tv di Champions League, Milan-Fenerbahçe in diretta da Istanbul: Roberto Calderoli ha appena incontrato il premier, Silvio Berlusconi, e ha capito che le cose sono messe male, che la riforma-Maroni rischia di essere affossata. Chiama Maroni e, insieme decidono che solo Bossi - via Tremonti - può trovare un compromesso. L´ "asso" è dell´Economia: si chiama slittamento. Prima propone un salto al 2009, poi accetta il 2008 e argomenta: «L´allineamento all´entrata in vigore della riforma della previdenza obbligatoria è del tutto ragionevole». Così non perde nessuno: il testo Maroni non si tocca; gli interessi delle assicurazioni nemmeno. La riforma può essere approvata, tanto non entra in vigore subito. Il Cavaliere non può avere obiezioni. È talmente banale la soluzione che, infatti, passa praticamente liscia al Consiglio dei ministri. Nessuno vota contro, si astengono i forzisti Beppe Pisanu, Enrico La Loggia, Gianfranco Miccichè. Il premier esce dalla sala riunioni perché Mediolanum è per il 35,2% di Fininvest. La decisione passa liscia, ma la discussione è a dir poco burrascosa. Maroni finisce sotto il tiro dei centristi, Mario Baccini e Rocco Buttiglione. Non ci stanno ad essere definiti «burattini». Sventolano Repubblica che riporta dello sfogo della vigilia del ministro leghista e che parla di un Cavaliere «burattinaio». Con Berlusconi, Maroni si è dovuto scusare, smentendo, come di rito, di aver mai pronunciato quelle frasi. «Le dimissioni non si minacciano - attacca Baccini - ma si danno. Stavolta, però, se hai la reale volontà di dimetterti guarda che sono fortemente tentato di votare a favore». Parole molto più chiare di quelle assai confuse che pronuncerà in sala stampa solo qualche minuto dopo per dire del «grande successo dell´Udc». Il capitolo dei "burattini e burattinai" si chiude con Buttiglione: «Non siamo un partito fatto di burattinai di chicchessia». Maroni deve incassare. Ma l´Udc vuole di più, altrimenti non avrebbe alzato i toni il giorno prima proponendo una pausa di riflessione: vuole intestarsi la difesa delle piccole imprese. Un bacino nel quale, grazie al ritorno del proporzionale, può pescare nuovi consensi. Baccini affronta (più o meno) la questione della moratoria per le piccole aziende. Qualcuno non capisce. «A´ Mario - dice Francesco Storace - t´hanno dato er fojo sbajato». Chiosa, su Baccini, il vicepremier Gianfranco Fini: «Il tuo intervento è il combinato disposto tra il Tfr e la nuova legge elettorale». Finisce poco dopo. Baccini esce dalla sala: «È andata bene, siamo tornati al centro della politica».
(r.ma.)