Il limite del 2 per cento disposto dalla proposta di Legge finanziaria
è uno strumento efficace? E questo strumento è utilizzato in modo
coerente con la politica del governo? Il tetto alla spesa è stabilito
per lo Stato disponendo che gli stanziamenti iniziali di competenza e
di cassa siano incrementati per non più del 2 per cento delle
corrispondenti previsioni iniziali del precedente esercizio,
successivamente «aggiornate» (ovvero ridotte). Questa tecnica di
contenimento della spesa è molto rudimentale e scarsamente efficace.
Essa dispone una diminuzione generale (salvo le eccezioni previste per
spese di personale, previdenziali, sanitarie e di investimento), senza
differenziare i tipi di spesa. Colpisce, così, spese «buone» e spese
«cattive». Inoltre, la riduzione generalizzata degli stanziamenti di
competenza e di cassa non influisce sulla attività amministrativa che
viene prima della spesa, e che dà origine a essa. Ne consegue che gli
impegni e i pagamenti non si possono fare, ma le obbligazioni
amministrative possono sorgere egualmente. Con il risultato di far
scoppiare la spesa appena il tetto viene tolto e di creare eserciti di
persone frustrate, pronte a rivendicare i propri diritti.
Per fare un esempio, il tetto della spesa non impedisce alle
amministrazioni pubbliche di avviare e svolgere concorsi per il
reclutamento di dipendenti, né di bandire gare di appalto e di
concluderle. Il blocco delle assunzioni e il tetto di spesa hanno solo
l'effetto di impedire di stipulare i contratti di lavoro. Il tetto di
spesa ha l'effetto di fermare gli atti delle procedure contrattuali di
appalto che comportano l'assunzione di impegni e l'effettuazione di
pagamenti. Come dimostra l'esperienza già fatta, questi rimedi
producono un effetto temporaneo, seguito da immediati aumenti
successivi della spesa e accompagnati da pressioni di ogni genere dei
beneficiari ai quali è stata fatta una promessa dilazionata e che
considerano questi strumenti come arroganti dichiarazioni di
impotenza.
Il tetto della spesa è disposto anche per gli enti territoriali. Solo
che a questi si applica nel 2005 un limite del 4,8 per cento. Nei due
anni successivi un limite del 2 per cento. Tale distribuzione fa
sorgere un secondo interrogativo, relativo alla coerenza della
politica del governo. Questo, con la cosiddetta riforma federalista,
si propone un cospicuo decentramento di funzioni (e quindi anche di
personale e di spesa). Dunque, l'incremento relativo della spesa
periferica dovrebbe essere maggiore di quello del centro. Invece, si
cerca di tener buoni gli enti territoriali con l'aumento più che
doppio previsto per l'anno prossimo, mentre, nella prospettiva
triennale, si porta l'incremento allo stesso livello dello Stato.
Questa mancanza di coerenza della politica governativa danneggia
soprattutto i Comuni, che si trovano in un momento particolarmente
critico. Infatti, la riforma costituzionale pare aver introdotto una
concezione neo-gerarchica degli enti territoriali. Ad esempio, assegna
al Senato federale un ruolo dominante nel coordinamento tra enti
territoriali e costituzionalizza la Conferenza Stato- Regioni, ma non
quella Stato-enti locali.
In conclusione, il tetto di spesa, come introdotto dal governo, serve
a trasferire su esercizi futuri la spesa, più che a contenerla in modo
duraturo, perché lascia immutate le politiche da cui originano le
spese. Esso, inoltre, è, nella prospettiva triennale, in
contraddizione con i propositi di decentramento del governo. |