Sulla G.U. del 23/4/2001 n. 94 è stata pubblicata la legge 3 aprile
2001 n. 142 recante ´Revisione della legislazione in materia
cooperatistica, con particolare riferimento alla posizione del
socio lavoratore'.
È una legge che si rivolge a tutte le tipologie di
cooperative di lavoro, operanti nei diversi settori economici,
in quanto ciò che assume un ruolo centrale è il rapporto
mutualistico avente a oggetto la prestazione di attività
lavorativa da parte del socio (art. 1, comma 1). Le ragioni
della necessità di introdurre una normativa volta a
disciplinare complessivamente il rapporto di lavoro fra soci
lavoratori e cooperative sono molteplici.
Due però sono le motivazioni di fondo che hanno indotto
il legislatore all'approvazione della riforma in esame. La prima
è la mancanza di una chiara legislazione di riferimento, che ha
visto in questi ultimi anni la giurisprudenza operare un lavoro
di ´supplenza' con risultati non sempre univoci. Del resto, lo
stesso legislatore ha proceduto a includere, di volta in volta,
i soci di lavoratori di cooperative fra i destinatari dei vari
provvedimenti emanati per la generalità dei lavoratori,
contribuendo così a creare ulteriori frammentazioni tali da
determinare uno stato di incertezza e un enorme contenzioso
vertente sull'applicazione dei diversi istituti lavoristici
applicabili.
Sull'altro versante vi era poi l'esigenza di combattere
la cosiddetta falsa cooperazione, la cooperazione cioè che
utilizzava lo strumento del rapporto associativo al solo scopo
di eludere la legislazione del lavoro nel suo complesso e in
particolare l'applicazione nei confronti dei soci dei principali
istituti retributivi.
Proprio al fine di evitare il ripetersi di situazioni
analoghe il legislatore è intervenuto in materia cooperatistica,
introducendo con legge 142/2001 vistose novità che per alcuni
aspetti si pongono in netta inversione di tendenza.
Verranno di seguito esposti gli aspetti più rilevanti
della nuova normativa.
Socio lavoratore di cooperativa: il profilo
definitorio (art. 1).
L'art. 1 contiene una definizione del socio lavoratore a
cui viene riconosciuto anche un ruolo attivo nella gestione
della cooperativa: potrà infatti partecipare alla formazione
degli organi sociali e alla struttura di direzione, conduzione e
rischio dell'impresa.
Sono norme di principio che richiamano disposizioni
contenute nel codice civile e/o nella legislazione speciale
dedicate alle cooperative.
Un ruolo importante assumono le norme contenute nel comma
3 del medesimo articolo volte a risolvere la vexata quaestio
circa la natura del rapporto di lavoro socio-cooperativo.
Com'è noto, nell'assenza di una disciplina di
riferimento, la materia ha avuto una regolamentazione
esclusivamente giurisprudenziale rispetto alla quale la nuova
normativa si pone in netta inversione di tendenza.
La cooperativa rappresenta ora il mezzo di attuazione
della mutualità che si conclude solo con un meccanismo
contrattuale ulteriore rispetto al vincolo sociale, senza
contrastare con l'unicità della fonte negoziale, il patto
sociale cioè con cui si dà vita a un'impresa mutualistica.
La mutualità, in sostanza, pare realizzarsi nella
possibilità accordata ai soci di assicurare agli stessi
occasioni di lavoro attraverso un ulteriore meccanismo
contrattuale che implica il riconoscimento in capo alla
cooperativa della funzione e della qualità di datore di lavoro
dei propri soci.
Lo stesso comma 3 stabilisce che dall'instaurazione dei
rapporti associativi e di lavoro derivano non solo i relativi
effetti di natura fiscale e previdenziale, ma anche tutti gli
altri effetti giuridici previsti dal provvedimento in esame e da
altre leggi o da qualsiasi altra fonte, sempre che essi siano
compatibili con la posizione del socio lavoratore. Questo
disposto, per quanto superfluo possa apparire, trova una sua
ragione di essere proprio nella frammentarietà della
legislazione precedente che ha originato non poche vertenze. Per
altro verso, è da rilevare la particolarità della norma
consistente nel fatto che la regola di generale riferibilità, a
seconda della forma contrattuale scelta, della relativa
legislazione, subisce delle eccezioni laddove deve ammettersi la
prevalenza della disciplina societaria. Infatti, il rapporto di
lavoro, strumentale alla realizzazione del fine mutualistico,
pur presentando le essenziali caratteristiche di ogni rapporto
di lavoro, risente , per quanto concerne la disciplina
applicabile, dell'influenza esercitata dal coesistente profilo
societario.
In ragione di ciò il legislatore ha introdotto il
criterio di consentire l'applicazione di alcune leggi o fonti
normative ´se e in quanto compatibili con lo stato di socio
lavoratore'.
I diritti individuali e collettivi del socio
lavoratore (art. 2).
L'assenza di un conflitto di interessi nel rapporto fra
la società e i soci ha costituito, negli orientamenti
giurisprudenziali prevalenti, la premessa autosufficiente per
negare a questi ultimi, la titolarità dei diritti sindacali.
Un'immagine della cooperazione ´senza diritti e senza
libertà' ha comportato il rischio della diffusione della
cosiddetta ´cooperazione falsa' per la quale, negando i diritti
più elementari dei soci, ha trasformato l'impresa cooperativa
in una realtà di sottoprotezione, se non proprio di
sfruttamento. È proprio questo contesto che ha tenuto presente
il legislatore nell'estendere espressamente l'intera legge
300/70 ai soci lavoratori con rapporti di lavoro subordinato,
con esclusione dell'art. 18 in ordine alla reintegrazione per
licenziamento illegittimo, ogniqualvolta venga a cessare con il
rapporto di lavoro anche quello associativo.
In realtà, il legislatore si è preoccupato di ricercare
un equilibrio tra la dimensione lavoristica del socio lavoratore
e quella imprenditoriale al fine di conciliare l'esercizio dei
diritti ivi contemplati con il particolare status giuridico.
Infatti, non è da trascurare la portata dell'esclusione
dell'art. 18, nel caso in cui il rapporto di lavoro cessi
insieme a quello associativo, così come non va trascurato il
richiamo alla peculiarità del sistema cooperativo per
individuare forme specifiche di esercizio dei diritti sindacali,
attraverso la definizione di accordi collettivi tra le centrali
cooperative e le oo.ss comparativamente più rappresentative.
Si tratta in questo ultimo caso di norme che consentono
di mantenere margini di originalità del socio lavoratore
rispetto alla disciplina del lavoratore dipendente. In
definitiva per quanto attiene l'applicazione della normativa
sopra richiamata potrà avvenire che:
- una cooperativa risolva il rapporto di lavoro con il
proprio socio, ma non quello associativo il che comporta, a
seconda delle dimensioni occupazionali della stessa,
l'applicazione della disciplina relativa alla tutela
obbligatoria contenuta nella legge 604/1966 ovvero quella di
tutela reale contenuta nella legge 300/1970, a seconda delle
dimensioni dell'organo aziendale;
- una cooperativa risolva, invece, sia il rapporto di
lavoro sia il rapporto associativo, e in tal caso per quanto
attiene l'esclusione del socio dalla società troverà
applicazione la disciplina contenuta nell'art. 2527 cc.
Il che significa, da un punto di vista sostanziale, che
l'esclusione è legittima se: a) il socio non ha pagato la quota
associativa, malgrado la diffida (art. 2524 cc); b) il socio è
fallito (art. 2288); c) il socio sia stato interdetto o
inabilitato o abbia subito una condanna che comporta
l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici (art. 2286
cc); d) il socio sia divenuto inidoneo a svolgere il lavoro
(art. 2286 cc); e) il socio sia responsabile di gravi
inadempimenti agli obblighi che derivano dalla legge o dal
contratto sociale (art. 2286); f) il socio abbia tenuto un
comportamento per il quale l'atto costitutivo commini
espressamente l'esclusione (art. 2527 cc). Appare opportuno
precisare, inoltre, che la costituzione del rapporto sociale non
è condizionato dallo svolgimento dell'attività lavorativa da
parte del socio, per cui, anche la successiva conclusione della
stessa può non essere presupposto per il recesso dalla
cooperativa, con la conseguenza che può essere ammissibile che
il socio possa rimanere tale, anche se provvisoriamente
inoccupato, salva diversa previsione dell'atto costitutivo.
Se quindi la cessazione dell'attività lavorativa può
non essere motivo di recesso del socio del rapporto sociale, al
contrario il recesso era e continua a essere presupposto
dell'interruzione del rapporto di lavoro del socio.
Il medesimo art. 2 estende al socio lavoratore
subordinato tutte le vigenti disposizioni in materia di igiene e
sicurezza del lavoro. In tutti gli altri tipi di rapporto di
lavoro si applicano le norme della legge 300/70 relative alla
libertà di opinione (art. 1), divieto di indagini sulle
opinioni (art. 8), diritto di assicurazione e di attività
sindacale (art. 14), atti discriminatori (art. 16), nonché le
norme in materia di igiene e sicurezza del lavoro limitatamente
ai decreti legislativi 19 settembre 1994, n. 626 (e successive
modificazioni) e alle sole norme dei medesimi ´compatibili con
le modalità della prestazione lavorativa'.
Il trattamento economico del socio lavoratore (artt.
3 e 4).
Con l'art. 3 la legge introduce, fermo restando quanto
previsto dall'art. 36 legge 20 maggio 1970, nell'ambito
dell'ordinamento cooperativistico il principio della
retribuzione equa del lavoro svolto in relazione alla quantità
e qualità dello stesso.
In particolare, nel caso di contratto di lavoro
subordinato diventa obbligatorio il rispetto dei valori minimi
fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
Contrariamente all'orientamento giurisprudenziale prevalente
secondo cui la remunerazione del socio era concepita quale mera
partecipazione agli utili di gestione (Corte costituzionale
30/1996), la nuova legge attribuisce al socio, nel caso di
contratto di lavoro subordinato, un diritto al trattamento
retributivo conforme alle prestazioni della contrattazione
collettiva nazionale del settore o della categoria affine.
Ciò significa che, analogamente a quanto accade per le
imprese ordinarie, la contrattazione collettiva viene a
costituire ormai, nelle cooperative, parametro di riferimento
per valutare la congruità della retribuzione corrisposta ai
soci e delle deliberazioni sociali che alle stesse fanno
riferimento. La norma dà un'applicazione estensiva dell'art. 36
della Cost.: la retribuzione del socio lavoratore subordinato
deve essere pari ai minimi contrattuali non solo per la
retribuzione di livello (o tabellare o di qualifica) bensì per
il ´trattamento complessivo' ivi comprese, quindi, le voci
retributive diverse (straordinario, festivo) e le retribuzioni
parziali differite.
Per le altre tipologie di contratto (lavoro autonomo,
parasubordinato) ci si dovrà riferire invece alla retribuzione
e ai compensi medi applicati nel settore di attività per
prestazioni similari.
Fissato comunque il trattamento minimo inderogabile,
nella seconda parte dell'art. 3 della legge in esame, il
legislatore stabilisce che l'assemblea dei soci potrà
deliberare trattamenti economici ulteriori secondo le modalità
stabilite in accordi stipulati tra le associazioni cooperative e
le organizzazioni sindacali (comma 2 lett. a). Con ciò il
legislatore ha voluto individuare una sorta di secondo livello
retributivo, corrispondente al secondo livello contrattuale
previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro,
sottoponendo però l'erogazione dello stesso alle deliberazioni
dell'assemblea dei soci.
Un elemento di forte innovazione da segnalare è poi
l'aumento non superiore al 30% del cosiddetto ristorno, con la
possibilità di destinarlo anche ad aumento del capitale
sociale. La ratio dell'apposizione di un limite alla
distribuzione dei ristorni deve essere ricercata nel tentativo
di evitare una divisione di utili mascherata dalla forma
ristorno. Come è noto, nelle cooperative di lavoro i ristorni,
rappresentano il vantaggio mutualistico per il socio,
consistendo nei rimborsi effettuati allo stesso socio
lavoratore, in ragione della quantità di lavoro da questi
prestata, per la minore retribuzione percepita rispetto ai
ricavi della cooperativa. Questa disposizione ha una notevole
valenza. Innanzitutto perché per la prima volta disciplina in
termini positivi il ristorno retributivo nelle cooperative di
lavoro. La norma contenuta nell'art. 3 prevede esplicitamente
che l'aumento possa riguardare anche le quote ordinarie di
capitale sociale, e non solo i titoli speciali previsti dalla
legge 59/92. Attraverso l'utilizzo del ristorno è possibile
superare gli attuali limiti di partecipazione al capitale. Altra
novità di rilievo in ordine ai ristorni è quella introdotta
dall'art. 4 della legge in commento, laddove viene escluso che i
compensi distribuiti ai soci a tale titolo, nei termini innanzi
detti, possono essere considerati reddito da lavoro dipendente
ai fini previdenziali. In altre parole gli importi distribuiti
ai soci a titolo di ristorno, nel limite del 30% (non andranno
assoggettati a prelievo contributivo, bensì solo a prelievo
fiscale). Una volta raggiunto il salario di mercato (ccnl) si
potrà parlare di distribuzione di ristorni, realizzando così
il vantaggio mutualistico. Vantaggio quest'ultimo che il
legislatore ha incentivato, attraverso la ´decontribuzione',
peraltro sulla base dei principi indicati dall'art. 45 Cost.
Il regolamento interno: individuazione delle
tipologie contrattuali e della disciplina negoziale applicabile
(art. 6).
Entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge 142
(termine peraltro prorogato al 30 giugno c.a. ai sensi dell'art.
8-ter della legge 31/12/2001 n. 463) tutte le cooperative
dovranno definire un regolamento, approvato dall'assemblea dei
soci ´sulla tipologia dei rapporti di lavoro che si intendono
attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori'.
L'inciso della norma sulla circostanza che tale
previsione debba essere introdotta in forma alternativa, farebbe
escludere la possibilità che lo stesso socio possa avere
contemporaneamente un rapporto subordinato e uno di
collaborazione cosa che invece accade di frequente con gli
amministratori che sono anche soci lavoratori di cooperative. È
appena il caso di rilevare che la previsione astratta, per via
regolamentare, del tipo di rapporto da attuare caso per caso
serve a consentire un più agevole controllo pubblico da parte
della dpl ma non determina in concreto il tipo negoziale volta
per volta attivato. La previsione regolamentare serve ad
approvare in sede societaria il migliore assetto
dell'organizzazione del lavoro e serve eventualmente ad attivare
i controlli su quell'assetto, ovvero serve a censurare i
comportamenti difformi da quell'assetto. Insomma determina un
vincolo di condotta per gli organi societari. Altra cosa è la
verifica in concreto del tipo negoziale riferito a un
determinato socio d'opera. Qui varranno le regole generali sul
controllo del tipo negoziale così come si è conformato nel
concreto suo esplicarsi. Se infatti la volontà negoziale
contrasta con la dinamica del rapporto è a quest'ultima che
deve farsi riferimento per la imputazione del tipo. Il
regolamento approvato dall'assemblea è depositato presso la
direzione provinciale del lavoro. Si tratta di mero ´deposito'
senza alcun controllo né formale né sostanziale da parte della
direzione provinciale del lavoro e quindi senza possibilità di
rifiutare il deposito: i controlli saranno successivi (art. 7
legge 142/2001). Il regolamento dovrà contenere tra l'altro
come sopra precisato ´il richiamo ai contratti collettivi
applicabili e non può contenere, fatti salvi gli specifici
interventi previsti dalle lettere d), e) e f) dell'art. 6 in
caso di crisi aziendale e di nuova costituzione, a pena di
nullità, clausole che prevedono trattamenti e condizioni di
lavoro peggiori rispetto a quelli previsti da ccnl del settore.
Si evidenzia, infine, che il termine finale del 30 giugno 2002
per l'approvazione del regolamento deve ritenersi mero termine
ordinatorio non essendo prevista, nel caso di mancato rispetto,
alcuna sanzione.
Si precisa, tuttavia, che fino all'adozione del suddetto
l'assemblea dei soci non potrà deliberare nelle materie di cui
alle lettere d), e) e f) dell'art. 6, essendo tale facoltà
attribuitale dal regolamento stesso.
Ciò posto, in via conclusiva giova sottolineare che in
ordine al contratto collettivo applicabile, vertendosi su
disciplina negoziale di diritto comune, ovviamente esso esprime
valore cogente per le cooperative aderenti alle centrali
cooperativistiche che lo abbiano sottoscritto in base al mandato
di rappresentanza da queste conferito con la delibera
associativa espressa dagli organi competenti.
Al contrario, per le altre cooperative opera il principio
di libertà sindacale negativa, ai sensi dell'art. 39 Cost. Per
esse si ritiene applicabile, in virtù dell'art. 36 Cost., la
sola parte economica del ccnl nel senso che la società
cooperativa è tenuta alla corresponsione di un trattamento
economico non inferiore ai minimi contrattuali previsti dai ccnl
del settore o della categoria affine, salva restando, per il
resto, l'osservanza del ccnl che la cooperativa ha dichiarato di
applicare.
Comunque, qualora non sia
effettuato rinvio alle norme del contratto collettivo applicato,
sussiste in capo al datore di lavoro l'obbligo di fornire al
lavoratore determinate, essenziali informazioni inerenti le
condizioni applicabili al rapporto di lavoro instaurato (dec.
leg. 152/97).
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