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Il Paniere imperfetto
LUCIANO GALLINO

 

da Repubblica - 4 gennaio 2003



PER vederci un po´ più chiaro nella discussione esplosa sul caro prezzi, a partire da quello dei prodotti alimentari, bisognerebbe cercare di evitare tre sbagli. Un primo sbaglio consiste nel mettersi in caccia di quale sia la misura «vera» degli aumenti, tra il 3,2 per cento calcolato dall´Istat, il 29 per cento denunciato dall´Eurispes in base a proprie rilevazioni, o il 13 per cento che lo stesso istituto dice di aver calcolato utilizzando la medesima metodologia dell´Istat. Il secondo sbaglio sta nel pensare che esistano da qualche parte due diverse entità, una che si chiama inflazione effettiva, e un´altra che prende invece nome di inflazione percepita. Un terzo sbaglio da evitare consiste infine nel credere ch,e a forza di modificare, modernizzare, ampliare il paniere, sia possibile registrare più fedelmente l´andamento dei prezzi al consumo.

Il paniere imperfetto e la gabbia dei bilanci familiari
Oggi si chiedono nuovi parametri di calcolo: in base al reddito, ai consumatori e al territorio Tradurre tutto ciò in metodologie non è semplice, ma la strada è giusta
Il sistema ottimale per capire la reale incidenza dei prezzi è studiare un´ampia tipologia di famiglie: gli acquisti quotidiani mostrano come le spese migliorino oppure peggiorino

Quel che hanno in comune i tre tipi di sbaglio - che è poi la principale ragione per sforzarsi di non caderci - risiede nell´assumere che ciò che conta per le famiglie sia unicamente l´andamento medio dei prezzi, sia pure differenziati per regione e per città grandi e piccole. Mentre ciò che ancor più conta per una famiglia è la cifra che essa deve effettivamente sborsare per procurarsi la specifica tipologia di beni e servizi che essa desidera, in relazione al reddito ad essa disponibile. Tale tipologia varia grandemente in funzione sia del reddito, della condizione professionale, della composizione della famiglia, sia delle sue particolari abitudini di consumo.
Per intanto nella discussione sul caro prezzi dei prodotti alimentari maggiore spazio dovrebbe essere dato alla vetusta, quanto attualissima, legge di Engel. La quale dice che maggiore è il reddito disponibile d´una famiglia, minore è la percentuale delle spese alimentari sul totale delle sue spese; il che implica ovviamente che, minore il reddito, maggiore sia l´incidenza su questo delle spese alimentari. La legge di Engel fa sì che l´aumento del medesimo prodotto di un x per cento venga quasi inavvertito da una famiglia che destina ai prodotti alimentari solo il 15 per cento del suo reddito, mentre risulta drammatico per la famiglia che, avendo a disposizione un reddito molto più basso, spende già in alimentari la metà di quello che introita. Questo processo ha poco a che fare con una sedicente «percezione» oscillante dei prezzi, e molto di più con i ferrei meccanismi dei bilanci familiari.
I quali possono anche risultare oggettivamente disastrati, oppure no, in rapporto alle abitudini o alle necessità di consumo. Per una famiglia di vegetariani, ad esempio, gli aumenti dei prodotti ortofrutticoli intervenuti negli ultimi mesi possono comportare un maggior esborso al limite del sopportabile, mentre la famiglia accanto che preferisce una dieta differente troverà l´aumento di quegli stessi prodotti obiettivamente poco significante.
La strada per meglio capire come l´andamento dell´economia e dei prezzi incida realmente sul livello di vita delle famiglie è pertanto quello dello studio dei bilanci familiari di un´ampia tipologia di famiglie.
È dal bilancio di una famiglia, redatto giorno per giorno per parecchie settimane, che è possibile stabilire in qual misura, e con quali modalità di adattamento, migliorano o peggiorano le spese che essa realmente effettua. Le indagini sui bilanci familiari non escludono certo la rilevazione dei prezzi al consumo. Questa è necessaria sia perché su di essa si basa in ultimo la stima del Pil, sia perché le variazioni interne osservate nei bilanci familiari possono essere meglio spiegate quando siano confrontate con rilevazioni di fonte esterna. E al proposito si può affermare che è difficile che qualsiasi altro ente possa al momento far meglio dell´Istat, non foss´altro perché solamente le dimensioni ed il mestiere del suo apparato permettono di fare 300.000 rilevazioni al mese in 25.000 punti di vendita differenti. Ciò che l´Istat non dovrebbe fare, né con esso alcun ministro od organizzazione o singolo commentatore, è lasciare intendere, o addirittura affermare esplicitamente, che dall´andamento dei prezzi è possibile stimare obiettivamente il maggior esborso che differenti tipi di famiglie debbono sopportare. E non pretendere di sottrarsi alle critiche da parte di altri istituti di ricerca.
Come si è già notato tempo fa su queste colonne, lo stesso Istat procede annualmente a una indagine sui bilanci familiari che fornisce un quadro molto più credibile di ciò che davvero le famiglie consumano e spendono che non le inferenze ricavate, tramite il famoso paniere, dalle rilevazioni dei prezzi.
Per altro tutte le parti finora intervenute nella discussione sul caro-prezzi sembrano ignorare l´esistenza di tale indagine. Né l´Istat ha mostrato di volerne fare buon uso per migliorare le sue stime dell´inflazione a livello di famiglie. Ora la nuova coalizione dei consumatori ha sollecitato l´Istat a definire panieri diversi con almeno tre tipologie, differenziandoli cioè per famiglie, per reddito e per aree geografiche. Tali richieste comporterebbero un grande impegno per essere tradotte in metodologie appropriate, ferme restando le riserve sopra espresse sulla possibilità di individuare il paniere buono in luogo di quello cattivo. Tuttavia esse vanno nella giusta direzione, quella di osservare, accanto all´andamento dei prezzi, l´andamento delle spese reali delle famiglie, distinte per composizione, strati di reddito, abitudini di consumo simili, piuttosto che pretendere di desumere le seconde dal primo.