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Politiche per la famiglia / Intervista a Rosy Bindi

 

Al centro di un nuovo welfare

 

di Esmeralda Rizzi

 

E’la pasionaria per eccellenza della politica italiana, anche se i più la ricordano come ministro della Sanità, dal 1996 al 2000, durante il primo governo Prodi e a seguire quello D’Alema, quando varò la riforma del Servizio sanitario nazionale introducendo nel lessico quotidiano quelle due espressioni che ancora oggi fanno innervosire molti medici: intra moenia/extra moenia. Candidata a dirigere il ministero della Pubblica istruzione all’indomani della vittoria di Romano Prodi e della coalizione di centrosinistra alle ultime elezioni, si è ritrovata invece alla guida di un dicastero senza portafoglio ma altrettanto importante e delicato, quello delle Politiche per la famiglia. A chi temeva il suo legame con la Chiesa – è stata vicepresidente nazionale dell’Azione cattolica dall’84 all’89 – ha subito dato un segno chiaro con le prime dichiarazioni da ministro: diritti anche per le coppie di fatto, necessità di rivedere in parlamento il testo della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, importanza di trovare una sintesi tra i valori cattolici e il rispetto per idee e inclinazioni diverse. Ha più volte ricordato che siamo un paese con molti anziani e pochi bambini e quindi che proporrà provvedimenti concreti a sostegno della maternità, della conciliazione tempi di vita/di lavoro e, come chiedono da tempo i sindacati, la creazione di un fondo per la non autosufficienza.

Rassegna Da uno studio del Censis è emerso che il bisogno di sicurezza sociale, di welfare quindi, è stato l’elemento determinante per la vittoria dello schieramento di centrosinistra. Quali, secondo il ministro della Famiglia, gli interventi prioritari?

Bindi Nel nostro programma affermiamo che sviluppo economico e giustizia sociale vanno di pari passo. Il risanamento dei conti pubblici è fondamentale ma non possono essere le famiglie a pagare il prezzo dello sfascio lasciato dal centrodestra. Le famiglie hanno bisogno
di una politica che garantisca attenzione alla scuola, lavoro per i giovani, e per le donne, servizi all’infanzia, assistenza domiciliare agli anziani. Il nuovo welfare passa per un riconoscimento dei diritti della famiglia, lasciata troppo sola di fronte alle emergenze demografiche dell’invecchiamento della popolazione e della denatalità, e alle trasformazioni radicali del mercato del lavoro. Vogliamo chiudere la stagione degli interventi una tantum per mettere mano ad azioni di lunga durata e strutturali. Penso al sostegno economico certo per i bambini e poi i ragazzi fino alla maggiore età, al rafforzamento della rete dei servizi all’infanzia, a una legge quadro sulle badanti, a nuovi incentivi per l’occupazione femminile e a una riforma dei congedi parentali. E dobbiamo dare un segnale subito, per aiutare chi vuole avere un figlio e ci rinuncia per ragioni economiche e per far fronte ai bisogni di cura degli anziani non autosufficienti.

Rassegna Cosa individua, secondo lei, la parola “famiglia”?

Bindi Un soggetto vitale e insostituibile, come afferma anche la Costituzione, della coesione e della solidarietà intergenerazionale, dove affetti, diversità, progetti, speranze, debolezze e potenzialità convivono, si adattano reciprocamente e si modificano nel tempo. Accanto alla famiglia tradizionale ci sono ormai una pluralità di famiglie concrete: nuclei di anziani, famiglie numerose o monoparentali, figli di genitori separati e figli adottati o in affido. Se non capiamo questa pluralità di ricchezze, se non intravediamo la complessità delle esistenze che si esprimono individualmente e nell’insieme, rischiamo di non capire neppure le esigenze che maturano in essa. La famiglia produce ricchezza e contribuisce alla crescita economica del paese. Ma è anche un luogo di conflitti e disagi, frutto delle tensioni molte volte accompagnate dalla solitudine che i suoi membri devono sopportare. Considero la famiglia il primo soggetto di politiche sociali attive, proprio perché è il primo spazio dove la persona è messa alla prova della responsabilità, di esercizio di diritti e doveri. Per questo credo che sia importante realizzare una corretta sussidiarietà, un rapporto tra famiglia e istituzioni fondato sul dialogo e sull’ascolto, sul reciproco riconoscimento e valorizzazione.

Rassegna Una recente indagine promossa dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia ha evidenziato che la povertà relativa è diversamente diffusa sul territorio nazionale con forti criticità nel Mezzogiorno. I due maggiori fattori di rischio sono il lavoro e l’abitazione. Cosa fare?

Bindi Distinguerei tra politiche di contrasto della povertà, che richiedono azioni mirate come il reddito minimo d’inserimento, e le strategie di sviluppo anche del Mezzogiorno, con l’obiettivo di promuovere la buona occupazione. È inaccettabile l’equiparazione tra flessibilità e precarietà. Se la prima può significare la capacità di strutturare il proprio bagaglio culturale per metterlo in grado di rispondere prontamente alle diverse esigenze del mercato, la seconda non deve diventare una condizione permanente. In questo senso andrà modificata la legge 30, per eliminare le forme contrattuali più esasperate. Dobbiamo incentivare i contratti lunghi, che se non sono ancora proprio a tempo determinato possano diventarlo gradualmente e con ragionevole speranza. Tutte le giovani coppie sanno cosa vuol dire andare a chiedere un mutuo senza una solida busta paga. Pensiamo di agevolare l’acquisto della prima casa e di modificare le norme sugli affitti. E per questo dobbiamo creare strumenti di sostegno, dal microcredito ai fondi di garanzia, che consentano alle famiglie neonate di avere reti di sostegno per i momenti difficili.

Rassegna L’anno scorso, dopo un trend in costante discesa, si è registrato un lieve incremento nel tasso di fecondità, che è passato dall’1,33 del 2004 all’1,34 del 2005 – dati Istat –. Secondo lei da cosa dipende?

Bindi È presto per dire quanto sia rilevante questo progresso, che in parte dipende da una stabile presenza di immigrati extracomunitari. Possono essere molte le ragioni: culturali, sociali, economiche. Laddove funzionano le reti di sostegno, formali e informali, le famiglie avvertono meno paure e sono più disposte a fare figli. Se il pacchetto di servizi fatto di scuola, sanità, trasporti, personale di assistenza in casa, efficienza della pubblica amministrazione, attività ludico educative, mette le famiglie in condizioni non solo di avere il primo, ma di scegliere anche di fare il secondo o il terzo figlio, i frutti vengono. Al centro-nord i livelli di qualità di questi settori sono senza dubbio migliori. Ecco allora che le famiglie tornano a essere propense a crescere. Viceversa al sud, accanto a condizioni economiche che appaiono sempre più difficili, si aggiunge il fatto che in molti casi il “pacchetto” di servizi latita. Funziona invece la solidarietà informale, delle famiglie allargate dei nonni e dei parenti stretti e meno stretti. Intendiamoci, è una cosa per molti versi positiva, in grado di funzionare anche come volano di affetti, valori e tradizioni. Anzi, penso anche che nella propensione a fare figli vi sia un segnale importante di recupero di senso e di valore. Ma alla lunga una famiglia non può reggere solo perché ci sono i nonni a prendersi cura dei nipoti: è condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre che le istituzioni locali facciano la loro parte, affiancate da un governo centrale che non le consideri come fastidiose postulanti, occasione per scaricare i costi di improbabili risanamenti di conti. Un film a cui, purtroppo, abbiamo assistito nella precedentelegislatura. Ecco, noi vorremmo girarne un altro. Di piena collaborazione al servizio, appunto, delle famiglie.

Rassegna In Italia la legge sui congedi parentali estende anche ai padri la possibilità di astenersi facoltativamente dal lavoro ma vi ricorre appena l’1,8% dei neo papà. È giusto, secondo lei, sostenere una maggiore condivisione e come promuovere questa opportunità?

Bindi Assolutamente sì, ed è anche uno degli obiettivi che mi sono data. Puntiamo ad una riforma dei congedi parentali che estenda fino all’adolescenza il ricorso a questa possibilità. Nei primi tre anni di vita è più naturale che le mamme siano accanto ai figli;ma quando questi crescono può essere più utile la presenza del padre. Allungare l’arco di tempo entro cui è possibile ricorrere a un periodo di congedo potrebbe incentivare una maggiore condivisione delle responsabilità. Inoltre penso che tutta la filosofia aziendale delle nostre imprese dovrebbe andare incontro con maggiore disponibilità alle esigenze della famiglia, che vanno dalla cura dei figli all’assistenza per gli anziani non autosufficienti. Alcuni giorni fa su Repubblica è apparsa una lettera sconsolata di una ragazza, brava, che dopo il colloquio e in attesa della chiamata, si è sentita rispondere: “No grazie, abbiamo scelto un maschio perché non possiamo permetterci una donna che va in maternità dopo un po’ dall’assunzione”. Ecco: possono crescere i congedi parentali in questo clima?

Rassegna Cosa pensa dell’ipotesi avanzata dal ministro Padoa Schioppa di elevare l’età pensionabile delle donne? Nell’incontro con i sindacati il governo ha assicurato che non se ne farà nulla. Ma, visto il lavoro di cura a cui tante neopensionate subito si dedicano, se quest’idea poi si realizzasse le conseguenze sull’organizzazione delle famiglie italiane non sarebbero in qualche modo dirompenti?

Bindi Le famiglie, e in particolare le donne, oggi si trovano strette sempre di più tra la necessità di curare le esigenze dei genitori anziani e aiutare i figli che crescono e vogliono essere autonomi. Il Fondo per gli anziani non autosufficienti, una legge per favorire la formazione e l’assunzione di “assistenti familiari”, politiche di rimodulazione degli orari pubblici (scuole, uffici, centri di servizio, negozi), sono strumenti necessari per consentire alle famiglie di vivere riducendo ansie e problemi. Se in un contesto di rigidità le donne sono costrette a lavorare di più e più a lungo, questo non può che apparire come una ingiusta forzatura. Adeguiamo il resto e poi ne riparliamo.

Rassegna In conclusione, le donne fuori del contesto familiare. A proposito del numero di ministre nel governo Prodi lei ha dichiarato che si fa fatica ad accettare che le donne possano avere posizioni di potere, che il potere si conquista con le armi del potere e che noi donne dovremmo imparare a usarle. Non crede nelle quote, quindi? Come promuovere allora una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni?

Bindi La partita delle quote rosa, nella scorsa legislatura, ha dimostrato che nessuno regala nulla per nulla. Il potere si è sempre autopreservato e difficilmente chi lo detiene è disponibile a condividerlo. Le quote servono e dovremo riaprire presto questo capitolo, ma non bastano. Dobbiamo sfidare il potere maschile ai vertici dei partiti e delle istituzioni. La democrazia – fortunatamente – consente e favorisce alleanze, progetti di reciproco sostegno, attività di sana lobbying, meccanismi di conquista del consenso, attività di informazione e di contestazione. Ecco, da qui e dall’ambizione di puntare più in alto può nascere un ruolo più forte delle donne in politica. È un problema di qualità della nostra democrazia, che investe prima di tutto le donne ma non solo.

(www.rassegna.it, 30 giugno 2006)