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LA POLEMICA. SERGIO COFFERATI
L´ordine e i lavavetri
francesco merlo 

 

  da Repubblica - 25 ottobre 2005


CHI l´avrebbe mai detto che Bertinotti si sarebbe comportato come Cuffaro, che il gatto Fausto sarebbe diventato al Nord quel che la volpe Totò è al Sud, il difensore dell´abusivismo, dell´illegalità e della bruttezza? Non c´è alcuna differenza tra le ruspe di Cofferati, che a Bologna hanno abbattuto cento baracche sul Reno, e quelle che in Sicilia il centrosinistra di Enzo Bianco mandò alla foce del Simeto; o ancora quelle che Celentano, dalla dancing cattedra, di Rockpolitik, vorrebbe mandare ai templi di Agrigento per bonificare al ritmo della Gazza ladra o di Bebop a lula.

L´ordine e i lavavetri

La ruspa rock di Cofferati è la stessa del ragazzo della via Gluck, e l´innocente resistenza di Bertinotti a Bologna combacia, involontariamente, con la odiosa e proterva resistenza dei mafiosi di Gela. Sicuramente è di sinistra l´idea che in Italia non ci sono ruspe da fermare, ma semmai da mettere in moto perché "la santa ruspa" che squarcia e sbriciola è la sola possibile bonifica del territorio, l´inizio di una nuova, concreta e coraggiosa guerra all´illegalità, all´inciviltà e alla bruttezza; la ruspa non come punizione ma come redenzione. E invece la sinistra ambientalista di Paolo Cento, quella antagonista di Bertinotti e quella creativa di Bifo, oggi difendono sino allo scontro fisico l´abusivismo di Bologna con gli stessi argomenti con cui Cuffaro difende il suo abusivismo clientelare, sempre spacciato per abusivismo di necessità.
Nel pieno centro di Catania, nel corso dei Martiri della Libertà, ci sono baracche di lamiera e di cartone, tali e quali quelle di Bologna: quattro pali come muri maestri, vecchie coperte alle finestre, materassi e scatole di immondizia, un frigorifero senza porta…, una forte identità di gruppo.
Persino gli abitanti vengono dagli stessi paesi dell´Est: esistenze in fuga che sono al tempo stesso povera gente e pericolosa gentaglia, una dolente umanità vittima e supplice, ma anche aggressiva e tracotante. Qual è la differenza tra il sindaco di Catania Umberto Scapagnini e quello di Bologna Sergio Cofferati? Ecco: il primo è irresponsabilmente indolente e furbo, mentre il secondo è un alto rappresentante dello Stato italiano e dell´ordine civile.
Scapagnini lucra sul disordine, Cofferati rischia sull´ordine.
Girando per una baraccopoli si capisce subito che il "compagno" Bertinotti e il "compare" Cuffaro si battono contro le ruspe, rispettivamente di Bologna e di Agrigento, non perché sono matti, ma perché la ruspa sbriciola interessi veri, annulla piccoli patrimoni fatti di miseria e di stracci, colpisce a morte affetti e legami di solidarietà umana e politica, aggredisce una cultura diffusa e rischia di essere incomprensibile per quel ceto, sempre più folto, di immigrati, di disperati, di poveracci, di naufraghi e di nomadi che credono di avere comunque diritto alla loro capanna sul fiume, il "diritto alla casa". Sempre una baraccopoli è un misto di inciviltà e di indigenza. Ma quando l´indigenza si fa inciviltà, il sindaco Cofferati non ne riconosce più l´aspetto di classe, mentre il rivoluzionario Bertinotti nega che, accanto e contro una civiltà della povertà, possa esistere anche una inciviltà della povertà. Cofferati non si fa ricattare e rischia. Bertinotti, come Scapagnini e come Cuffaro, gode.
Quelli sono pasticcioni coerenti e abusano degli abusivi, mentre Bertinotti si impatacca solo moralmente e ideologicamente.

Sono come gli abusivi del sud anche i lavavetri governati dal racket, che Cofferati vorrebbe sgominare schierando i vigili urbani, e che Bertinotti vuole difendere schierando le "guardie rosse" no global: "Chiameremo a protestare immigrati, senza casa, e studenti fuori sede". L´idea di Bertinotti, ripresa dalle teorie degli economisti che ispirano il presidente brasiliano Lula, è in realtà una vecchia idea del plebeismo contro cui Togliatti metteva in guardia i compagni napoletani nel tumulto confuso del secondo dopoguerra: anche i poveracci che dall´Africa del Nord, dal Senegal, e dalla Romania arrivano ai mercati meridionali e ai semafori di Bologna sono una risorsa. Così, in molte città del sud i parcheggiatori abusivi sono stati legalizzati e oggi offrono un servizio che ieri imponevano; oggi custodiscono l´auto che ieri sequestravano. La differenza non è sottile, perché ora c´è un ordine di posteggiatori occupati contro il disordine dei posteggiatori abusivi. Anche se, ovviamente, non tutti hanno beneficiato di questo "ordine nuovo"; e non tutte le attività illegali possono essere legalizzate, ordinate secondo leggi.
Dunque la difesa dell´universo degli abusivi lega l´estremismo di sinistra al populismo della destra meridionale. La destra, che nel Nord lombrosoneggia, nel Sud parla come la Lega ma nei fatti tollera e protegge gli abusivi, proprio come fa Bertinotti che considera i lavavetri portatori di valore, come i nomadi descritti dal filosofo Attali, come i dropouts, gli sgocciolati fuori dall´Impero di Toni Negri. La sinistra antagonista ne difende l´illegalità e il disordine come se i lavavetri fossero artisti di strada che fanno parte del moderno addobbo di una città evoluta.
Non è cosi: non ci sono lavavetri ai semafori di Londra e di Parigi, perché la polizia li tiene lontani e perché nessun compagno e nessun compare li difende. I lavavetri non arredano e non animano le Bologna del mondo, i luoghi più affascinanti della Francia, le città più colte della Gran Bretagna. La civiltà di Bologna è civiltà di piazza, dove ci si incontra e dove si espongono le cose più belle, palcoscenico degli artisti e non dei "punk a bestia" e degli spacciatori che rendono cupe e spettrali le notti.
Abbandonate agli abusivi d´ogni specie, le strade diventano un po´ come i luoghi allucinati e vuoti di De Chirico e un po´ come i luoghi da tregenda di Bosch.

E invece Cofferati vorrebbe fare di Bologna la città dell´ordine nuovo della sinistra italiana, concetto innanzitutto gramsciano, senza disgustoso razzismo ma con rigoroso multietnicismo. L´ordine solidale è il valore di Bologna: come l´acqua pulita, come i binari del tram, come la cortesia di un vigile urbano, come l´andatura allegra e sicura di una ragazza che rincasa tardi.
Eppure, arrivato con la faccia larga del difensore degli estremisti in cerca di riti epocali, Cofferati rischiava di fare della città il campo profughi della sinistra più radicale, la fortezza dei girotondini. E tutto questo mentre cresceva in Italia, al di là di certe enclave razziste, come quella di Treviso, una grande voglia di buona amministrazione, di sobrietà e di moderazione. Sempre più noi italiani sentiamo il bisogno di protagonisti, nei due schieramenti, che possano piacere anche agli avversari dell´altro campo, un po´ come Chirac che, presidente di destra, conquistò la sinistra francesce, o come Blair che da laburista prese i voti dei conservatori. E un po´ come accade al nostro ministro degll´Interno, Pisanu, che piace alla sinistra per la sua saggezza tradizionale, per l´umanità verso gli immigrati che fermamente oppone alla bestialità di Bossi e della Lega.
Ebbene, anche Cofferati è classe di governo bipartisan. "Piace ai borghesi" ha titolato il Manifesto, facendogli un involontario complimento. Del resto mai Cofferati era stato il rappresentante dei disordini. Da "cinese" credeva nella società ordinata secondo la filosofia amministrativa della classe operaia che, a sua volta, è una messa in ordine della subalternità. Anche la classe è un ordine e non è vero che c´è differenza tra la legalità e l´ordine, quasi fosse la prima una virtù di sinistra, e il secondo un vizio di destra. Sono invece la stessa cosa perché il diritto ordina e la legge supporta l´ordinamento. O sei il sacerdote dell´ordine o stai alla coda dell´orda.
Scegliendo l´ordine e combattendo l´orda, Cofferati fa più bene alla sinistra di dieci Santoro. L´ordine di Cofferati esprime e sostiene l´alta civiltà di una città ricca, generosa, colta e solidale. Il santo di Cofferati è san Martino che, stando a cavallo, divide il suo mantello con i poveri, ma senza mai ruzzolare tra di loro.


OPINIONI. TITANIC
I bus di Rosa Parks e il buon senso perduto di Bologna
Perché la sinistra raziocinante è «antipatica» e quella estrema è «simpatica»?
di GIANNI RIOTTA

dal Corriere - 26 ottobre 2005

Cinquant'anni or sono, il primo dicembre 1955, la signora Rosa Parks salì sul bus di Cleveland Avenue, Montgomery, Alabama. Non era semplice allora per una donna afroamericana usare i mezzi pubblici nel Sud degli Stati Uniti. I sedili anteriori erano riservati ai bianchi, quelli di mezzo potevano essere usati dai neri quando non c'erano bianchi a bordo, solo quelli posteriori erano per gli afroamericani. Se l'autobus era affollato, un nero doveva accedere dalla porta anteriore, pagare il biglietto, ridiscendere di corsa risalendo dalla porta di dietro, nella speranza che l'autista, dispettoso o del Ku Klux Klan razzista, non lo lasciasse a piedi.
L'autista del bus a Cleveland Avenue, James Blake, non sopportava i niggers, i negri. Già una volta aveva scacciato la signora Parks, troppo impertinente per Montgomery. Nella sezione di mezzo siedono con lei tre persone. Quando sale un passeggero bianco, con malagrazia Blake intima ai quattro niggers
di spostarsi e, se non ci sono più posti, di scendere malgrado il biglietto. I tre poveretti, a capo chino, obbediscono, Rosa dice di no, si fa arrestare, lancia il boicottaggio di oltre un anno dei mezzi pubblici da parte degli afroamericani. Contro il razzismo c'è chi fa 60 chilometri a piedi, ogni giorno, per andare al lavoro. Eroina della battaglia dei diritti civili, Rosa Parks è morta ieri: è tanto popolare nelle scuole americane che quando dico a mia figlia Anita, IV elementare, «Rosa Parks è morta» lei si commuove.
La notizia della scomparsa di Rosa mi appare da un flash sul video, mentre ragiono di sinistra italiana. A Bologna Sergio Cofferati si scontra con i no global, Liberazione gli dà dello «stalinista» e stavolta non per complimento,
il manifesto del «cileno». Cofferati, che entusiasmò la piazza mobilitando tre milioni di persone in difesa dell'articolo 18, come Stalin o Pinochet? Perché tanto rancore? In parte perché Cofferati — come era prevedibile — ha deluso la sua base, illusa che il riformista della Cgil alla Pirelli si fosse trasformato in Guevara. Cofferati esagerò allora a parlare di «diritti violati» per una questione contrattuale e a usare la bomba atomica dello sciopero per cambiare la lampadina dell'articolo 18. Non si trattava di posti negati in autobus per il colore della pelle, ma di riorganizzare il mercato del lavoro. Si poteva trattare. Quando oggi Cofferati, con buon senso, mette ordine nel suk che è Bologna centro, tra ubriachi, gang e spaccio, gli danno del «Pinochet»: sbagliano, delusi dal «Cinese».
Alla vigilia delle elezioni politiche 2006 la questione centrale della sinistra è tutta qui: riappropriarsi del buon senso. Quando la Montgomery dei neri si ferma per Rosa Parks è evidente a tutti, buoni o cattivi, dove stia il buon senso e dove l'arroganza. Oggi Cofferati usa il buon senso, ieri trascurato, e si vede trattato da «dittatore». Per capire questa ira è utile il libro di Luca Ricolfi, «Perché siamo antipatici?», dedicato alla tesi che la sinistra sia impopolare perché astrusa e narcisista. Ricolfi ha ragione, ma a metà: è «antipatica» la sinistra riformista che lui difende, quella radicale resta «simpaticissima». Il Che sventola sugli stadi. Gino Strada è amico dei Vip. Gli ex terroristi sono guru da prima pagina e best seller. Alla testa del movimento Cofferati era «simpatico», gli anchormen discettavano ammirati della sua passione per Tex Willer e Verdi. Da sindaco diventa «antipatico». La sinistra raziocinante è «antipatica» perché non dimostra passione, non scalda gli animi. Se i ragazzi di Bologna capissero che democrazia, sviluppo, integrazione e rispetto anche per i diritti civili degli anziani con la pensioncina in tasca e le ragazze in giro sole la notte sono una rivoluzione, che il buon senso conta più di uno slogan rauco ecco che la sinistra tornerebbe d'incanto «simpatica», capace di commuovere i bambini: come ai tempi di Rosa Parks.