La
Cassazione boccia la Bossi-Fini
ROMA - Il
rigetto del ricorso di unn albanese, accusato di aver portato in
Italia una giovane donna per indurla alla prostituzione dopo una
serie aberrante di violenze, dà il desto alla Cassazione per
stroncare la legge Bossi-Fini sulla regolamentazione
dell'immigrazione e la lotta all'immigrazione clandestina.
E' una legge,
dicono i giudici della terza sezione penale della Suprema Corte,
che ha ''capovolto'' la ''visione solidaristica'' presente nella
legge Turco-Napolitano (n.40 del 1998, emanata dal governo di
centrosinistra) adottando una impostazione ''esclusivamente
repressiva''. In questo modo - aumentando la funzione di sicurezza
e di ordine pubblico - ha compiuto una ''unilaterale lettura della
normativa europea'' (accordo di Schengen, trattato di Amsterdam,
proposte del Consiglio Ue).
Un vero e
proprio ''excursus'', quello compiuto dai giudici della
Cassazione, nel quale viene messo a punto il ''primo raffronto''
tra la normativa del '98 e quella del 2002. Pur premettendo che già
la legge Turco-Napolitano aveva ''ulteriormente marcato'' rispetto
alla legge 943 del 1986, le ''finalità di ordine pubblico,
sicurezza e razionalizzazione, controllo e regolamentazione della
presenza e dell'attività dei cosiddetti extracomunitari'', pure
questi obiettivi venivano ''filtrati'' attraverso ''i principi di
pari opportunità e trattamento, di regolazione del mercato del
lavoro al di fuori degli schemi della pubblica sicurezza, di
generale impegno degli Stati aderenti alle Convenzioni
internazionali''.
Tutto ciò
veniva attuato attraverso ''la predisposizione di misure di
politica attiva ed attraverso strumenti sanzionatori di vario
tipo'', senza ''perdere neppure di vista il legame esistente fra
immigrazione, povertà o indigenza e cosiddetto lavoro nero ed i
principi solidaristici espressi nella nostra Costituzione''.
Ma le funzioni
di sicurezza e di ordine pubblico sono divenute ''il tema centrale
con legge n.189 del 2002, con una unilaterale lettura della
normativa europea''. In pratica - sintetizzano i magistrati di
legittimità - tutto ciò è avvenuto ''in parte capovolgendo la
visione solidaristica in una esclusivamente repressiva''.
Dopo aver
fatto queste considerazioni, la Suprema Corte ha tuttavia comunque
rigettato il ricorso di un albanese accusato di aver favorito
l'ingresso clandestino di una giovane sua connazionale, al fine di
sfruttarne la prostituzione. L'uomo sosteneva che le disposizioni
che puniscono chi agevola l'ingresso senza documenti di
extracomunitari, sono rivolte esclusivamente nei confronti degli
''scafisti'', sia nella Turco-Napolitano che nella Bossi-Fini. Ma
la Cassazione è stata di parere del tutto opposto e ha affermato
che entrambe le normative puniscono non soltanto gli scafisti o
gli ''organizzatori di tratta'' ma anche gli stessi clandestini
quando compiono ''attività dirette a favorire l'ingresso degli
stranieri violando la legge''.
In sostanza la
legge punisce ''il compimento di atti che, in qualsiasi modo,
agevolino l'ingresso irregolare, potendo tale fatto essere
commesso anche da chi si trova in posizione di clandestino''. Nel
caso specifico l'imputato si chiama Gentian H. (nato a Fier nel
1979) aveva pagato di sua tasca il viaggio a una ragazza albanese
di 16 anni per portarla in Italia, metterla sul marciapiede, e
vivere del suo meretricio. L'aveva inoltre violentata e aveva
compiuto su di lei anche violenze psicologiche. La tesi di Gentian
è stata respinta da piazza Cavour (sentenza 3162) che ha rilevato
come questo tipo di comportamento sia punibile, sia in base alle
norme del '98 che a quelle del 2002.
Le reazioni
del mondo politico non sono mancate. Se dalla Caritas la notizia
è stata accolta con soddisfazione ("Siamo completamente
d'accordo con quanto afferma la corte", afferma don Giancarlo
Perone, responsabile d'area per la Caritas Italiana), la diessina
Livia Turco, una delle promotrici della legge poi superata dalla
Bossi-Fini, vede confermati le proprie idee: "La
valutazione obiettiva e tecnica del testo da parte della
Cassazione - commenta - esplicita una verità che la politica ha
negato sulle differenze fra i due testi di legge. La sua logica,
che vede strettamente legato il permesso di soggiorno al lavoro, è
la repressione". Per la Margherita interviene Giuseppe
Fioroni, senza mezzi termini: "La Cassazione - argomenta - fa
finalmente giustizia di una delle pagine più vergognose delle
politiche sociali italiane, la legge Bossi-Fini. Una legge
inutilmente crudele e controproducente che finora ha aiutato solo
due persone, Bossi e Fini".
Dal Polo,
invece, i commenti sono molto critici. Giampaolo Landi di
Chiavenna, responsabile Immigrazione per An, è durissimo:
"Contesto categoricamente questa sentenza - afferma - non
si tratta di essere repressivi ma di estirpare il buonismo peloso
e lo pseudosolidarismo dei governi di centrosinistra che hanno
fatto entrare in Italia oltre un milione di clandestini".
Dello stesso avviso il vicepresidente del Senato Alessandro Cé
(Lega): "Dovrei leggere la sentenza - spiega - ma se i
termini sono questi, mi pare una strana e inaccettabile invasione
di campo nei confronti della politica, una valutazione di tipo
politico e non di legittimità, quale competerebbe alla Corte di
Cassazione".
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