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Immigrati
e sicurezza una legge ingannevole |
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da Repubblica - 25 giugno 2002 |
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Questo è il messaggio della maggioranza, e che l´opinione pubblica non sappia alcune elementari verità. Per esempio, che il pattugliamento marittimo dirotta i flussi in zone meno controllate nelle quali gli sbarchi sono più difficili e pericolosi, così navi e natanti vengono abbandonate lontane dalla riva e i passeggeri buttati a mare con altissimi rischi. O, ancora, che di stranieri regolarmente soggiornanti e iscritti alle anagrafi ce n´è quasi un milione e mezzo, e non presentano problemi di identificazione. A che serve, per questi normali residenti, la misura discriminatoria delle impronte digitali, ammissibili per coloro la cui identificazione è dubbia, ma inutilmente vessatoria per gli altri? Perché regolarizzare i clandestini lavoratori domestici (molti dei quali sicuramente al servizio di famiglie abbienti) e non coloro che esercitano altre attività e professioni socialmente utili? Infine, è bene che al pubblico si taccia che la stragrande maggioranza dei clandestini non è formata dai disgraziati che arrivano nei cassoni dei Tir o nelle stive delle navi, ma bensì da individui indistinguibili dalle decine di milioni di viaggiatori di ogni colore e provenienza che la globalizzazione mondiale scarica dentro le nostre frontiere, e che semplicemente rimangono in Italia alla scadenza del permesso di soggiorno. Questi sono i clandestini, mescolati a studenti, facoltose persone in cerca di quiete, turisti che prolungano il loro soggiorno, coniugi parenti o amici stranieri di italiani. Ma il Governo, bontà sua, si guarda bene dal setacciare il paese per individuarli e, eventualmente, metterli alla porta, a rischio di mettere in crisi l´industria turistica e la pace sociale. La legge è una
brutta legge per altri e ancora più validi motivi. Il Governo sa
benissimo che l´Italia ha un crescente bisogno di immigrati: i conti sono
stati fatti e rifatti. La popolazione giovane in età attiva, tra venti e
quarant´anni, si ridurrà di sei milioni nei due decenni avvenire.
Industria e agricoltura reclamano manodopera. Nei servizi, pubblici e
privati, c´è carenza di lavoro. Le famiglie vogliono aiuto domestico.
Onestà e lungimiranza vorrebbero che si facesse il seguente discorso.
"Abbiamo un crescente bisogno di immigrati che, fortunatamente, sono
disponibili in abbondanza. Possiamo quindi sceglierli, ammettendoli sulla
base delle loro capacità individuali e della loro volontà di
intraprendere un cammino, con obblighi e diritti, che li può condurre
alla piena integrazione nella società, con vantaggio generale. Questo
processo implica, oltre ai benefici della maggior crescita, anche dei
costi che non possono essere ignorati. L´integrazione richiede
investimenti per case, scuole, infrastrutture e servizi. Chiede anche
spirito di tolleranza e di comprensione per le lecite diversità di
cultura e di costumi degli immigrati. Il Governo, e la legge sull´immigrazione,
sono una garanzia che questo processo avvenga nel rispetto delle
regole". Il Governo ha invece imboccato la strada opposta. Si cela il
fatto, incontrovertibile, che crescita economica e debole demografia
implicano immigrazione crescente. Si lega il permesso di soggiorno al
contratto di lavoro, ipotizzando così una rapida rotazione degli
immigrati, col rientro in patria allo scadere del contratto. Si
restringono le possibilità di ricongiungimento familiare. Si allunga a
sei anni, invece di ridurre i già lunghi cinque anni attuali, il periodo
di soggiorno necessario per ottenere un permesso illimitato di residenza.
Si sposa una filosofia, fallita negli anni '60 in Germania, del lavoratore
ospite di breve periodo, che non investe nella sua integrazione (perché
dovrebbe imparare lingua, usi e costumi se deve rapidamente tornare in
patria?), che minimizza i costi sociali immediati, rimediando le
strozzature del mercato del lavoro. Si fa finta che un fabbisogno
strutturale sia, invece, un fenomeno transitorio. Ma che avverrà quando,
invece del milione e mezzo di immigrati non comunitari, ce ne saranno tre,
quattro o cinque o più milioni, in maggioranza senza radici, senza
famiglia, e senza interessi nel nostro Paese? |