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Un testamento biologico
per dire «basta alle cure»


La Biocard indicherà le terapie che uno desidera o rifiuta

ROMA - Era un rivolo carsico, voci che riaffioravano isolate. E’ diventato un fiume in piena, alimentato dalle convinzioni di personaggi di ogni estrazione, politica, culturale e religiosa. Testamento biologico, sempre più pressante la richiesta di uno strumento codificato che permetta ad ogni cittadino di decidere, all’inizio di una malattia dagli esiti infausti, come dovrà morire quando sarà svanita la speranza e se le sue condizioni gli impediranno di scegliere. Oggi se ne parla a Milano, Istituto europeo dei tumori, con Umberto Veronesi. Dopodomani in un convegno a Palazzo Madama, organizzano l’Associazione per le libertà e la Fondazione Einaudi. Occasione, quest’ultima, per presentare un disegno di legge di iniziativa bipolare (Antonio Del Pennino, repubblicano, e Natale Ripamonti, Verdi). La novità è il sostegno di Marcello Pera, filosofo della scienza prima che presidente del Senato, e dell’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato. Viene proposta, in attesa della legge, una Biocard, un modulo dove dettare disposizioni sulle future terapie che vorremmo o non vorremmo ricevere, una volta perse le facoltà mentali. Esempio: stop alla dialisi, a manovre di rianimazione, a farmaci non più efficaci, che prolungano uno stato irreversibile. Il medico dovrà eseguire, vincolato. L’iniziativa parte da Valerio Pocar, presidente della Consulta di bioetica. Originale l’elenco dei sottoscrittori, destra e sinistra, cattolici e laici insieme. I sindaci di Milano e Torino, Gabriele Albertini e Sergio Chiamparino, Sandro Bondi, portavoce di Berlusconi, Guglielmo Epifani, leader della Cgil, il premio Nobel Rita Levi Montalcini. E ancora, gli editorialisti Ernesto Galli della Loggia e Renato Farina, il magistrato Carlo Nordio, l’ex presidente delle comunità ebraiche Tullia Zevi, il sociologo del mondo musulmano Fouad Allam, lo show-man Fabio Fazio, lo storico Franco Cardini. Voci moderate, non estremisti. «Siamo stati attentissimi a lasciare fuori l’eutanasia, non c’entra nulla», distingue il senatore verde Luigi Manconi, presidente dell’associazione «A Buon Diritto», l’uomo che in Italia si è battuto più di ogni altro per il riconoscimento dell’autonomia del malato che farmaci e respiratori automatici continuano ostinatamente a tenere in vita. Il rischio è che le cure diventino accanimento terapeutico, vadano oltre, sospinte da una medicina iper-tecnologica.
Argomento all’ordine del giorno del Comitato di bioetica, il Cnb, chiamato ad esprimere un parere dal ministro della Salute Girolamo Sirchia, ostile ad ogni forma di dolce morte ma propenso al testamento biologico inteso all’americana: il «do not resuscitate», non resuscitatemi. Il documento è in alto mare: «Ci sono polemiche interne, alcuni vorrebbero limitare la libertà del paziente e mantenere la posizione di garanzia del medico, senza vincolarlo. Speravo in un documento unitario, non lo avremo», è deluso il laico Demetrio Neri, ordinario di bioetica a Messina, che coordina uno dei due sottocomitati, suo contraltare cattolico il filosofo del diritto Salvatore Amato. «Basta barricate - sprona Cinzia Caporale, fresca vicepresidente del comitato intergovernativo di bioetica dell’Unesco -. Deve giustificarsi chi si oppone al testamento biologico, non chi lo propone».
Francesco D’Agostino, presidente del Cnb, ribatte a titolo personale: «Se l’autonomia del paziente consiste nel rinunciare ad una cura dico sì. Il più delle volte però le sue decisioni prese prima della malattia sono generiche e allora viene chiamato in causa il tutore». D’Agostino ritiene che su temi estremi la legge non sia opportuna: «Affidiamoci alla deontologia del medico. Rientra nella sua cultura sospendere le cure, se inutili. Lavoriamo piuttosto per prevenire l’accanimento terapeutico».
mdebac@corriere.it

Margherita De Bac



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