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Scacco
in due mosse all |
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Breve
guida alle ultime mosse di Umberto Bossi: si scrive devolution, ma si legge
disgregation
Esattamente
a 18 Km e 200 metri da Predappio si trova la Fiera di Forlì. Qui, il 1° marzo,
come a sfidare certe pesanti memorie di centralismo autoritario, il ministro
Bossi è andato ad esporre l´ultimo suo progetto di spezzettamento dell´Italia.
Si lega strettamente tale progetto alla logica della devolution (quale tuttora
è davanti alla Camera, in attesa di essere affogata, com´è stato promesso, in
un «mare» di correzioni «di buon senso istituzionale»). La devolution, è
noto, vuole creare il self-service delle funzioni: nel senso che ogni Regione,
senza chiedere il permesso a nessuno, potrebbe «attivare» (come bizzarramente
si esprime la proposta) la sua competenza «esclusiva» per scuola, sanità e
polizia. Il nuovo progetto - che, per brevità e analogia, potrebbe chiamarsi
disgregation - vuole creare invece il self-service dei territori: nel senso che
se gli abitanti di un certo territorio decidono, un bel giorno, di non stare
bene dove stanno e vogliono perciò creare una nuova Regione, possono benissimo
farlo. Basta che i residenti presentino una richiesta di referendum e che la
maggioranza di essi approvi la proposta di secessione. Il governo sarà subito
dopo obbligato a presentare un disegno di legge conforme per sottoporlo al
Parlamento.
Come si vede, il meccanismo che il ministro per le riforme propone per
destabilizzare istituzionalmente il Paese è perfetto. Da un lato, con la
devolution, si provoca la disuguaglianza di funzioni fra una Regione e l´altra,
sbaraccando le garanzie che la Costituzione prevede anche per il più avanzato
regionalismo differenziato. Dall´altro, con la disgregation, si provoca una
permanente provvisorietà degli assetti territoriali, anche qui polverizzando le
garanzie che la Costituzione vigente prevede.
Quali sono queste garanzie costituzionali in via di estinzione? Con la
devolution (nella versione non ancora buttata a mare) saltano: l´intesa
preventiva con lo Stato; il mantenimento del patto di stabilità finanziaria
interregionale; il coinvolgimento dei Comuni della Regione; il consenso,
addirittura, del Parlamento nazionale.
Con la disgregation territoriale, salta, innanzitutto, in via generale, il
criterio di individuazione delle popolazioni «interessate». Esso era finora
comprensivo anche dei cittadini che dovrebbero subire il distacco (pur se
residenti in aree diverse da quelle oggetto del trasferimento). Adesso, per «popolazioni
interessate» si vorrebbe intendere solo i cittadini residenti nella zona che
dovrebbe distaccarsi. Saltano, poi, le garanzie contenute nell´art. 132 della
Costituzione: il coinvolgimento dei consigli comunali; l´iniziativa riferita ad
un terzo (ridotto ora ad un decimo) delle popolazioni «interessate».
Due caratteristiche combaciano nell´uno e nell´altro disegno. In primo luogo,
la dichiarazione di incapacità di rappresentanza politica nei confronti di
Province e Comuni. Essi non avrebbero alcuna voce in capitolo sia per i
cambiamenti di funzioni sia per quelli di territorio che pur direttamente li
riguardano. In secondo luogo, la creazione di un circuito chiuso di
autolegittimazione. Nel senso che, così come nella devolution chi «attiva» è
automaticamente titolare di nuove funzioni; così, nella disgregation, solo le
popolazioni da cui parte la richiesta di referendum sono anche quelle
automaticamente abilitate a parteciparvi.
Ora basta leggersi l´art. 29 della Costituzione tedesca che, in materia di
federalismo, dovrebbe far testo in Europa, per capire quanto il progetto sia
erratico. In primo luogo, perché evita accuratamente di introdurre condizioni
di efficienza per le Regioni da far nascere. Salvaguardia di «dimensione e
capacità funzionale», «convenienza economica», «esigenze della
pianificazione territoriale» sono requisiti che chiede la Costituzione della
Repubblica federale di Germania. Ma anche la Costituzione italiana ha ora
introdotto il principio di adeguatezza (art. 118) come necessario rapporto di
equilibrio tra organizzazione e risorse disponibili e i compiti che i governi
territoriali devono assolvere. Per il progetto è come se non ci fosse. In
secondo luogo, perché esclude in maniera assoluta i cittadini che subiscono il
distacco territoriale dal diritto di voto sul referendum. I tedeschi la pensano
diversamente. Nei loro Lander votano tutti: quelli interessati al distacco e
quelli controinteressati. E vi è anche, in casi estremi, una verifica delle
maggioranze tra i cittadini residenti nella zona interessata al distacco e i
cittadini dell´intero Land.
Per queste sue caratteristiche, la disgregation dell´on. Bossi presenta anche
un tratto che ulteriormente la armonizza con certi indirizzi legislativi dell´attuale
governo. Essa è una legge-provveddimento contro i giudici. Questa volta i
giudici della Corte costituzionale che hanno fissato, nella specifica materia
(fino alla recentissima sentenza n. 47 del 2003) la osservanza di un «principio
di ragionevolezza» nella individuazione del concetto di «popolazione
interessate». Principio che è l´esatto contrario della esclusione a priori di
certi cittadini, sancita nella nuova riforma pensata dal ministro per le
riforme.
Questo progetto è perciò, ad occhio nudo, incompatibile con la logica della
Costituzione, anche se esso userà la via della revisione costituzionale. In
tempo non sospetto, la Corte costituzionale ha posto precisi limiti sostanziali
ai tentativi di intaccare il nucleo duro identitario della Repubblica. Ora,
appunto, è qui in gioco il principio di unità repubblicana nel suo punto più
delicato: l´organizzazione territoriale. Si fa avanti infatti un confuso
principio di auto-determinazione, sganciato dalle «ragionevoli» condizioni
poste dalla giurisprudenza costituzionale (esigenze di fatto, inclusione di
tutti i cittadini interessati). Si rischia di aprire un «gran bazar» di
rivendicazioni localistiche, nefasto e costoso alla luce della storia fragile e
accidentata del nostro Paese. La legge finale parlamentare rischia di avere solo
un ruolo di accogliente ratifica, come dimostra la lunga esperienza della
proliferazione delle province.
Ma cosa può aver spinto, in questi tempi cupi, l´on. Bossi ad aggiungere
disgregation a devolution, a complicare così le rotture di sistemi nazionali
(scuola, sanità, pubblica sicurezza) con la spinta a referendum facili per ogni
«indipendentismo» territoriale?
Si deve ritornare allora a Forlì e da Forlì alla Romagna intera. Il primo
esperimento di disgregation sarebbe appunto quello di staccare, ad est, la
Romagna dall´Emilia. Il secondo esperimento sarebbe quello di staccare, ad
ovest, Parma e Piacenza dall´Emilia per creare, con altri pezzi di territorio,
il puzzle della regione Lunezia. C´è una logica in queste alchimie. Sparirebbe
infatti così la macchia rossa della «regione più rossa» nel bel mezzo dell´Italia.
Anche se forse è solo una illusione che, indetto referendum, Romagna e
Granducato abbandonerebbero Bologna. E ancor più forte illusione che, pur
squartato in tre come il Kurdistan, l´inespugnabile bastione rosso diventerebbe
espugnabile. Comunque, Vasco Errani, il bravo governatore dell´Emilia-Romagna,
potrebbe chiedere intanto una risoluzione dell´Onu per garantire l´integrità
territoriale della sua regione...
Certo, su queste cose si può anche scherzare. Ma il vero grottesco di questa
vicenda è che sono vere. Sono già in parlamento o pronte per andarci. «La
Repubblica, una e indivisibile», come dice la Costituzione, è, per ora, in
queste mani. God bless Italy.