Il cambio della dirigenza nei
ministeri grazie all’applicazione dello "spoils system" è
stato sin qui discusso con riferimento a problemi di legittimità
giuridica e di opportunità politica. Un tema sin qui gravemente
trascurato è quello dell’efficienza dell’ attività
governativa e dell’efficienza della macchina pubblica, quest’ultima
intesa come un’ organizzazione i cui lavoratori sono soggetti a
problemi di incentivazione e di coordinamento.
Un livello ottimale di spoils
system.
Dal punto di vista
dell’efficienza di un sistema democratico, un governo legittimamente
eletto deve avere il diritto di essere assistito da una apparato
burocratico non ostile, e in qualche misura efficace ad implementare gli
obiettivi del governo stesso. Dunque, un certo ammontare di "spoils
system" è efficiente e desiderabile dal punto di vista sociale.
Disastroso, dal punto di vista dell’efficienza democratica, sarebbe
infatti un sistema che potesse generare un esecutivo boicottato da una
burocrazia ostile (si veda Cerbo).
Tuttavia un eccessivo turnover dei dirigenti pubblici può produrre
importanti problemi di incentivo e coordinamento degli apparati
burocratici, generando, a sua volta, disfunzioni nell’amministrazione
pubblica (si veda Cassese).
In altre parole, se è desiderabile un certo ammontare di "spoils
system", bisogna d’altronde evitare una regola che imponga il
cambiamento di tutti i dirigenti pubblici. Insomma, siamo di fronte
ad un classico trade-off, la cui soluzione ottimale richiede di
soppesare costi e benefici relativi delle varie opzioni.
Di qui la domanda: oggi in Italia
c’è troppo o troppo poco "spoils system"? E’
stata la legge applicata in modo ragionevole? E’ difficile rispondere
in maniera univoca a queste domande, ma da una prima analisi è
possibile sostenere che forse si è esagerato, non solo nei numeri, ma
soprattutto nel modo con cui la legge è stata applicata.
Cosa suggeriscono i dati?
Cominciamo dai numeri.
L’entità del fenomeno non è trascurabile. Con le norme del
1998-99 furono esonerati dall’incarico circa il 16 per cento dei
direttori generali e circa il 2 per cento dei dirigenti (1). Con le
ultime norme, è cambiato circa il 40 per cento dei posti di dirigenti
generali (2). Ma non solo, in molti casi si tratta di riconferme a breve
termine. Prendiamo il caso emblematico del Ministero dell’ Istruzione
, dell’università e della ricerca. Nel settore Istruzione sono
previsti 28 posti di dirigente generale. Solo 12 di essi (pari al 40%)
sono stati confermati, ma per 6 di essi la conferma è per una durata di
5 mesi(sic!). Se considerassimo un contratto a 5 mesi come una
sostanziale non riconferma la percentuale dei rimossi sale al 78% (3).
Una vera e propria decapitazione, tipica dei migliori take over
nel settore privato. E meglio non è andata ai neo assuntidi cui due
hanno ottenuto un nuovo contratto per soli 5 mesi.
Vi è stato quindi un uso accentuato
della flessibilità introdotta dal passaggio alla natura privata del
contratto con i dirigenti, cui consegue una più evidente
precarizzazione della stessa prestazione lavorativa. Riteniamo però che
la strada applicata, alla luce dei numeri sopra menzionati, ponga dei
seri problemi, che possono essere ravvisati sotto due aspetti:
a)
Riduzione degli incentivi all’ acquisizione di competenze
istituzionali da parte della dirigenza
b) Rischio
di funzionamento a singhiozzo della pubblica amministrazione.
Effetti sull’acquisizione di
competenze istituzionali
L’analisi economica
suggerisce l’esistenza di un conflitto tra l’incentivo individuale
ad acquisire competenze relative all’organizzazione, e le prospettive
di carriera. Indipendentemente da come vengono assegnate le posizioni
apicali (per anzianità di servizio, o per risultati conseguiti), i
lavoratori appaiono tanto più incentivati ad acquisire competenze
specifiche e istituzionali quanto più percepiscono che le stesse
potranno essere utilizzate in futuro. Le direzioni d’impresa nel
settore privato sono ben coscienti di questo meccanismo, al punto che
spesso ricorrono a sistemi indiretti per assicurarsi la permanenza in
azienda dei dipendenti: tipico è il caso delle pensioni aziendali,
riscuotibili solo dopo aver maturato un periodo sufficientemente lungo
di anzianità aziendale. La precarizzazione del rapporto di lavoro, per
quanto compensata monetariamente (4), riduce totalmente gli incentivi ad
acquisire competenze idiosincratiche all’organizzazione, specialmente
in un ambito quale la pubblica amministrazione, dove i costi di
apprendimento sono molto elevati. E le conseguenze non si riflettono
tanto sulla generazione corrente di dirigenti (cui può aver fatto
relativamente comodo lo scambio precarizzazione/maggior retribuzione,
visto che le competenze comunque erano state acquisite), quanto sugli
incentivi futuri a far carriera all’interno della pubblica
amministrazione. Qual è l’attrattiva di un percorso di carriera che
assicura in 1 caso su 5 di venir scavalcato da qualcuno proveniente
dall’esterno (e con buona probabilità per meriti di tipo politico e
non di competenza) e in 4 casi su 5 il licenziamento al momento del
raggiungimento della posizione apicale? Lungi da noi l’auspicare il
ritorno all’inamovibilità dei dirigenti generali. Tuttavia, riteniamo
che si debbano mantenere gli incentivi giusti per favorire una
formazione di competenze all’interno delle carriere maturate nella
pubblica amministrazione, per esempio ricorrendo alla formazione di
liste di idonei per concorso e/o per merito e/o per anzianità.
Effetti sul funzionamento della
macchina pubblica
L’altro aspetto riguarda le
possibili conseguenze sul funzionamento di un organizzazione complessa,
quale la pubblica amministrazione, che viene periodicamente decapitata.
Nella migliore delle ipotesi questo sistema produce un decentramento
sostanziale delle responsabilità decisionali: nelle more delle nomine,
riconferme, nuove nomine, presa di servizio dei nuovi dirigenti,
familiarizzazione con l’apparato, i dirigenti sottoposti ed i
direttori di comparto dovranno assumere decisioni di non loro
competenza, solo per assicurare il minimo funzionamento della macchina
pubblica. Più probabilmente, la decapitazione del primo e secondo
livello della macchina pubblica genererà un funzionamento a singhiozzo
della pubblica amministrazione. Ad ogni rinnovo si deve attendere
l’esercizio di una effettiva capacità direzionale da parte dei nuovi
dirigenti; e non siamo lontani dal vero se ipotizziamo che questo
richieda un lasso temporale di almeno 6 mesi, ovvero un sesto della
durata contrattuale massima per i dirigenti generali (che si abbassa ad
un decimo per i dirigenti ordinari). Per minimizzare il rischio del
funzionamento a singhiozzo, sarebbe necessario ridurre il tempo che
intercorre tra l’insediamento dell’esecutivo e l’applicazione
totale dello "spoils system". Diciotto mesi appaiono
decisamente troppi, tenendo conto che lo stesso esecutivo necessita di
un periodo fisiologico per iniziare a operare a pieno ritmo.
In sostanza, guardando all’entità
del fenomeno e al modo in cui è stato gestito dall’attuale esecutivo,
riteniamo che lo "spoils system" italiano rischi seriamente di
generare costi superiori ai benefici, peggiorando così il
funzionamento dell’apparato pubblico, e provocando un risultato
opposto a quello per cui era stato inizialmente concepito. Non si tratta
di rimettere in discussione la logica attuale del sistema, che punta a
risolvere un problema reale dato dalla separazione delle competenze e
dalla loyalty della dirigenza, tuttavia che l’introduzione (più
corretto sarebbe parlare di reintroduzione, visto che la norma
preesisteva alla riforma del 2002) di una soglia minima di durata
dell’incarico (diciamo di due o tre anni e di una massima
corrispondente alla durata del governo) servirebbe ad attenuare gli
effetti negativi che abbiamo delineato. Tale durata, infatti, potrebbe
rendere accettabili i costi di apprendimento relativi alla nuova
posizione da parte del dirigente neoincaricato e offrire un orizzonte di
programmazione sufficiente per il dirigente riconfermato. D’altro
canto, l’organizzazione della burocrazia pubblica non verrebbe
rivoluzionata troppo di frequente, permettendo l’instaurarsi di
routines organizzative sperimentate.
(1) Si veda S. Cassese, articolo
in corso di pubblicazione sul Giornale di diritto amministrativo,
n.12/2002 edito dall’Ipsoa.
(2) Su 387 dirigenti generali, solo
232 sono stati confermati, pari al 59.9 per cento. I restanti sono stati
affidati per metà ad esterni (21.9 %), mentre i dirigenti rimossi sono
stati assegnati ad altri incarichioppure hanno avuto incarichi di studio
di durata massima annuale. Fonte: Comunicato Stampa Ministero della
Funzione Pubblica.
(3) I numeri aumenterebbero se considerassimo anche i 5 dirigenti del
settore università, tutti riconfermati per soli 5 mesi.
(4) Vale la pena di ricordare che i dirigenti hanno ottenuto con le
nuove norme un raddoppio del loro stipendio, passato da 62-72mila euro
annui a 114-124mila euro per anno.
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