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Palazzo Chigi prepara un emendamento «salva patria» per tutelare le prestazioni sociali su tutto il territorio
Il governo rischia sul federalismo fiscale
Bossi vuole una delega per la riforma, il Colle frena, Tremonti preoccupato per i conti

 

dal Corriere - 18 novembre 2002


ROMA - E’ vero che ha firmato insieme con Fini la nuova legge sull’immigrazione, ed è vero che nella maggioranza vanta una posizione privilegiata per l’asse con Berlusconi, ma Bossi è pronto a tornare da dove è venuto, «nelle piazze», se fallisse la missione sulla riforma federale, perché quella è la ragione sociale della Lega, ed è la motivazione politica di cui si è servito per spiegare ai «padani» l’alleanza con il Cavaliere. Non c’è vertice, non c’è colloquio che si concluda senza che il capo del Carroccio ripeta il suo ultimatum, e non c’è volta che il premier non lo rassicuri, come ha fatto pubblicamente nei giorni scorsi, annunciando «l’impegno del governo per l’Italia federale». Tuttavia il Senatùr è consapevole delle difficoltà: nell’immediato il problema non è legato ai tempi di approvazione da parte del Parlamento, sa perfettamente che non riuscirà a varare la devolution entro l’estate del 2003. Il punto è che quell’architettura costituzionale senza il federalismo fiscale sarebbe una scatola vuota, e Bossi non intende comporre un’incompiuta, perciò considera l’autonomia impositiva «il padre di tutti i federalismi», perciò sta premendo su Tremonti, l’alleato più stretto. Vuole una prova di fedeltà, «bisogna chiedere al Parlamento una delega per il federalismo fiscale, che marci di pari passo con la riforma del fisco». Il ministro delle Riforme non ne fa mistero, nei giorni in cui la Camera votava la Finanziaria, ha teorizzato che «se lasciassimo devolution e federalismo fiscale in balia dell’ostruzionismo parlamentare, alla fine non se ne farebbe nulla. Quindi è opportuno che il governo disponga di una delega per andare più spedito». La delega è la garanzia che il leader leghista chiede al ministro dell’Economia prima di avvisare gli altri alleati, ma tanto il primo appare scettico, quanto i secondi saranno probabilmente poco disposti ad assecondarlo, non solo per le perplessità sul disegno, ma anche perché si rendono conto che la mossa potrebbe scatenare la reazione del Parlamento, per nulla disposto a farsi svuotare delle proprie prerogative su una materia così delicata e importante.
ALLEATI NON ALLINEATI - Negli ultimi tempi non sono bastate le parole di Tremonti a placare l’inquietudine di Bossi, sebbene il titolare del Tesoro gli abbia spiegato che «alla fine si arriverà al federalismo fiscale», che «chi si illude di insabbiarlo sta facendo male i suoi conti, perché sono le Regioni che spingeranno in quella direzione, Umberto. Vedrai, anche i Ds dovranno accettarlo, sotto la pressione dei governatori dell’Emilia Romagna e della Toscana». Sia chiaro, il ministro dei rapporti con la Lega crede e lavora perché si arrivi alla riforma federalista dello Stato, ma la delega è uno strumento devastante, rischia di destabilizzare la stessa coalizione, dove già si avvertono sinistri scricchiolii. Ieri, durante la convention di Destra protagonista, il portavoce di An Landolfi e il responsabile per gli enti locali del partito Bocchino hanno mandato un segnale agli alleati, avvisandoli che sul federalismo «bisogna procedere con molta cautela», perché «qui si gioca con l’unità del Paese e soprattutto con l’identità nazionale».
I due dirigenti della destra hanno preso come spunto il tema del trasferimento dallo Stato alle Regioni delle competenze in materia scolastica. Ma è chiaro che la sortita non è stata casuale. Il portavoce di An è il ventriloquo di Fini, di lui si serve il vicepremier quando deve intervenire sulle questioni più spinose, e le parole pronunciate da Landolfi sono parse una risposta al messaggio del premier di qualche giorno fa. Di più. I timori sull’«unità» e l’«identità nazionale» sono gli stessi sollevati dal Colle nei colloqui riservati con autorevoli rappresentanti del centrodestra: «Ciampi - raccontano infatti fonti della maggioranza - è preoccupato che si sfasci lo Stato. Il guaio è che il combinato disposto della riforma federalista varata dall’Ulivo e della devolution, rischia di trasformarsi in una miscela esplosiva. Bossi se n’è reso conto, ma prima di pensare a un riequilibrio del sistema vuole che il suo pacchetto di leggi sia approvato».
IL COLLE E IL CAVALIERE - Il Quirinale è dunque della partita, e pare abbia anche iniziato a giocarla. Non è dato sapere con certezza se sia frutto delle sue pressioni l’artifizio procedurale attuato dal presidente del Senato la scorsa settimana, è certo però che la decisione di Pera di inserire tra i lavori dell’aula di palazzo Madama anche altri provvedimenti oltre la devolution, ha mandato su tutte le furie il vicepresidente dell’Assemblea, il leghista Calderoli: «Qualcuno sta tentando di impantanare tutto». In effetti, essendo stati incardinati anche altri disegni di legge, oltre la riforma federalista, non è affatto detto che nei prossimi giorni il Senato torni a parlare di devolution. Il Carroccio ha già pronta la contromisura: se Pera tentasse di far scivolare in fondo all’agenda l’esame del provvedimento costituzionale, allora chiederebbe l’inversione dei lavori. E sarebbe difficile per gli alleati non accodarsi alla richiesta.
Ma le iniziative del Colle non si sviluppano solo nei palazzi delle istituzioni. Le preoccupazioni di Ciampi devono essere giunte anche a palazzo Chigi, se è vero che il governo avrebbe messo a punto un «emendamento salva-patria». Così chiamano nell’esecutivo la norma che dovrebbe «armonizzare» il progetto bossiano, e che servirebbe a «garantire» la difesa dei valori e dei principi dell’unità nazionale, ma anche a tutelare «i livelli essenziali delle prestazioni sociali su tutto il territorio nazionale»: un richiamo esplicito ai diritti scolastici e sanitari, che devono essere validi in tutto il Paese. Dicono che Berlusconi sia d’accordo, e che però sia stretto in mezzo a una tenaglia: conscio di dover tenere le redini dello Stato, è però preoccupato della tenuta del legame con Bossi.
RIFORME SENZA SOLDI - E per un Bossi che invita il governo a chiedere la delega sul federalismo fiscale, c’è un Tremonti in allarme per l’impatto che la riforma avrebbe sulla finanza pubblica. Il timore del ministro dell’Economia pare sia legato alla fase di passaggio delle competenze e delle risorse dallo Stato alle istituzioni locali: nel periodo intermedio c’è il rischio più che fondato di una duplicazione delle strutture e dunque delle spese. I costi potrebbero mettere in ginocchio le casse del Paese. Vizzini, presidente della Commissione bicamerale per le questioni regionali, favorevole al processo devolutivo, è balzato sulla poltrona quando ha ricevuto dai suoi uffici lo studio del preventivo di spesa: «Per far partire la riforma servono dieci miliardi di euro», cioè mezza Finanziaria, «e in più c’è il nodo legato alla sorte delle migliaia di lavoratori dei ministeri, che con la riforma verrebbero smantellati». Ma non è finita, perché finora nessuno ha dato una risposta al quesito del ccd D’Onofrio: «Se il federalismo fiscale venisse applicato, chi si accollerebbe il debito pubblico?».
Ecco il ginepraio dal quale il governo dovrà uscire entro il 30 aprile dell’anno prossimo, come prevede l’articolo 3 della Finanziaria. E’ per quella data - quando l’esecutivo sarà tenuto a presentare alle Camere un progetto di federalismo fiscale - che il Senatùr vorrebbe da Berlusconi la prova di fedeltà, è per quella data che Tremonti dovrebbe chiedere la delega. La strategia del leader leghista è chiara: punta a varare il suo pacchetto di riforme costituzionali non a primavera ma in autunno. Ed essendo una riforma costituzionale, è pressoché certo che si andrebbe a un referendum confermativo. Solo così Bossi potrebbe presentarsi all’incasso di voti tra i «padani» alle Europee del 2004. Solo così Berlusconi eviterebbe di ritrovarsi il Carroccio come avversario «nelle piazze», in Parlamento e nelle urne.
Francesco Verderami