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Il Federalismo nella palude e la scommessa persa dell'Italia
Regioni e comuni sono un terreno dove maggioranza e opposizione possono collaborare
A un anno dal voto della riforma questa ricchezza sociale e politica è inutilizzata
ANDREA MANZELLA

 

da Repubblica - 8 ottobre 2002


Il referendum di un anno fa. Il referendum nel Nordest. La finanziaria. Tre cose apparentemente lontane ma in realtà vicinissime. Perché tutt´e tre legate alla questione della governabilità italiana. Alla maniera con cui si sta attuando il nostro federalismo.
È una maniera confusa e cattiva. Eppure potrebbe essere questa un´area ideale d´intesa tra maggioranza e opposizione. Perché le istituzioni territoriali, a differenza di quelle centrali, non hanno un solo colore. La geografia politica italiana è cangiante e variegata. Dare una struttura funzionale a regioni, province e comuni è nell´interesse di tutti. Poi, a parità di macchine, si vedrà chi sono i piloti migliori.
Ha tanto più senso questa intesa fra i duellanti, in quanto, ormai e sempre più, il sistema-paese non dipende dagli apparati centrali. Esso esprime l´efficienza complessiva d´un pluralismo istituzionale ed economico che è esso stesso il "centro", senza più "periferie" né "deserti" provinciali.
Promuovere e sviluppare questo pluralismo territoriale non è un capriccio o un bisogno di marca italiana. Se c´è una necessità dappertutto riconosciuta in tempi di globalizzazione è proprio quella della riorganizzazione del territorio in nuclei produttivamente e culturalmente coesi. In grado di sfruttare al meglio le risorse pubbliche (locali, nazionali, europee). Capaci d´attivare investimenti e immigrazione. Idonei a segnare una cornice di sicurezza per le persone e le famiglie. È il connubio, ormai non più misterioso, tra il globale e locale. È per questo che qualsiasi abbecedario istituzionale racconta d´un vertiginoso processo di regionalizzazione che investe l´intera Unione europea (dove la promozione di soggetti territoriali efficienti è legata al bisogno di piani regionali di coesione e di sviluppo).
Ma l´Italia, di suo, in questa diffusione di strutture federali, ci mette la straordinaria intensità della dimensione comunale. "Stato regionale a tendenza municipale", com´è stata definita. Che, dunque, nel confronto tra sistemi, potrebbe mettere a frutto anche questa sua storia. L´Italia non ha bisogno, come si dice in Francia, di ripartire "dal basso". Dato che la "vera" Italia istituzionale è da sempre lì: negli 8000 e passa comuni. Le regioni come federazioni di comuni.
Eppure le meschinerie della politica s´accumulano l´una sull´altra, consolidando rancori e suscitando rivalità in una zona per sua natura destinata a un lavoro cooperativo.
Fra pochi giorni, il 7 ottobre, sarà un anno che il corpo elettorale ha approvato con il 64 per cento dei voti, la riforma federalista. Non era accaduto mai, nella storia dell´Italia unita, che un pezzo di Costituzione fosse adottato con voto popolare. Prima del corpo elettorale, vi era stato però sulla riforma il "sì", quasi una co-decisione, dell´intero sistema delle autonomie, senza distinzione di partiti. Ma, prima ancora, le formule accolte nella riforma erano state discusse e approvate dalla Commissione bicamerale e poi dalla Camera dei Deputati nel febbraio-aprile 1998. Due mesi dopo saltava quel tavolo di regole ma le regole che si erano scritte assieme rimasero scritte... Come si fa ancora a dire, dopo questa storia circostanziata, che quella riforma fu solo il frutto frettoloso di una risicata maggioranza in Parlamento? È questo un piccolo frammento di verità formale che cerca di nascondere, imbrogliando, i cinque anni di gestazione "aperta" della nostra riforma federale.
Certo, un meccanismo così complesso è sempre migliorabile. Ormai, come ogni macchina, anche le parti organizzative delle Costituzioni, sono soggette a periodiche revisioni. Ma come si fa a pensare che le rettifiche debbano cominciare con lo smontare l´elezione diretta dei presidenti-"governatori"? Ognuno può constatare che proprio l´elezione diretta ha dato stabilità di legislatura e, insieme, vincolato la responsabilità finanziaria dei governi regionali. Si stanno confermando tutte le analisi d´economia delle istituzioni. Le analisi che vedono i maggiori rischi della spesa pubblica nell´opacità dei sistemi proporzionali e puntano invece sulla trasparenza della responsabilità personale di chi è eletto direttamente.
Soltanto infatti con la piena assunzione di responsabilità "nazionale" da parte dei "governatori" e dei sindaci, si sono potuti stipulare i due "patti" fondamentali che sono la vera "costituzionale materiale" che regge i rapporti tra Stato e sistema delle autonomie territoriali. Uno è il "patto di stabilità interna", sottoscritto nella legislatura di centro-sinistra, che riproduce su scala regionale e locale vincoli e criteri del patto di stabilità europea.
L´altro è l´"accordo interistituzionale", concluso in questa legislatura di centro-destra, per un´ordinata e graduale attuazione della riforma.
È vero che, rispetto alla piena luce su sindaci e presidenti di regione e provincia, vi è il cono d´ombra in sui soffrono i consigli territoriali. Come, del resto, i parlamenti: in regimi sempre più di democrazia diretta e non mediata.
Ma la strada per l´equilibrio passa per un creativo ammodernamento delle funzioni delle assemblee elettive, non per il ritorno a governi territoriali impotenti, che la mediazione partitica sfiniva prima ancora che cominciassero a lavorare.
Lo ha capito perfettamente domenica scorsa la "minoranza attiva" degli elettori del Friuli-Venezia Giulia che ha sotterrato con il 73 per cento dei voti l´idea di una retrocessione al passato.
È invece una rottura in avanti, quella che si tenta con il disegno di legge, detto di devolution. La cui prospettiva è l´implosione del quadro costituzionale federalista e l´abbandono del principio di unità repubblicana.
Il fine apparente della devolution è creare una sorta di regionalismo differenziato. Ma la Costituzione, approvata con il referendum del 7 ottobre, già prevede la possibilità che ci siano regioni "più robuste" delle altre in determinate materie. Solo che questa previsione è circondata da tre garanzie fondamentali. Che la "differenziazione" sia approvata dal Parlamento nazionale con legge a maggioranza rinforzata. Che siano consultati province e comuni della regione. Che siano rispettati i canoni d´equilibrio e solidarietà del federalismo fiscale. Nessuna di queste tre garanzie è rispettata nella devolution. Le regioni che vogliono più competenze se le prenderanno, con la Costituzione ridotta a self-service, senza passare dal Parlamento nazionale. La ponderazione degli interessi di comuni e province non è prevista: come se il nostro federalismo regionale non dovesse sempre tenere conto di quel vincolo municipale che è vecchio come l´Italia stessa. La solidarietà fiscale è saltata come un optional. La filosofia del neo-separatismo è tutta in queste omissioni: più che in qualsiasi programma. E nessuno, sinora, è riuscito a spiegare come questo progetto eversivo, possa conciliarsi con quel disegno di "normale" attuazione della riforma federale nel frattempo presentato dal ministro per le regioni.
In questo quadro viziato da omissioni e distorsioni, s´inserisce la finanziaria 2003. La cui "delusione maggiore" - come ha scritto Giacomo Vaciago sul Sole-24 Ore - è proprio quella di "non esser riusciti a concordare una strategia economica condivisa tra i livelli di governo che, con pari dignità, costituiscono la Repubblica". È infatti una legge di sospetto.
Vi è, da un lato, la denuncia generica di "sprechi", accomunando nei tagli governi territoriali virtuosi e quelli che non lo siano. Dall´altro, la stupefacente distinzione tra enti locali e cittadini: come se le restrizioni imposte a quelli non si traducessero in minori o peggiori servizi per questi.
E, infine, come botto maggiore in fuoco d´artificio, la surreale "promessa" d´un federalismo fiscale che già è scritto nell´articolo 119 della nuova Costituzione. E che, dunque, non doveva essere smentito, almeno nei suoi termini fondamentali, dalla legge finanziaria soprattutto per la fondamentale "priorità nazionale" del Mezzogiorno. Mentre i "principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" che la norma costituzionale richiede sono ancora "incommissionati"...
È per queste inadempienze che la maggiore riforma d´ammodernamento strutturale del Paese trasmette un´immagine di disordine e di rischio. A Venezia, la signora Lucia Massarotto ha messo quest´anno il lutto al tricolore esposto dalla sua casa contro i simboli della devolution separatista.
Aveva ragione, il pericolo c´è