Il tasso di occupazione tra i 55
e i 64 anni in Italia raggiunge appena il 28 per cento. Questo
livello, il più basso in Europa dopo il Belgio, preoccupa poiché
eccessive uscite precoci dal mercato del lavoro minano la
sostenibilità del sistema pensionistico, che si fonda sui
contributi dei lavoratori attivi. Un’analisi più articolata di
questo tasso di occupazione mostra tuttavia che non sempre si
tratta di uscite precoci e che non tutte le uscite precoci
corrispondono a brevi carriere lavorative.
Occupazione femminile: più
mancati ingressi che uscite precoci
Come si può vedere dal grafico,
il valore molto basso del tasso di occupazione totale in Italia si
deve in larga misura alla componente femminile: il tasso
supera di poco il 15 per cento, contro valori tripli in Gran
Bretagna e Danimarca (paesi che hanno già raggiunto l’obiettivo
del 70 per cento di occupati per la popolazione da 15 a 64 anni
fissato per il 2010 dal Consiglio di Lisbona e che hanno un
sistema pensionistico in equilibrio). Invece, per i maschi il
distacco dell’Italia, pur rilevante, è decisamente inferiore: i
tassi di Gran Bretagna e Danimarca sono superiori solo del
50 per cento a quello italiano, che nel 2001 sfiora il 40 per
cento. Per le donne italiane ultra 55enni, però, più che di
uscita precoce dovuta a un sistema pensionistico lassista, si
tratta di mancata partecipazione al mercato del lavoro, poiché
nella generazione che aveva dai 20 ai 30 anni tra la fine degli
anni Sessanta e i primi anni Settanta la percentuale di casalinghe
raggiunse il livello più elevato.
Tra i maschi anziani, ancora
troppi poco istruiti
Ma anche per i maschi il
distacco nel tasso di occupazione italiano dagli altri paesi
europei non è generale, poiché si deve essenzialmente ai meno
istruiti, il cui tasso nel 2001 supera appena il 33 per cento
contro valori intorno al 50 per cento per Gran Bretagna e
Danimarca. Invece, per i diplomati il distacco è decisamente
inferiore (12-15 punti percentuali) e per i laureati è minimo con
la Danimarca (8 punti) e addirittura nullo con la Gran Bretagna.
È ragionevole ritenere che il tasso di occupazione degli italiani
poco istruiti sia particolarmente basso poiché si tratta per
oltre la metà di persone con la sola licenza elementare, mentre
per la stessa generazione negli altri paesi europei i poco
istruiti sono andati quasi tutti a scuola sino a 14-15 anni.
L’uscita dal mercato del
lavoro è infatti fortemente legata al livello di istruzione
non solo perché a un ingresso precoce corrisponde un’uscita
precoce, dopo una carriera lavorativa che può non essere affatto
breve. Ma anche perché i meno istruiti sono confinati nei lavori
più dequalificati e gravosi e non hanno basi culturali per
aggiornarsi; quindi, oltre 50 anni diventano obsoleti e poco utili
per le imprese.
Considerando la composizione per
livello di istruzione, il tasso di occupazione totale dei maschi
da 55 a 64 anni risulta in Italia particolarmente basso poiché in
questa fascia di età prevalgono ancora in modo schiacciante i
poco istruiti: quasi i tre quarti contro poco più di un quarto in
Gran Bretagna e Danimarca. Dunque, si può concludere che anche
per i maschi italiani il basso tasso di occupazione non si spiega
soltanto con il lassismo del sistema pensionistico, sebbene esso
riveli i suoi irrisolti problemi: negli anni Novanta per tutti i
livelli di istruzione il tasso di occupazione da 55 a 64 anni in
Italia è declinante, al contrario di quanto accade in quasi tutti
gli altri paesi europei.
Buone prospettive a
medio-lungo termine, ma gravi difficoltà a breve
Se l’attuale basso livello del
tasso di occupazione in Italia si deve in larga misura all’ancor
forte presenza nella generazione da 55 a 64 anni di donne che sono
sempre state casalinghe e di uomini poco istruiti, sono in atto
tendenze che nell’arco di 10-15 anni porteranno ad un aumento
spontaneo del tasso di occupazione. Quando le generazioni che
avevano vent’anni alla fine degli anni Settanta - allorché
decollarono la partecipazione femminile al lavoro e la scolarità
superiore - raggiungeranno 55 anni, allora il tasso di occupazione
totale in Italia si avvicinerà ai livelli britannici e danesi
anche senza interventi specifici per promuovere o imporre una più
avanzata età di ritiro dal lavoro. Ma gli studiosi del sistema
pensionistico ci dicono che sarà tardi per gli equilibri
finanziari.
Invece, a breve termine le
difficoltà di aumentare il tasso di occupazione da 55 a 64 anni
sono immense, nonostante gli impegni presi in modo
approssimativo in sede europea dal Piano nazionale per
l’occupazione (LINKBrugiavini). Per quanto riguarda le donne,
difficile trovare una soluzione poiché è impossibile che
casalinghe cinquantenni si mettano a lavorare per la prima volta.
Anche interventi per costringere le "poche" donne
occupate over 50 anni a restare al lavoro 8-12 in più avrebbero
uno scarso impatto sul tasso di occupazione totale. Quanto ai
maschi, i pochissimi laureati ultracinquantenni (neppure il 10%,
la metà di Gran Bretagna e Danimarca) hanno già un tasso di
occupazione sui massimi livelli europei e anche per i pochi
diplomati (meno del 20 per cento e della metà di Gran Bretagna e
Danimarca) portare il loro tasso di occupazione ai livelli massimi
europei avrebbe uno scarso impatto.
Il problema è quello della gran
massa dei maschi ultracinquantenni poco istruiti, per lo più
con la sola licenza elementare. Per alzare davvero a breve
scadenza il tasso di occupazione globale in misura significativa,
bisognerebbe portare il loro tasso di occupazione molto oltre i
livelli massimi raggiunti dagli altri paesi europei, aumentandolo
di oltre il 50 per cento. È un’impresa ardua, poiché si tratta
di persone che non solo hanno iniziato a lavorare molto presto e
quindi con una lunga carriera previdenziale, ma anche per lo più
con caratteristiche professionali che li rendono sempre meno
richiesti dal sistema produttivo.
Tuttavia, se ad un sistema
pensionistico che incentivi stabilmente un’uscita meno precoce
si accompagnassero interventi diretti a rendere i lavoratori
anziani sia più "appetibili" per le imprese
sia più "attaccati" a un lavoro gratificante, sarebbe
possibile ottenere buoni risultati, soprattutto considerando che
l’uscita precoce dal lavoro dei maschi poco istruiti si
concentra paradossalmente nelle regioni settentrionali ove
l’offerta di lavoratori è sempre più carente. Ma su questo
paradosso occorrerà tornare.
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