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Come evitare i rischi di programmismo
CINQUE IMPEGNI PER I CENTO GIORNI
di FRANCESCO GIAVAZZI
 

  dal Corriere - 26 novembre 2005


Nella campagna elettorale del 2001 Silvio Berlusconi assunse molti impegni con gli elettori: meno tasse, strade, ponti, posti di lavoro e così via. Tutti li ricordiamo e prima di andare a votare ognuno di noi deciderà se e in che misura il suo governo ha mantenuto quelle promesse. Come hanno osservato sul Corriere Angelo Panebianco e Dario Di Vico, chiedere che chi mira a governare assuma qualche impegno preciso è importante per varie ragioni. I programmi elettorali pochi li leggono, e nessuno li ricorda: impegni puntuali rendono invece più facile agli elettori valutare coloro per i quali hanno votato. Ma legarsi le mani con qualche impegno preciso conviene anche a chi governerà perché lo rafforza nei confronti delle mille lobby che cercheranno di bloccare la sua azione.
Comincerò quindi ponendo cinque questioni specifiche: l'azione di un governo non potrà certo limitarsi a questi pochi punti, ma è un modo per cominciare.
1) Per migliorare la qualità delle nostre università, l'unico modo è metterle in concorrenza l'una con l'altra. Chi mette in cattedra delle «capre» solo perché amici del preside o del rettore deve sapere che rischia di restare senza studenti. Ma per arrivarci bisogna abolire il valore legale della laurea, come in Gran Bretagna, dove le università sono le migliori d'Europa. Il ministro Moratti si è sempre opposto. Chi ha il coraggio di impegnarsi a farlo?
2) Per introdurre un po' di concorrenza nelle professioni è necessario eliminare gli albi. Chi ha il coraggio di cominciare cancellando uno dei più inutili ma anche dei più difficili, l'albo dei giornalisti?
3) La concorrenza dipende dalle leggi, ma anche dalla qualità e dall'indipendenza delle persone nominate a presiedere le autorità, dall'Antitrust alla Banca d'Italia. Un anno fa l'Antitrust multò Telecom Italia per abuso di posizione dominante. Quella multa fu prontamente annullata dal Tribunale amministrativo del Lazio con una sentenza che entrò nel merito della sanzione anziché limitarsi a verificarne la correttezza formale come la legge vorrebbe. Trascorse qualche settimana e il presidente di quel Tribunale fu nominato a presiedere l'Autorità per le Comunicazioni. Romano Prodi ha illustrato un progetto coerente e condivisibile di riforma delle Autorità le quali, egli osserva correttamente, sono cadute preda dei grandi monopoli. Ma i tempi per realizzare quel progetto saranno lunghi. S'impegna intanto a iscrivere all'ordine del giorno del suo primo consiglio dei ministri un decreto di cinque righe che disponga la decadenza immediata dell'attuale Governatore della Banca d'Italia? A Berlusconi è ormai inutile chiederlo.
4) L'impegno a privatizzare è in tutti i programmi. Ma in questa legislatura, anziché privatizzare, si è ricostruita l'Iri, chiamando «privatizzazioni» il trasferimento delle azioni di Eni ed Enel dallo Stato alla Cassa Depositi e Prestiti, che è di proprietà dello Stato. Chi si impegna a disporre, nel primo consiglio dei ministri, lo scioglimento della Cassa, prevedendo che le azioni che essa possiede siano collocate in Borsa?
Insisto sulle privatizzazioni perché chiunque vincerà le elezioni dovrà affrontare un'emergenza conti pubblici, sia per effetto dei più alti tassi di interesse, sia perché è probabile che già nel giugno prossimo la Commissione europea ci sanzioni per aver violato anche le regole del nuovo Patto di Stabilità.

Anni fa lo Stato regalò alla Puglia l'Acquedotto pugliese, il più grande d'Europa, chiedendo solo l'impegno a privatizzarlo. Né il governatore di centrodestra, Raffaele Fitto, né il suo successore di centrosinistra, Nichi Vendola, hanno venduto una sola azione, ma lo Stato, nonostante l'evidente violazione del contratto, fa finta di nulla. Chi si impegna a decurtare dai denari che lo Stato trasferisce alla Regione, non tutto insieme, basta un po' per anno, il valore dell'Acquedotto?
5) Per osservare un mercato del lavoro che funziona bene, dove i giovani trovano lavori veri, non il precariato, e c'è poca disoccupazione, non è necessario andare Oltreoceano e copiare l'«odioso liberismo americano». Basta studiare la Danimarca, il Paese che protegge chi perde il lavoro più di ogni altro al mondo, e ciononostante ha pochi disoccupati, dimostrazione che un mercato del lavoro efficiente non richiede necessariamente di essere brutali con chi non trova lavoro. La Danimarca c'è arrivata eliminando qualunque ostacolo ai licenziamenti, soprattutto togliendo di mezzo i giudici e il diritto di chi è licenziato ad appellarsi ad un tribunale. E così le imprese danesi, sapendo che sbagliare un'assunzione non è un dramma, assumono.
Certo la Danimarca non è il paradiso: capita anche che qualche imprenditore cattivo licenzi un dipendente solo perché è iscritto al sindacato. Ma neppure questo è un dramma perché i sussidi di disoccupazione sono generosi e durano tre anni. Però si perdono immediatamente se l'Agenzia del lavoro trova un posto adeguato ed il disoccupato lo rifiuta. Chi si impegna ad adottare il modello danese?