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, il sole 24 ore, ottobre 2001 |
Nel
mercato imperfetto sì allo Stato ma efficiente
Ripensare
a nuove intese tra privato e pubblico
E' difficile
conoscere Stiglitz senza essere coinvolti da quella rara combinazione di
intelligenza e simpatia umana tipica dei grandi economisti.
Di Stiglitz è leggendaria la sua straordinaria capacità di lavoro così
come la sua versatilità ed entusiasmo per barbecues, viaggi e attività
sportive. Paul David gli disse una volta, scherzando, che per
scrivere così tanto doveva aver trovato il modo di convincere il computer
a scrivere da solo. Nel suo stile, lui gli rispose con una sonora risata.
L'ultima volta l'ho incontrato a Milano per una conferenza all'Università
Cattolica in occasione del Giubileo dei docenti: la sua relazione - in corso
di pubblicazione da Vita e Pensiero - è un coraggioso e controverso atto di
accusa sulle distorsioni delle politiche dei grandi organismi internazionali
nei rapporti con il mondo in via di sviluppo.
Il giorno dopo eravamo a Roma perché desiderava incontrare il Papa e
spiegargli le sue idee. Un disguido
negli orari aerei rese impossibile il colloquio.
E' opportuno sapere
che, pur essendo stato premiato per i suoi studi sull'economia
dell'informazione, in realtà i suoi contributi spaziano su numerosi campi, fra
cui l'economia pubblica. In
un'epoca in cui il ruolo dello Stato viene ridimensionato sia sul piano
teorico che pratico, Stiglitz fa parte di quel gruppo di economisti che
invitano a riforme prudenti, per non correre il rischio, tutto anglosassone,
di "buttare via l'acqua con il bambino dentro".
In un suo classico
saggio del 1989, intitolato Il ruolo
economico dello Stato, affronta
il nodo del perché, in concreto, dello Stato c'è bisogno molto di più
spesso di quanto si immagini: la ragione centrale è rappresentata dal fatto
che l'economia di mercato non è quella idealizzata in molti libri di testo,
ma è invece fatta dagli uomini e dai loro errori. In un recente pamphlet, con
il felice titolo di In un mondo imperfetto
(edito da Donzelli), Stiglitz sviluppa le tesi proposte in quel saggio: la
sua analisi è oggi più "matura"
perché nel mezzo vi è l'esperienza di Consigliere economico della Casa Bianca
e di vicepresidente della Banca mondiale. Ma le sue originarie conclusioni
ne escono per molte aspetti rafforzate.
Un aspetto che ha
influenzato la sua riflessione teorica è la difficoltà politica di
introdurre riforme economiche, anche quando sia dimostrabile che vanno genuinamente
a vantaggio di tutti (secondo il criterio dell'efficienza paretiana):
l'incontro fra Stiglitz e Washington non ha mutato le sue convinzioni
sull'importanza della sfera politica sull'attività economica.
Se il mondo economico partisse da una posizione di equilibrio
efficiente, con mercati di perfetta concorrenza, dello Stato non vi sarebbe
alcun bisogno: ma se partiamo invece da una situazione iniziale
"imperfetta" l'intervento dello Stato che prima era dannoso può
invece rivelarsi provvidenziale. Ciò
non significa sposare acriticamente il ruolo dello Stato: anche lo Stato, come
si usa dire, può "fallire"
e mancare alle sue promesse di efficienza ed equità. Ma non esistono motivi a priori per cui non si possa
immaginare uno Stato "efficiente", almeno in pari misura di quanto
sia possibile immaginare di rendere più efficiente qualsiasi impresa privata.
Le recenti drammatiche vicende mostrano come in effetti l'efficienza
dello Stato non sia una impossibile chimera: mai come in questi giorni si guarda
allo Stato come arbitro ultimo dei destini dell'economia americana e mondiale.
Va tuttavia sottolineato che, quando Stiglitz teorizza il ruolo dello
Stato, ha in mente prevalentemente il caso degli Stati Uniti e le distorsioni
che il mercato tende a conservare: ad esempio il sistema delle assicurazioni
private nel settore della sanità continua a lasciare privi di assistenza
milioni di americani.
Nel
caso europeo la situazione è diversa.- per noi la sfida intellettuale di
Stiglitz va colta sul piano dell'impegno a rifare in modo efficiente lo Stato
sulla base dei bisogni dei cittadini e non su quelli della sua burocrazia.
E in questo orizzonte è possibile pensare a forme nuove e socialmente
utili di collaborazione fra pubblico e privato: come insegnamo ai nostri
studenti i beni pubblici possono essere forniti sia dallo Stato che dal
privato, e forse ancor meglio da entrambi.