Torna a politiche/saggi ed articoli
Ritorno
al passato: la riforma Bindi e la proposta Sirchia |
|
Il
Governo si accinge a presentare un progetto di riforma del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN) che mira a cancellare il principio cardine
della Riforma Bindi del 1999, ovvero l’esclusività del rapporto di
lavoro per i medici che operano in aziende sanitarie pubbliche. La Riforma Bindi e i programmi del
Governo La Riforma Bindi aveva imposto in
alcuni casi, e in altri fortemente incoraggiato, la scelta di un rapporto
contrattuale di esclusiva per i medici impegnati nelle strutture del
SSN. In particolare, laddove una scelta fosse possibile, solo optando
per l’esclusiva, un medico ospedaliero poteva aspirare a posizioni di
dirigenza come il primariato. Tra i programmi dell’attuale Governo
vi è il ritorno allo status quo precedente al 1999: dunque, libertà
per i medici del servizio sanitario nazionale di esercitare la
professione privata "extramoenia" senza alcun vincolo, e
senza che questo precluda avanzamenti di carriera (1). Non è ancora
chiaro cosa accadrà alla cosiddetta intramoenia, ovvero la
possibilità per i medici che operano in esclusiva di effettuare visite
private, ma all’interno dell’ospedale e girando allo stesso una
parte degli emolumenti. Conflitto d’interessi L’abolizione del rapporto di
esclusiva è stata proposta, come parte integrante del progetto di
riforme del Governo, dal Ministro Sirchia e da vari esponenti della
maggioranza, e sostenuta da Confindustria. E’ interessante notare che
questi stessi soggetti difendono la libertà delle imprese di scrivere
con il proprio personale i contratti che meglio rispondono ai propri
obiettivi. Anche, se necessario, ricorrendo a clausole di esclusiva. Non
è chiaro allora perché le aziende sanitarie pubbliche dovrebbero fare
a meno di questo utile strumento contrattuale. È anche interessante
notare che nella campagna contro l’esclusività si afferma spesso che
"i medici non sono impiegati qualsiasi". Appunto. Proprio
un’impresa che impieghi personale altamente specializzato ha
interesse a vincolarne la libertà di offrire servizi alla concorrenza.
Prendiamo il caso di un medico ospedaliero che possa lavorare
in studi e cliniche private, partecipando ai profitti, senza alcun
vincolo. Una simile situazione non può che generare un conflitto di
interessi dalle conseguenze spesso disastrose per la qualità dei
servizi ed i bilanci dell’ospedale (2). Vediamo perchè. I problemi Tradizionalmente, i pazienti con
maggiore disponibilità a pagare un servizio medico - ad esempio, un
esame diagnostico urgente - tendono a rivolgersi a strutture private,
che spesso garantiscono maggiore efficienza e rapidità degli ospedali.
Nulla di grave, se non fosse che l’efficienza di un’azienda
ospedaliera dipende dall’impegno dei suoi medici, e dunque dagli
incentivi di questi ultimi. È prevedibile che un medico che
percepisca uno stipendio sostanzialmente fisso dal SSN sarà tentato di
spendere maggiori energie nell’attività privata - che genera la parte
variabile del suo reddito – a scapito della qualità dei servizi
offerti all’ospedale. Una posizione dirigenziale può poi aprire altre
strade per accrescere i benefici privati del medico a scapito della
struttura pubblica. Ad esempio, un primario può rimandare
l’installazione di apparecchiature nel proprio ospedale al solo scopo
di attrarre clientela in una clinica privata dotata delle stesse
apparecchiature. È evidente che un contratto di esclusiva per i medici
ospedalieri allevia questo problema di incentivi, riducendo
inefficienze e sprechi nel Servizio Sanitario Nazionale. Una conseguenza meno nota del
conflitto di interessi dei medici ospedalieri è poi la "selezione
avversa dei pazienti". Un medico può spostare clientela da
un ospedale ad una clinica privata in cui pure opera; l’incapacità
del paziente di giudicare se la struttura pubblica è davvero inadeguata
a fornire in tempi ragionevoli il servizio facilita tale "furto di
clientela". Il problema sta nel fatto che il medico ha interesse a
sottrarre solo i pazienti "migliori", ad esempio effettuando
in ospedale quelle operazioni che presentano maggiori rischi, e nella
clinica privata solo operazioni particolarmente redditizie ma a basso
rischio. Questo fenomeno non trascurabile lascia gli ospedali con una
clientela "peggiore" in termini di classe di rischio, e dunque
con dei costi molto più elevati rispetto a quelli delle cliniche
private con cui concorrono. Ancora una volta, un contratto di esclusiva
elimina il problema alla radice. Una concorrenza più equilibrata
tra sanità pubblica e privata I vantaggi attesi dalla Riforma
Bindi non si limitano ai
pazienti del Servizio Sanitario Nazionale (beneficiati da una maggiore
efficienza degli ospedali), ma riguardano anche quei pazienti disposti a
pagare per essere curati. È ragionevole pensare che il sistema
dell’esclusività associato all’intramoenia abbia accresciuto la
concorrenza nel mercato della sanità. Non solo gli ospedali sono più
capaci di attirare pazienti, e dunque più competitivi, se i propri
medici non hanno conflitti di interesse; grazie al sistema dell’intramoenia,
questi iniziano anche a concorrere con studi e cliniche private per la
clientela disposta a pagare le cure. Questa maggiore concorrenza
finisce con l’avvantaggiare sia i pazienti del SSN che quelli della
sanità privata. Misurare i benefici del rapporto di
esclusiva Le critiche più recenti alla Riforma
Bindi si basano su un rapporto presentato in Parlamento
dall’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, dal quale emerge
che il pagamento delle indennità di esclusiva ai medici è costato al
SSN circa 1,129 miliardi di euro (3), laddove l’esercizio della libera
professione intramoenia avrebbe generato ricavi per soli 90 milioni di
euro. Per i sostenitori del progetto del Governo, la sproporzione tra
uscite ed entrate associate al sistema esclusiva-intramoenia
dimostrerebbe il fallimento della Riforma Bindi (4). In realtà,
alla luce di quanto si è detto fin’ora, i ricavi degli ospedali
imputabili all’attività intramoenia rappresentano solo uno dei
potenziali vantaggi di quella riforma. Infatti, il sistema
dell’esclusività - inducendo comportamenti più virtuosi da parte
del personale medico, riducendo gli sprechi e accrescendo la
competitività delle aziende sanitarie pubbliche – può generare
numerosi benefici, sia di breve che di lungo periodo, per i
bilanci del Servizio Sanitario Nazionale. Prima di archiviare
frettolosamente la Riforma Bindi, sarebbe forse opportuno valutare
l’entità di questi benefici. (1) Un emendamento alla Finanziaria
che apriva la strada al progetto di Sirchia è stato ritirato e
sostituito da un impegno del Governo ad adottare iniziative legislative
in tal senso entro due mesi dall’approvazione della Finanziaria. (2) Va precisato che il conflitto si
manifesta in modo eclatante nel caso della professione medica, a causa
di due fattori: (a) come per altre professioni, l’intensità
dell’impegno non è osservabile, il che genera un problema di azzardo
morale; tuttavia, nel caso dei medici anche i risultati ottenuti sono
difficilmente misurabili, rendendo più complessa l’adozione di schemi
d’incentivo che inducano un impegno elevato; (b) tra medici e pazienti
esiste una peculiare forma di asimmetria informativa: il paziente non
conosce il tipo e l’intensità del trattamento di cui ha bisogno e
deve dunque affidarsi completamente al parere esperto del medico. Questo
moltiplica le possibilità per i medici di operare in conflitto con gli
obiettivi dell’ospedale e del Servizio Sanitario Nazionale. (3) La Riforma Bindi prevedeva
un’indennità di esclusiva media di 750 euro al mese. (4) Cfr il Sole 24 Ore Sanità, 29
Novembre 2002 e 24-30 Dicembre 2002. |
|
Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli. Unica condizione: mettere in evidenza che il testo riprodotto è tratto da www.lavoce.info.