|
Vengono presentati nel volume i risultati definitivi ed
analitici della prima rilevazione censuaria sulle istituzioni nonprofit
attive nel 1999. Con questo lavoro l’Istat si è posto l’obiettivo
di far emergere le reali dimensioni e le principali caratteristiche del nonprofit,
settore rimasto finora in buona parte oscurato nelle statistiche
ufficiali, nonostante la sua rilevanza per il funzionamento della società
e dell’economia italiana.
Lo stimolo alla realizzazione della rilevazione censuaria è stato
infatti alimentato dalla crescente domanda di informazioni strutturate
riguardo un fenomeno che, nel corso dell’ultimo decennio, anche a
seguito dell’adozione di importanti provvedimenti normativi, è stato
più volte al centro dell’attenzione di decisori politici, studiosi,
operatori del settore.
La definizione adottata nella rilevazione censuaria (tratta dal System
of National Accounts) identifica le istituzioni nonprofit come "enti
giuridici o sociali creati allo scopo di produrre beni e servizi, il cui
status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro
guadagno finanziario per le unità che le costituiscono, controllano o
finanziano".
Le istituzioni nonprofit attive nel 1999 sono 221.412, con entrate per
73.000 miliardi e uscite per 69.000 miliardi. Circa la metà di queste
istituzioni è localizzata nell'Italia settentrionale, mentre i due
terzi operano in misura prevalente nel settore della cultura, sport e
ricreazione. Nel 55% dei casi si tratta di istituzioni
"giovani", cioè nate nel corso dell’ultimo decennio. I
lavoratori retribuiti all’interno delle istituzioni nonprofit
ammontano a 630 mila. Le istituzioni nonprofit si avvalgono inoltre
dell’opera di 3,2 milioni di volontari, 96 mila religiosi, 28 mila
obiettori di coscienza.
L’universo delle istituzioni nonprofit italiane ha raggiunto,
soprattutto in quest’ultimo decennio, una considerevole consistenza
numerica, ma la composizione al suo interno, sia sotto il profilo
istituzionale sia sotto quello economico, non è omogenea. In
particolare, l’insieme più diffuso è quello delle associazioni,
riconosciute e non, attive in via prevalente nel settore della cultura,
sport e ricreazione, che ricorre in misura rilevante alla risorsa del
volontariato.
Tuttavia, negli stessi anni, è cresciuto in modo significativo il
numero di istituzioni nonprofit che dispongono di capacità economiche
ed operative relativamente consistenti. Esse operano in prevalenza nei
settori dell’assistenza sociale, dell’istruzione e ricerca e della
sanità, assorbono il maggior numero di dipendenti e mobilitano il
volume maggiore di risorse economiche.
Resta da sottolineare che il settore nonprofit può vantare, nel
complesso, una rilevanza economica affatto trascurabile, soprattutto se
messo a confronto con istituzioni pubbliche ed imprese for profit
operanti in ambiti analoghi.
La diffusione sul territorio
La distribuzione territoriale delle istituzioni
nonprofit si presenta abbastanza disomogenea: al Nord si concentra il
51,1% delle unità censite, nel Centro il 21,2%, mentre il 27,7% opera
nel Mezzogiorno. Complessivamente, nel Paese sono attive 38,4
istituzioni ogni 10mila abitanti. Nel dettaglio regionale, la presenza
relativa di unità è nettamente superiore in Trentino-Alto Adige (88,7
istituzioni per 10mila abitanti), Valle d’Aosta (69,2), Umbria (52,0)
e Friuli-Venezia Giulia (51,6).
Le regioni meridionali presentano invece i rapporti più bassi: 29,5
istituzioni ogni 10mila abitanti in Puglia; 25,8 in Calabria; 21,0 in
Basilicata; 19,7 in Campania. Soltanto la Sardegna raggiunge una densità
di livello simile a quella riscontrata nelle regioni centrali (47,6).
Nel Mezzogiorno, le istituzioni nonprofit sono anche mediamente più
giovani: l’incidenza delle istituzioni costituitesi negli ultimi dieci
anni è qui del 61,4%, contro il 52,0% del Nord e il 55,0% del Centro.
Le attività svolte
Circa i due terzi (63,4%) delle istituzioni nonprofit
operano in via prevalente nel settore della cultura, sport e
ricreazione. All’interno di tale settore, le attività sportive sono
quelle svolte dal maggior numero di istituzioni (25,7%, pari a 56.955
unità), seguite dalle attività ricreative e di socializzazione (19,4%,
42.884 unità) e dalle attività culturali e artistiche (18,3%, 40.553
unità). Molto più contenuto il numero di istituzioni che svolge, in
via prevalente, altre attività quali relazioni sindacali e
rappresentanza di interessi (7,1% pari a 15.651 unità), servizi di
assistenza sociale (6,6%, 14.621 unità), altri servizi sanitari (3,7%,
8.234 unità), tutela dei diritti e attività politica (3,1%, 6.842 unità),
attività di promozione e formazione religiosa (2,7%, 5.903 unità),
istruzione primaria e secondaria (2,3%, 5.153 unità). Le altre attività
previste nella classificazione vengono espletate, in via prevalente,
ciascuna da meno del 2% delle istituzioni.
Diversificazione e specializzazione delle attività
Il 61,5% delle istituzioni nonprofit dichiara di operare
in un solo settore di attività. Questa percentuale sale al 68,6% tra le
istituzioni che svolgono attività di formazione e promozione religiosa,
al 64,2% tra quelle attive nella cultura, sport e ricreazione, al 63,2%
tra le istituzioni del settore sanitario. La diversificazione dei
settori di attività riguarda complessivamente il 38,5% delle
istituzioni. Le unità che svolgono 2 o 3 attività, pari al 30,5% delle
istituzioni, sono più concentrate nei settori di attività prevalente
rivolti alla tutela dell’ambiente (40,7%), allo sviluppo economico e
coesione sociale (39,3%), alla cooperazione e solidarietà
internazionale (38,2%). Infine, le istituzioni che presentano una
maggiore diversificazione delle attività (più di 3) - che
costituiscono l’8,0% a livello nazionale - risultano più
frequentemente presenti nei settori di attività prevalente dedicati a
filantropia e promozione del volontariato (23,1%), cooperazione e
solidarietà internazionale (19,1%), sviluppo economico e coesione
sociale (18,3%).
Inoltre, in 8 settori su 12 della classificazione adottata, quote
consistenti delle indicazioni si riferiscono a classi di attività
interne al settore nel quale l’istituzione opera in via prevalente. In
altri termini, le istituzioni nonprofit tendono a diversificare le
proprie attività in modo da continuare ad operare negli ambiti in cui
la loro attività è già indirizzata in modo prevalente.
Questo tipo di referenzialità settoriale è molto pronunciata nelle
istituzioni attive in via prevalente nel settore della cultura, sport e
ricreazione. Infatti, nel 56,1% dei casi esse operano in via secondaria
in campi appartenenti allo stesso settore di attività, rispetto ad una
percentuale sul complesso delle istituzioni pari al 45,2%.
Le dimensioni economiche
Osservando le risorse, sia disponibili che impiegate,
l’universo del nonprofit è in gran parte costituito da unità di
piccole dimensioni. Nonostante la dimensione media di entrate e uscite
superi i 300 milioni, oltre la metà delle istituzioni si attesta su
cifre inferiori a 30 milioni per entrambi i valori di bilancio; quasi un
terzo si colloca nella fascia di entrate (e uscite) tra 30 e 250 milioni
e circa il 5% in quella tra 250 e 500 milioni di lire. Infine, meno di
una istituzione su 10 ha entrate e uscite per importi uguali o superiori
a 500 milioni. In tal modo il 9,0% delle istituzioni (quelle
appartenenti alla classe di entrate superiore a 500 milioni) detiene
l’88,3% dell’intero ammontare, mentre il restante 91,0% si divide
appena l’11,7%.
E’ inoltre da sottolineare la relazione molto netta tra
disponibilità di mezzi economici e tipologie di risorse umane
impiegate: al crescere della classe di entrate aumenta il ricorso a
lavoratori retribuiti. Infatti, opera con volontari soltanto il 36,2%
delle istituzioni con entrate superiori a 500 milioni, a fronte
dell’88,1% di quelle con entrate fino a 100 milioni. Le unità che
impiegano dipendenti risultano invece relativamente più frequenti tra
le istituzioni con importi di entrate più elevati: sono il 2,5% delle
istituzioni con entrate fino a 100 milioni, il 45,6% di quelle con
entrate tra 101 e 250 milioni, il 70,3% delle istituzioni con entrate
tra 251 e 500 milioni, l’86,7% di quelle che superano i 500 milioni.
Inoltre, tra le istituzioni con importi di entrate più elevati, il
maggior ricorso ai dipendenti si accompagna anche ad un più elevato
utilizzo di altre tipologie di risorse, non solo quelle retribuite: tra
le istituzioni con entrate maggiori a 100 milioni, il 17,5% impiega
lavoratori con contratto di collaborazione, l’8,8% religiosi, il 6,7%
obiettori di coscienza ed il 5,2% lavoratori distaccati da altri enti;
tra quelle con entrate fino a 100 milioni il 2,4% impiega collaboratori,
il 3,7% religiosi, lo 0,9% obiettori di coscienza e lo 0,8% lavoratori
distaccati da altri enti.
Differenze di rilievo si riscontrano poi nella distribuzione delle
istituzioni nonprofit per classi di entrate e settore di attività
prevalente. Importi di entrate (e, conseguentemente, di uscite)
superiori a 250 milioni sono maggiormente presenti tra le istituzioni
che operano in via principale nei settori altre attività (42,0%),
relazioni sindacali e rappresentanza degli interessi (36,9%), istruzione
e ricerca (35,9%), sviluppo economico e coesione sociale (33,1%),
assistenza sociale (28,0%) e cooperazione e solidarietà internazionale
(24,4%). Al contrario, la quota di istituzioni con importi di entrate
inferiori a 250 milioni tende ad essere significativamente superiore a
quella calcolata sul totale delle unità osservate (85,6%), nei settori
di attività prevalente della cultura, sport e ricreazione (93,0%) e
dell’ambiente (92,1%).
Profili economici interni al settore nonprofit
Per classificare le istituzioni nonprofit nei settori
istituzionali sono stati individuati alcuni importanti profili economici
interni al settore. In primo luogo, si sono distinte le istituzioni market,
che finanziano i propri costi di produzione in misura prevalente
mediante ricavi dalla vendita di beni e sevizi, da quelle non market,
che invece coprono una quota maggioritaria dei propri costi mediante
trasferimenti da altri soggetti, pubblici e privati. Un’altra
distinzione è stata fatta separando le istituzioni a prevalente
finanziamento pubblico da quelle a prevalente finanziamento privato.
Infine, un ultimo criterio classificatorio concerne la destinazione dei
beni e servizi prodotti: esso distingue le istituzioni mutualistiche,
che rivolgono la propria offerta esclusivamente ai soci, da quelle di
pubblica utilità, che la destinano ad utenti esterni.
Attività economica market e non market
Le istituzioni non di mercato costituiscono il 64,1%
delle unità censite. Questa prevalenza numerica si mantiene in tutte le
regioni e per tutti i periodi di costituzione; tuttavia viene fortemente
ridimensionata in corrispondenza di alcune forme giuridiche e di alcuni
settori di attività.
Infatti, il 91,6% delle cooperative sociali e il 42,2% delle istituzioni
con forma giuridica non altrimenti classificata agiscono in prevalenza
sul mercato, a fronte di una quota media pari al 35,9%. La quota
di istituzioni operanti sul mercato scende al 35% circa tra le
associazioni – riconosciute e non – e le fondazioni ed è ancora più
contenuta per i comitati (14,5%).
Le istituzioni rivolte principalmente al mercato costituiscono la
maggioranza (59,4%) di quelle attive prevalentemente nelle cosiddette
attività non altrimenti specificate. Anche le istituzioni del settore
della sanità operano in maggioranza sul mercato (50,1%), mentre la
percentuale scende sotto il 50% nel caso delle istituzioni attive
nell’istruzione e ricerca, nell’assistenza sociale e nello sviluppo
economico e coesione sociale. Molto contenute sono, invece, le quote di
istituzioni market che si dedicano ai settori della tutela dei
diritti e attività politica (16,1%), delle relazioni sindacali e
rappresentanza di interessi (16,0%) e della promozione e formazione
religiosa (1,1%).
Tipo di finanziamento prevalente
Le istituzioni nonprofit si sostengono nell’87,1% dei
casi attraverso finanziamenti prevalentemente privati, mentre il
restante 12,9% ha come fonte di finanziamento prevalente entrate di
origine pubblica.
Rispetto alla forma giuridica delle istituzioni, la prevalenza del
ricorso al finanziamento privato, rilevata a livello complessivo, è più
accentuata per le associazioni non riconosciute: il 90,4% delle
istituzioni nonprofit che ha assunto questa forma giuridica dichiara di
finanziarsi con entrate prevalentemente private. Una situazione opposta
si rileva per le cooperative sociali che, nel 58,8% dei casi, si
finanziano con entrate prevalentemente pubbliche.
Anche riguardo al settore di attività prevalente, la maggior parte
delle istituzioni di ciascun settore si finanzia ricorrendo
principalmente a introiti di fonte privata. In particolare, quote di
istituzioni a prevalente finanziamento privato si registrano nei settori
della promozione e formazione religiosa (+10,1 punti percentuali
rispetto alla quota nazionale), delle relazioni sindacali e
rappresentanza di interessi (+10,0), della tutela dei diritti e attività
politica (+6,5), della filantropia e promozione del volontariato (+3,9)
e della cultura, sport e ricreazione (+3,2). Al contrario, quote di
istituzioni a prevalente finanziamento privato inferiori a quella
generale, si rilevano per i settori della sanità (-27,0 punti
percentuali rispetto alla quota nazionale), dell’assistenza sociale e
dello sviluppo economico e coesione sociale (-13,5 in ambedue i casi),
dell’ambiente (-12,9) e dell’istruzione e ricerca (-7,2).
Destinazione dei servizi
Il 67,3% delle istituzioni nonprofit sono di pubblica
utilità e il 32,7% mutualistiche. Tuttavia, anche riguardo a questo
aspetto le differenze sono rilevanti a seconda della localizzazione
territoriale e delle caratteristiche strutturali e dimensionali delle
unità rilevate.
In relazione alla forma giuridica, il 97,8% delle fondazioni, il 93,7%
delle cooperative sociali, l’86,3% delle unità con altra forma
giuridica e l’85,0% dei comitati offrono servizi di pubblica utilità.
Al contrario, tra le associazioni non riconosciute e riconosciute sono
relativamente più frequenti le istituzioni a carattere mutualistico
(rispettivamente 36,0% e 32,1%).
Rispetto all’attività svolta in via prevalente, le istituzioni di
tipo mutualistico sono relativamente più frequenti nei settori della
cultura, sport e ricreazione (41,3%), delle altre attività (39,7%) e
delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (30,7%), mentre
quelle di pubblica utilità operano principalmente nella sanità
(93,8%), nella cooperazione e solidarietà internazionale (92,9%) e
nella filantropia e promozione del volontariato (90,7%).
|