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I poteri delle Regioni e la deriva della sanità

 

da Repubblica - 8 aprile 2002


L´impatto congiunto del prevalere della Destra e della sciagurata riforma federalistica, propugnata anche dalla Sinistra, sta sfasciando una delle poche, grandi conquiste sociali del nostro Paese, quel Sistema sanitario nazionale, alla cui base vi era il principio di garantire a tutti i cittadini la prevenzione e la cura delle malattie, addossandone il costo, tranne qualche modesto ed utile correttivo, all´Erario, attraverso il prelievo fiscale, proporzionale al reddito. Vale la pena di ricordare questi principi elementari perché la loro applicazione corrispondeva a criteri di eguaglianza, di giustizia distributiva e di solidarietà, almeno per quanto riguarda il diritto a cure analoghe per ricchi e poveri, per i cittadini delle metropoli industriali del Nord e per quelli del più povero quartiere delle periferie meridionali. Alla base del sistema vi era la constatazione, ampiamente corroborata dalle statistiche e dai confronti internazionali, della impossibilità per la stragrande maggioranza della popolazione di affrontare privatamente i costi crescenti di una diagnostica sempre più raffinata e di una terapia a spettro sempre più vasto e sofisticato, soprattutto col prolungarsi dell´età media e col conseguente aumento del numero degli anziani.
Si tratta di considerazioni al limite della banalità, eppure esse vengono soppiantate e rimosse dalla vulgata privatistica, che scarica sugli individui e le famiglie costi crescenti, non sempre affrontabili, se non dai più ricchi.
Nel contempo viene buttata nella pattumiera, come un´inutile residuato, il patrimonio prezioso dell´unità solidale della Nazione, in nome della cosiddetta devoluzione alle Regioni. Così nelle zone dove il reddito medio è più alto gli abitanti potranno sperare (forse) di conservare un decente livello di prestazioni, mentre laddove risulta più esiguo, ci si dovrà rassegnare a cure sanitarie decrescenti.
«In cinque minuti siamo tornati all´Italia preunitaria, ma nessuno, però, sembra accorgersene», mi ha detto, affranto, un medico di famiglia.
Eppure per avvertirsene basta sfogliare l´ultimo Rapporto del Censis dove si legge che «con il processo di trasferimento delle competenze e dei poteri sanitari alle Regioni appare elevato il rischio di una accentuazione della tradizionale differenziazione territoriale dei livelli di offerta... con nuovi fattori di diseguaglianza sanitaria». I cittadini, peraltro, se ne debbono già essersene resi conto, se, a pochi mesi dalla devoluzione alle Regioni, il 52,6 % fornisce una risposta negativa sull´esito dell´autonomia regionale in campo sanitario. Se, poi, si disaggrega il sondaggio Censis per aree territoriali «si evidenzia una spaccatura netta tra Nord e Centro Sud», dove il 66% risulta contraria. Ancor più significativo il dato che vede federalisti e anti-federalisti uniti - al 93,6% - nell´opinione secondo cui le Regioni dovrebbero fornire tutte le stesse prestazioni sanitarie, mentre il 75,8% è contrario a una differenziazione regionale dei costi delle cure e il 73% non ritiene opportuno pagare contributi fiscali o ticket aggiuntivi in cambio di maggiori prestazioni regionali.
Ecco come un giornale non sospetto di simpatie a sinistra, «Il Sole-24 Ore» (11 marzo scorso) descrive la situazione: «Aggirandosi tra ticket che rinascono, farmaci retrocessi di classe, balzelli locali... e dulcis in fundo... il tentativo di ridurre i posti letto e dunque i ricoveri... il fai-da-te regionale per contenere la spesa sanitaria ... è un guazzabuglio in continua evoluzione... che al momento vede soprattutto le Regioni governate dal Centro-destra tra le più aperte al ricorso ai ticket e alle tasse». Per capire come queste decisioni di carattere generale incidano sui singoli individui è consigliabile scorrere quei brani di vita vissuta, riportati, talvolta, dalle «lettere al direttore» di qualsiasi quotidiano. Ne scegliamo una dalla «Stampa» del 28 marzo, dove la signora Viviana Peretti racconta come suo padre, operato all´intestino, abbisogni, per le necessità fisiologiche, di appositi sacchetti applicabili alla cute, dal costo di 450 euro ogni tre mesi. «Mio padre è un pensionato e finora ci pensava il Ssn. Con la nuova legge regionale, il 50% della spesa sarà a suo carico. Ma quel che mi ha fatto ancor più indignare è la pretesa di far pagare totalmente ai malati terminali le cure palliative per alleviare il dolore. Questi signori dovrebbero provare sulla loro pelle cosa significhi. Pensavo di vivere in un Paese civile in cui la dignità della persona fosse al primo posto».